È il momento di distinguerle
Che cos'ha in comune la Fiat Panda 1.0 Hybrid da 70 CV con la Ferrari SF90 Stradale da 780? E che cosa condividono le piccole Kia Rio e Stonic 1.0 con le Porsche Panamera e Cayenne 4.0 V8 Turbo S E-Hybrid? Certo, sono tutte autovetture, ma, oltre a questo, nulla sembra accomunarle. Tranne un piccolo – si fa per dire – particolare: il punto P.3 della carta di circolazione, quello in cui è indicata l'alimentazione. Sia il "libretto" della Panda sia quello della Panamera riportano la stessa parola: "ibrido". Insomma, mentre da un punto di vista tecnico, come abbiamo visto negli articoli precedenti, le full (Hev), le mild (Mhev) e le plug-in (Phev) sono profondamente diverse tra loro, da quello amministrativo sono identiche. E non è un limite della legge italiana, visto che le norme di omologazione sono stabilite in sede UE.
Ibridizzazione spinta. Com'è facile immaginare, questa ipersemplificazione – che andava bene fino a una dozzina di anni fa, quando le uniche vetture di questo tipo sul mercato erano le full hybrid Toyota e Lexus – è diventata anacronistica. Infatti, sulla spinta dell'obbligo di ridurre le emissioni di anidride carbonica, le Case hanno dato libero sfogo alla fantasia – e alla tecnologia – "inventando" dapprima, nuovi tipi di ibride, poi ibridizzando progressivamente le rispettive gamme. C'è chi ha preso la scorciatoia mild, ossia l'applicazione di un motogeneratore che recupera l'energia nelle fasi di rallentamento e la invia a una batteria di piccola taglia che "aiuta" il motore termico nelle accelerazioni riducendo i consumi; e chi, invece, per abbattere drasticamente questi ultimi e, quindi, la CO2, ha optato per la tecnologia plug-in, in pratica un sistema full hybrid con una batteria di capacità di gran lunga superiore e ricaricabile esternamente.
Per tutti i gusti (e i portafogli). Ma non è solo questione di CO2. All'interno di ciascuna categoria vi sono, ormai, vetture di ogni carrozzeria, potenza e prezzo, come accennavamo all'inizio. Se si prende a riferimento quest'ultima variabile, nell'ambito delle plug-in si va dai 34 mila euro della Renault Captur Plug-in Hybrid E-Tech ai 215.332 della Porsche Panamera 4.0 Turbo S E-Hybrid. Tra le full, i listini partono dai 20.300 euro della Mazda2 Hybrid 1.5 VVT e-Cvt Full Hybrid e arrivano ai 201 mila della Honda NSX 3.5; tra le mild, infine, agli estremi vi sono i 14.750 della Panda 1.0 FireFly Hybrid e i 214 mila della Land Rover Range Rover 3.0D I6 350 CV SV LWB. Se, invece, si considera la potenza, tra le Phev si va dai 91 CV della Renault Mégane Plug-In Hybrid E-Tech ai 571 della Porsche Panamera 4.0 Turbo S E-Hybrid; tra le full la forbice varia tra i 91 CV della Renault Clio Hybrid E-Tech e i 507 della Honda NSX 3.5; infine, tra le mild, agli estremi vi sono i 69 CV della Fiat Panda Cross 1.0 FireFly Hybrid e i 612 della Mercedes GLE 63 4Matic+ AMG S.
Insomma, macchine profondamente diverse che però, per la legge, sono tutte ibride. Che c'è di male? In teoria nulla, se non fosse che lo Stato e gli enti locali tendono a disciplinare la circolazione e la tassazione proprio in base a questa – ormai generica – caratteristica. Per esempio, tutte, indistintamente, potrebbero entrare nelle Ztl; e tutte godono delle esenzioni o riduzioni della tassa automobilistica introdotte da alcune Regioni. Nel Lazio, per esempio, le benzina/elettriche non pagano il bollo per tre anni. A prescindere da ogni altra considerazione e ogni altra variabile. Una norma che, com'è evidente, presta il fianco a molte critiche.
In altre parole, il criterio dell'alimentazione, che poteva avere un senso anni fa, quando era necessario orientare in una specifica direzione le scelte dei consumatori, è diventato quantomeno discutibile. E mette impietosamente in evidenza il mancato allineamento della legislazione al progresso tecnologico e, soprattutto, al mercato se è vero che, mentre nel 2011 la quota di termiche/elettriche era dello 0,30%, oggi veleggia stabilmente attorno al 40% (a febbraio il 26% delle nuove immatricolazioni è stato mild, il 9% full e il 5% plug-in).Quindi, delle due l'una: o la generica denominazione "Ibrido" sulla carta di circolazione ha perso di significato, oppure non ha più senso ricorrere a questa caratteristica per disciplinare circolazione e tasse.
Sostiene la motorizzazione. Non che il legislatore nazionale non si sia posto il problema, anzi. Il 4 giugno 2019 l'allora presidente del consiglio, Giuseppe Conte, sei ministri, le Regioni e le Province autonome firmano un protocollo d'intesa che istituisce il Piano d'azione per il miglioramento della qualità dell'aria. Quel documento prevede, tra le altre cose, l'adozione di «linee guida per la classificazione dei veicoli elettrici ibridi al fine di consentire alle amministrazioni nazionali e regionali, nell'ambito dei programmi di incentivazione, di orientare tali incentivi verso le tecnologie elettriche ibride a minor impatto ambientale». Un documento che l'allora ministero delle Infrastrutture, d'intesa con l'allora dicastero dell'Ambiente, avrebbe dovuto pubblicare entro 180 giorni.
In effetti dopo sei mesi, il 3 dicembre, la Motorizzazione civile propone una "caratterizzazione" basata sulle emissioni di anidride carbonica del singolo esemplare, un valore che è indicato al punto V.7 della carta di circolazione: «Appare congruente con gli obiettivi del Piano di azione per il miglioramento della qualità dell'aria, classificare i veicoli ibridi attraverso il valore di CO2 rilevato in fase di omologazione», un parametro «in grado di rappresentare al meglio l'efficienza e l'equilibrio dell'intera catena cinematica». Non solo. Dopo aver fissato la variabile di riferimento, la Motorizzazione, «sentite anche le associazioni dei costruttori dei veicoli», stabilisce d'individuare tre gruppi: I (fino a 60 g/km di CO2), II (61-95 g/km) e III (superiore a 95 g/km). Tutto bene? Macché. A quel punto, forte del parere dei tecnici, toccherebbe alla politica decidere.
La politica latita.E lì cade l'asino. Sono passati 27 mesi da quel 3 dicembre 2019 e i due ministeri, che nel frattempo hanno cambiato diversi titolari e persino nome, non hanno ancora partorito le nuove regole, linee guida nazionali (in attesa di una norma UE) che finalmente consentirebbero alle amministrazioni di fare scelte politiche e fiscali meno generiche. E che, finalmente, renderebbero i consumatori consapevoli delle loro scelte. Già, perché più il tempo passa e più l'equivoco rischia di deflagrare. Emblematica di ciò che potrebbe accadere è la decisione del Comune di Milano di far pagare l'Area C – a partire da ottobre – anche alle vetture con CO2 superiore a 100 g/km, a prescindere dal tipo di alimentazione. Una beffa per decine di migliaia di cittadini che negli anni scorsi le hanno acquistate sulla base di una genuina motivazione ambientale, oltre che per poter circolare senza problemi in città. Uno choc che ha "costretto" i milanesi a rendersi conto che le ibride, in realtà, non sono tutte uguali. E presto il risveglio potrebbe essere brusco per tutti gli italiani.
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