La polizia usa le auto a guida autonoma per la sorveglianza
A San Francisco scatta l’allarme sulla privacy a causa delle auto a guida autonoma, che girovagando su strade pubbliche per i test puntano le loro telecamere ovunque e registrano una miriade di immagini e di dettagli: anche dimore private e persone. Tutto noto, salvo un dettaglio emerso grazie a un documento pubblicato recentemente dalla testata Motherboard, dal quale si evince che la polizia della città del Golden Gate può attingere ai filmati delle auto driverless per compiere le proprie indagini. “Un fatto molto preoccupante”, tuonano gli avvocati della Electronic Frontier Foundation (EFF), no profit specializzata nella tutela dei diritti digitali.
È già successo. La notizia affiora dalle pagine di un protocollo che delinea le procedure che gli agenti devono seguire per interagire con i veicoli autonomi in servizio: qualche settimana fa, a tal proposito, era balzato alle cronache il curioso video di un poliziotto alle prese con un robotaxi di Cruise, proprio a San Francisco, divenuto presto virale. Tra le varie indicazioni, per esempio quella di "non aprire il veicolo in caso problemi che non rappresentino emergenze" o di non fare accostare le vetture “a meno che non sia legittimato un intervento delle autorità”, c’è il paragrafo relativo alle investigazioni: poche righe che informano gli agenti sull’utilità in questo senso dei veicoli autonomi, capaci di monitorare interi quartieri. Nel passaggio citato si afferma anche che la polizia ha già attinto ai filmati delle auto driverless per le indagini “diverse volte”.
Timori per l’uso combinato delle immagini. Ora, le auto sono di per sé miniere di dati personali, ma i prototipi autonomi lo sono ancora di più, avendo tecnologie sofisticate per catturare immagini molto dettagliate, necessarie ai computer che gestiscono l’auto per “leggere” al meglio l’ambiente circostante. “È molto preoccupante vedere un dipartimento di polizia identificare gli AV come una nuova fonte di prove”, avvisa Adam Schwartz, uno degli avvocati della Electronic Frontier Foundation, che evidenzia un altro aspetto del problema, ovvero la combinazione dell’uso di video da telecamere fisse con video provenienti da telecamere mobili (quelle delle auto autonome). Qualcosa che “può trasformare in modo più efficace le nostre vite in libri aperti", secondo la EFF.

Waymo e Cruise tirate in causa. Sulla questione, nel documento ottenuto da Motherboard sono menzionate espressamente due tech company: la Waymo e la Crusie. La prima, tramite un portavoce, ha affermato che la società "richiede alle forze dell'ordine che cercano informazioni e dati da Waymo di seguire procedure legali valide” (per esempio, presentare un mandato) e che la politica dell’azienda è di “limitare o rifiutare le richieste che non hanno una base giuridica valida o sono eccessive". Il portavoce, inoltre, afferma che Waymo non raccoglie dati "per identificare le persone". “Lavoriamo a stretto contatto con le forze dell'ordine con l’obiettivo comune di rendere le nostre strade più sicure” ha commentato invece la Cruise, precisando che l’azienda “condivide filmati e altre informazioni quando vengono notificati un mandato o una citazione in giudizio validi”, ma può anche “trasmette volontariamente informazioni in caso di rischio per la sicurezza pubblica”.
La vicenda della Tesla. È un tema delicato, quello della violazione della privacy connesso all’uso di telecamere nelle auto, sempre più dotate in questo senso. Problemi erano già stati sollevati nei mesi scorsi e aveva fatto molto rumore, al riguardo, il caso della Tesla in Cina. Le elettriche di Elon Musk erano finite al centro di un vero e proprio caso di sicurezza nazionale: Pechino, infatti, ne aveva bandito l’accesso a complessi governativi e militari per timori di spionaggio, motivato appunto dalle incertezze sul trattamento e la custodia delle immagini registrate dalle telecamere di bordo. Una querelle che poi si è “sgonfiata” in tempi relativamente brevi. Ma il nodo di fondo resta.
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