Una bomba da 210 cavalli
Considerazione generale: ci vuole più coraggio per spendere 80.000 euro per un Cinquone che non 200 mila e passa per una 458 Italia (va bene, siete autorizzati a dire che parlo sempre e solo di quella). Corollario alla considerazione generale: potendoli spendere, li spenderei subito. E il motivo è semplice: di macchine che suscitano passione, in fondo, ce ne sono molte (al punto che questa parola sta cominciando a essere vagamente abusata), ma il Cinquone di Romeo Ferraris è davvero qualcosa di sensazionale. E se ve lo diciamo noi di Quattroruote, da sempre estremamente tiepidi nei confronti del tuning e di tutto ciò che turba l’equilibrio di come mamma le ha fatte, ci potete credere. D’altra parte, questo non è tuning. Per il Cinquone, non si possono usare parole così dozzinali. Si tratta, piuttosto, di un ripensamento critico dell’idea stessa di 500, di un’estensione verso l’alto: insomma, si vede che non è il tarocco di chi ha più entusiasmo che scienza. Qui, indubitabilmente, c’è la mano di chi, di automobili, se ne intende sul serio. E basterebbe la cura riservata agli interni per capirlo: materiali di qualità, amore per il dettaglio, capacità di far dimenticare che la base di partenza è un’utilitaria, per quanto di pregio. La pelle scamosciata e la fibra di carbonio dominano su tutto, ma sono anche dettagli come la scritta “Air Bag” perfettamente cucita in rosso sulla plancia a far capire che qui non si scherza neppure quando si tratta di dettagli.
Day 1. Ci fosse bisogno di specificarlo, siamo nel regno della personalizzazione e, quella che vedete nelle foto, è soltanto una delle mille possibilità che si hanno a disposizione. Di base, il Cinquone S costa 62.464 euro e, per arrivare alla cifra indicata in apertura, non ci vuole granché. La sola verniciatura Metal K costa 5.500 euro e non è che l’inizio. 2.580 euro per la configurazione biposto, un migliaio per la doppia linea di scarico, 3.279 per gli interni di materiale pregiato. E si potrebbe continuare all’infinito, perché basta spiegare sogni, desideri e necessità per vederli realizzati. Si possono pure risparmiare 60 chilogrammi grazie a un kit di alleggerimento che comprende la sostituzione dei pannelli porta di serie, l’adozione di cofano e portellone di carbonio, finestrini di plexiglass e la rimozione del climatizzatore e del sistema audio. Il Cinquone lo si compera “chiavi in mano” dalla Romeo Ferraris (che però converte anche qualsiasi Abarth 500 già immatricolata, purché non abbia più di sei mesi) ed è disponibile anche in versione Cabrio. Volendo, c’è pure il cambio elettroattuato con palette al volante (altri 1.500 euro). Sotto il cofano, il solito 1.4 T-Jet ha subito una bella cura ricostituente: nuova mappatura, turbina maggiorata, iniettori specifici, un intercooler di origini agonistiche e un impianto di scarico ripensato. In questo modo, si arriva a 210 cavalli senza grossi sforzi, che possono salire a 248 nel caso del Cinquone Corsa Stradale. Il risultato si fa sentire fin dalla messa in moto e domani entreremo nel vivo della guida. L’introduzione ha portato via molto spazio, ma su un’auto così particolare era per lo meno doverosa. In più, oggi piove e il Cinquone non avrebbe certo potuto mostrare tutto se stesso. Alessio Viola, redazione Prove su strada
Day 2. Volendo, la si può usare anche nel traffico. E non te lo fa neppure pesare troppo, per la verità. Riesce persino a non ucciderti le vertebre: mi sarei aspettato una di quelle macchine che sul pavé ti senti in dovere di rallentare per non avere la sensazione di ritrovartela smontata pezzo a pezzo. E invece no. La comodità rimane un’altra cosa, ma il Cinquone si sottopone a queste situazioni senza lamentarsi. Veniamo al sodo, che è racchiuso da tutt’altra parte. Si comincia con il suono pieno del T-Jet, che assieme all’impianto di scarico riempie l’abitacolo in maniera perfetta, sia dal punto di vista della quantità sia della qualità. Un bel rombo, intervallato dall’aereo sfiato della turbina ogni qualvolta si cambia. Insomma, una meraviglia, che ti fa quasi dimenticare la posizione di guida, che rimane quella solita. E questo non è un complimento, perché di sportività ne ha proprio pochina: il volante è troppo inclinato e non è mai esattamente dove uno lo vorrebbe, col risultato che si è costretti a sacrificare la posizione delle gambe per mettere insieme una posizione che, comunque, rimane un compromesso. Per fortuna, la pedaliera permette di fare degli ottimi puntatacco: la loro utilità pratica tende ormai allo zero, ma rimangono comunque dei simpatici antipasti per nutrire l’ego di chi guida. Il quale, su quest’auto, non ha difficoltà neppure a sfamarsi: per averne la prova, basta insistere col piede destro e superare la magica soglia dei 3.500 giri. Da lì in avanti, il Cinquone smette di essere semplicemente veloce e scattante e si mette a fare sul serio. La spinta diventa davvero poderosa e, se per terra c’è un po’ di umido o l’asfalto non è cartavetrata, le ruote pattinano anche in terza. Non solo nel passaggio seconda-terza, ma anche quando in terza ci si è già: basta mettere giù attorno ai 3.000/3.500 e avere la pazienza che la turbina comincia a regalare tutta la sua spinta. Quando il Cinquone dà tutto, al pilota comincia a essere richiesto un certo impegno, non foss’altro che per mantenere la traiettoria. Si tratta di contrastare i continui, piccoli, scarrocciamenti: a considerarli col gelido metro di un ingegnere tedesco che si occupa di debugging sono un’imperfezione, ma in un contesto del genere si trasformano in qualcosa capace di regalare un gran sapore alla guida. Al resto ci pensa l’assetto, dove precisione e rapidità si rubano di continuo la scena. Il Cinquone è efficacissimo, ma non è certo l’auto da mettere in mano al neofita. Se stuzzicata, regala reazioni velocissime: sono una meraviglia per chi col volante ci sa fare, ma possono diventare impegnative per il resto del mondo automobilistico. Ma va bene così: innanzitutto perché tutto questo non viene certo fuori alla prima curva, bisogna cercarlo e volerlo, e poi perché il Cinquone è un’auto destinata a chi intende la guida nel senso più carnale del termine. Alessio Viola, redazione Prove su strada
Day 3. Non faccio in tempo a sollevare del tutto la basculante, che un paio di automobilisti si fermano, sbalorditi, a rimirare ciò che fa capolino stamani dal mio box. Il largo e grintosissimo retrotreno del Cinquone S ha colpito ancora. Oppure sarà stata la fascinosa verniciatura rossa. Poco importa, perché a bordo della piccola bomba di Romeo Ferraris, avevamo già gli occhi di tutti addosso quando siamo arrivati dalla redazione. Una manovra in più del solito per guadagnare la rampa d’uscita e siamo fuori. Ma non certo soli. E anche se non ci fosse anima viva in giro, non si potrebbe comunque apprezzare la vera natura del Cinquone: un’“arma totale” che va maneggiata con cura e assimilata per bene, prima di poterle togliere la “sicura”. Da saggiare con il rispetto e la dedizione che merita, e nel luogo ideale, ossia la pista (a proposito, speriamo ci sia occasione di vederla in azione a Vairano). Ma veniamo a noi: bello, intanto, rimirare i passaruota allargati dagli specchi retrovisori. Il rumore dell’1.4 T-Jet modificato è basso e pieno, e istiga anche se non vuoi. Lo spunto, sotto i 2.500 giri, è più regolare che cattivo, ma la musica cambia in fretta. Tasto Sport inserito, basta varcare i 3.000 per doversi tenere ben saldi al volante, ancorandosi al sedile sportivo. La spinta è impressionante, difficile provare qualcosa di simile in taglia small. Una bella sensazione, anche per chi ha già provato qualcosa in questi anni. Il turbo entra cattivo e prepotente, fino a una pressione di picco di 1,5 bar. Ma quel che diventa caratteristico è l’effetto di sfiato della turbina, che si avverte molto nell’abitacolo, anche se non si viaggia forte. E non è mica finita: quando si ha la fortuna di tirare una marcia (una sola, eh), bisogna anche saper gestire le reazioni al volante, perché la coppia si fa sentire e le ruote anteriori pattinano alla grande sui fondi invernali. Bisogna impugnare saldamente il volante, per neutralizzare la tendenza dell’avantreno a “muoversi”. Ecco perché su strada ci vuole misura, rispetto, e i controlli elettronici non sono disinseribili. Anche perché, qui, ci sono ben 210 CV su 1.030 chili, con un rapporto peso-potenza di 4,9 kg/CV e prestazioni che fan venire la gola secca pure ai cultori. Solo in seconda abbiamo visto, per una volta, i 6.600 giri (poi entra il limitatore), un regime ragguardevole, pur se le performance arrivano anche prima. Il tutto è ben supportato dal cambio manuale a cinque marce di serie, dalla classica leva rialzata e la buona manovrabilità. Aiuta nella guida sprint anche la frizione pastosa, ma non pesante, oltre che resistente in città. Il sound invade l’abitacolo non appena si toccano i regimi intermedi, tanto che in autostrada, a gas giù, si può ascoltare poco altro. Poi, in rilascio, oltre allo “sfiato”, si sentono tutti quegli “sgranulii” che fanno tanto racing e appagano i sensi. Il carico volante in Normal pare quasi leggero, mentre in Sport diventa robusto, come ci si aspetta, qui. L’avantreno sembra “granitico” e risponde in modo rapido, preciso agli input, senza rollio, né beccheggio in frenata. Un vero cavallo di razza, questo Cinquone S, ma guidabile anche in città e nel traffico. A patto che siate lesti a evitare buche - pericolosissime per la gommatura 215/35 su cerchi da 18” - e a rallentare davvero quando dovete affrontare i… rallentatori. Ma le emozioni vere varranno pure qualche sacrificio, no? Andrea Stassano, Redazione Prove su strada
Day 4. Misurata col metro della razionalità, la (o il?) Cinquone S è la macchina più sbagliata che si possa immaginare. Però, di questo passo gireremmo tutti con tranquille station wagon turbodiesel cambio automatico di media cilindrata: perfette, ma che noia… Vocabolo inutilizzabile per la piccola bomba di Ferraris, che basandosi sulla 595 Abarth ha realizzato una sorta di missile terra-terra che non fa nulla per celare la sua natura. Dal muso occhieggia l’intercooler da 650 mm, il cofano motore è scavato da due ampie aperture per lo sfogo dell’aria, i passaruota extralarge, collegati tra loro da vistose minigonne, faticano a contenere i cerchi da 18" nero opaco con gomme 215/35 super-ribassate e al centro del posteriore spunta un doppio terminale di scarico king size. Il tutto sottolineato da una spettacolare verniciatura rosso rubino e da dettagli carbon look, come i retrovisori e le maniglie delle porte e del portellone. Anche l’abitacolo non è da understatement: il divanetto posteriore è sparito per far posto al roll bar e la plancia è rivestita di microfibra nella parte superiore e di carbonio in quella frontale. Stona un po’ il cambio manuale a cinque marce (ma si può avere anche il robotizzato). Purtroppo la tangenziale è bloccata da un incidente, quindi il percorso ufficio-casa si compie attraverso strette stradine secondarie e poi via città. Certo non l’ideale per il Cinquone, che meriterebbe di essere messo alla prova tra i cordoli di Vairano. Comunque, anche muovendosi ad andatura moderata il godimento è assicurato: lo scarico ha un bel sound corposo e pieno pure al minimo e ai bassi regimi e se si superano i 2.500 giri comincia ad avvertirsi il gemito della valvola pop off del turbo; il cambio, poi, si manovra con piacere. In posizione Sport lo sterzo è un po’ duro, ma va bene così, piuttosto si deve fare molta attenzione a dove si mettono le ruote perché l’assorbimento, per forza di cose, è assai limitato e il fondo corsa delle sospensioni si raggiunge anche solo negli avvallamenti dell’asfalto presi un po’ allegramente. Dopo qualche chilometro un tratto di strada a due corsie per senso di marcia mi da l’opportunità (irripetibile, per stasera) di affondare l’acceleratore in seconda. In un battibaleno il 1.400 sprigiona tutti i 210 cavalli e i 310 Nm che catapultano in avanti il Cinquone a mo’ di scheggia impazzita: la macchina, infatti, fatica ad andare dritta e si deve tenere ben fermo il volante per mantenere (più o meno) la linea. Un bel ripasso del concetto di torque steer (sterzatura indotta dalla coppia motrice), problema numero uno delle trazioni anteriori con tanti cavalli che ormai sembrava dimenticato grazie a sospensioni con schema sofisticato, al controllo della trazione e alla ripartizione intelligente della potenza tra le ruote motrici. Cose di cui il piccolo missile Ferraris fa a meno, rendendo la guida impegnata un compito non alla portata di tutti. Ma del resto chi si mette nel garage un Cinquone sa perfettamente a cosa va incontro… Roberto Boni, redazione Tecnica
Day 5. Dopo la lunga lista di avvertimenti e raccomandazioni sia scritte (nei "Day" precedenti) sia verbali, sono salito sul Cinquone di Romeo Ferraris con un pizzico di timore. Con meno esperienza dei colleghi delle Prove su strada, più abituati di me a dare del tu, anche a Vairano, a certe "belve", mi ero preparato a un'auto praticamente inguidabile per noi comuni mortali. Ma ho dovuto ricredermi. E non tanto perché non sia estremamente potente quando si affonda il piede sull'acceleratore. In seconda e in terza, per esempio, il "giù tutto" mi ha fatto rivenire in mente quando da bambino guardavo David Hasselhoff (alias Michael Knight nella serie "Supercar") che esclamava: "Kitt, metti il turbo" e la Pontiac Firebird nera schizzava via mentre lui si incollava letteralmente al sedile... Credetemi: qui la sensazione è la stessa, con la 500 che tende davvero a imbizzarrirsi e fatica quasi a tenere una traiettoria rettilinea. Ma finché si guida normalmente, accelerando con moderazione, si può anche raggiungere la zona rossa del contagiri posta a quota 6.000 come se si stesse guidando un'auto normale. Se non fosse per lo schienale sportivo ultrarigido e per l'assenza del bracciolo centrale (non sarebbe male visto che la leva del cambio, come consuetudine, è posta in alto, sulla console centrale) mi azzarderei anche a definire "confortevole" la posizione di guida. Poi, però, basta un attimo per ricordarsi la vera natura di quest'auto, pensata più per i track day che per una gita fuoriporta. E non solo perché è consigliabile evitare pavé, rotaie, buche e dossi rallentatori, che oltre a scomporla si sentono tutti sulla schiena. Ma anche perché il sound del motore, che è fin piacevole quando borbotta al minimo o si passeggia in città, in autostrada diventa costantemente invasivo. Molto meglio, quindi, portarla in pista e godersi tutto quanto di meglio può offrire: un assetto incredibile, uno sterzo sportivo e comunicativo, un ottimo cambio e un motore pazzesco. Alessandro Carcano, redazione Internet
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