Auto elettriche: caratteristiche, pro e contro dei modelli a batteria
L’auto elettrica è strutturalmente semplice: rispetto a una vettura tradizionale, con motore a combustione interna, necessita di un minor numero di componenti. Le prestazioni dipendono dalla potenza del propulsore e dalla capacità della batteria, che, insieme con la corrente di rete disponibile, determina anche il tempo necessario per il ripristino. Inoltre, lo stato di carica dell’accumulatore può essere in parte mantenuto grazie al recupero dell’energia durante la fase di rallentamento: su molti modelli, i livelli possono essere decisi dal guidatore. Nel nostro dossier QEdu, in regalo con Quattroruote di marzo, approfondiamo ulteriormente la tecnica dei powertrain elettrici.

Nella foto, una ricostruzione del motore elettrico della nuova Golf a zero emissioni
Il propulsore. Nel motore elettrico lo statore, costituito da conduttori di rame isolati e avvolti intorno a un nucleo di materiale ferromagnetico, ha il compito di creare un campo magnetico rotante; il rotore, dotato nella tipologia più diffusa di magneti permanenti, segue il movimento di questo campo. Così facendo, si ha l’erogazione della potenza meccanica che, attraverso un riduttore, il differenziale e i semiassi, viene trasmessa alle ruote. I motori elettrici sono più piccoli di quelli a combustione e ciò va a vantaggio dell’abitabilità dei veicoli che li utilizzano. Per incrementare le prestazioni di un’auto, si possono inoltre montare più propulsori a batteria: se ne viene collocato uno (o più) per asse, si ottiene la trazione integrale.

Nella foto, uno spaccato della batteria agli ioni di litio dell'Audi e-tron 55 quattro
Gli accumulatori. Le batterie sono il serbatoio di energia dell’auto elettrica, più pesante e costoso di quello della benzina o del gasolio: inoltre, impongono tempi molto più lunghi per il rifornimento. Al momento, quelle più avanzate impiegano gli ioni di litio, ma in ogni caso tutte le batterie si basano sul principio della pila elettrochimica, ovvero sullo scambio di elettroni fra due elementi, detti anodo e catodo. Il mezzo che trasporta le cariche è, invece, l’elettrolito e, di solito, si presenta sotto forma di liquido o gel (benché se ne stiano studiando anche allo stato solido, che consentono di raddoppiare la capacità della batteria a parità di dimensioni). Questi accumulatori utilizzano per l’anodo la grafite e per il catodo gli ioni di litio, mentre come elettrolito impiegano un sale di litio, sciolto in un solvente. Le batterie delle auto elettriche in genere sono collocate sotto il pianale: la protezione della parte inferiore è molto robusta per poter resistere agli urti.
Fine vita. Molti si chiedono che fine faranno le batterie da smaltire una volta che le auto elettriche saranno molto diffuse. Prima di riciclarle, in realtà, queste possono essere utilizzate per impieghi stazionari di accumulo, per esempio per lo stivaggio dell’energia ottenuta in ambienti domestici tramite i pannelli solari. Inoltre, è possibile recuperare parte dei loro materiali, come rame, nichel, cobalto e in alcuni casi anche il litio stesso. I processi, però, risultano ancora piuttosto complessi.

Nella foto, una descrizione del sistema di ricarica della Honda e
La ricarica. Per ricaricare un’auto elettrica bisogna collegarla alla rete elettrica. Ne esistono di quattro tipologie, a ognuna delle quali corrisponde un connettore differente. Il Modo 1 è idoneo solo alla ricarica di veicoli elettrici leggeri, come bici, monopattini, scooter e quadricicli; il Modo 2 è riservato alla ricarica domestica e prevede la presenza, sul cavo di collegamento tra auto e rete elettrica, di una control box con sistemi di verifica della “terra”, di dispersioni della corrente e di eventuali surriscaldamenti. Con questa modalità, la ricarica è di fatto limitata a 10 A (2,3 kW); il Modo 3, che è quello più utilizzato per le colonnine pubbliche e consigliato per gli impianti domestici, prevede un connettore a sette poli e permette d’inviare alla batteria fino a 43 kW; il Modo 4, infine, per le stazioni fast a corrente continua, consente di alimentare direttamente le batterie, bypassando il caricatore di bordo e arrivando fino a 150 kW o 350 kW di potenza (nel caso la vettura abbia la rete a 800 Volt) con due tipi di connettore (CHAdeMo o Ccs Combo2). Nel box di casa, la ricarica può avvenire anche con una normale presa Schuko col Modo 2, ma la quantità di energia ottenibile è modesta. La wallbox eroga più corrente (da 3,6 fino a 22 kW) ed è più sicura: il costo oscilla tra 1.000 e 2.000 euro, ai quali vanno aggiunte le spese d’installazione da parte di un tecnico che provvederà anche alla certificazione dell’impianto.
A chi conviene. La maggiore capacità delle batterie attuali (che hanno portato l’autonomia reale intorno ai 400 chilometri) e la più ampia diffusione delle colonnine per la ricarica rendono oggi più facile l’utilizzo delle auto elettriche. Chi le sceglie, però, dev’essere un guidatore accorto, capace di gestire l’autonomia residua e di utilizzare al meglio le app dello smartphone per pianificare i propri spostamenti. Inoltre, è preferibile disporre di un’area, all’aperto o in garage, dove installare una presa per il rifornimento degli accumulatori.

E l’ambiente? Le auto elettriche, come è noto, non hanno emissioni allo scarico. Tuttavia, per valutare in modo corretto il loro effettivo impatto sull’ambiente non bisogna considerare soltanto le emissioni di CO2 “tank to wheel” (dal serbatoio alla ruota), che sono effettivamente pari a zero, ma anche quelle dell’intero ciclo di produzione della vettura e dell’elettricità utilizzata per caricarne le batterie: nei Paesi in cui la quota di quest’ultima proviene da fonti rinnovabili è ancora modesta, il vantaggio ambientale risulta limitato.
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