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Di Risio, il venditore diventato costruttore

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Di Risio, il venditore diventato costruttore
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15 novembre 2007: nello stabilimento molisano di Macchia d’Isernia viene prodotto il primo esemplare di serie della DR5 Sono dunque dieci anni che il più giovane costruttore italiano (arrivato dopo le hypercar Pagani e Mazzanti) è operativo. E sono dieci anni che fa versare fiumi d’inchiostro giacché – nel suo piccolo – ha rimestato molte carte di un ambiente spesso ancorato a schemi consolidati. In questi dieci anni la DR non ha certo spostato volumi di mercato significativi, producendo nemmeno 20 mila vetture, ma ha fatto crollare molte certezze.

Un’azienda sui generis. La prima: che un commerciante multimarca (tale, oltre che pilota, è stato il suo fondatore Massimo Di Risio, da cui la sigla DR) possa un giorno avere la capacità e il coraggio imprenditoriale di immaginarsi costruttore. La seconda: che il nostro Paese possa essere una sorta di “transplant” di prodotti cinesi – le DR sono dei derivati Chery e Jac – ma adattati alle necessità dei mercati locali, tanto da impiegare (all’inizio) nientemeno che turbodiesel di produzione Fiat. Terzo: che non è obbligatorio avere una rete di concessionari tradizionalmente intesi per vendere automobili. All’alba della sua avventura, la DR vendeva infatti nei centri commerciali della catena Iper, forte di un posizionamento aggressivo e di un’immagine tutta da costruire che, proprio per questo, ben si adattava alla vendita diretta (badate: non solo esposizione, come fan tutti) nelle gallerie.

La grana di Termini. Poi, certo, non tutte le ciambelle riescono col buco e la DR di gatte da pelare ne ha trovate molte, sulla sua strada. Decisa a crescere, ha tentato invano la scalata all’ex fabbrica Bertone di Grugliasco, poi venduta alla Fiat; ha provato ad acquisire lo stabilmento campano della Irisbus, ma soprattutto ha investito credibilità e denaro, rischiando la bancarotta, per far propria la fabbrica Fiat di Termini Imerese, dove avrebbe dovuto iniziare la costruzione a ciclo completo di una berlina compatta, la DR4. Che, a differenza delle prime Suv DR5 e DR3 (molto simili, come da matrice cinese, alla Toyota RAV4 di seconda generazione), non sarebbe arrivata semi-completa via nave al porto di Livorno, ma sarebbe stata un modello di produzione interamente italiana. Avvicendamenti di governi e difficoltà di rapporti con gli enti locali hanno mandato in fumo il progetto, prosciugando le casse della piccola DR, che nel frattempo pagava stipendi in ritardo e non riusciva più ad approvvigionare i ricambi per i clienti.

Il rilancio. Passata la bufera siciliana, dopo l’annus horribilis 2013 con appena 300 consegne, la DR (che oggi, diventata “adulta”, ha 60 concessionari e 170 punti di assistenza) ha tentato il rilancio lo scorso anno presentando ben quattro nuovi modelli al Motor Show di Bologna. Tutti sin troppo vicini tra loro (in una forbice di 16 cm di lunghezza ci stanno dentro DR4, DR Evo5, che abbiamo provato di recente, e DR6), ma tutti con un prezzo imbattibile, compreso entro i 21.000 euro a fronte di dotazioni complete e senza sconti in modo da favorire la trasparenza. Certo, la concorrenza è fortissima, ma le DR della terza generazione (tra queste e le prime c’erano state in mezzo DR1, DR2 e City Cross) hanno dalla loro il fatto che sono Suv – e le Suv si vendono – e che sono benzina oppure bifuel benzina/metano o benzina/Gpl. E in tempi di caccia alle streghe del diesel, il non averne rischia di essere persino un vantaggio.

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