"In futuro ci saranno gare tra piloti umani e veicoli a guida autonoma"
Le sfide tra uomo e macchine artificiali non sono una novità. Basta pensare agli scacchi e al celebre incontro del 1997 tra Garri Kasparov e Deep Blue, il computer dell’Ibm capace di vincere la partita contro il maestro russo e di stupire tutti, non solo la comunità scacchistica. Oggi, anche il mondo delle competizioni automobilistiche sta iniziando ad abbracciare l’intelligenza artificiale. Lo dimostra la Indy Autonomous Challenge, la sfida per monoposto senza pilota svoltasi di recente al Ces di Las Vegas. La domanda, come si suol dire, sorge spontanea: nel futuro ci saranno delle sfide tra uomo e auto robot anche nel motorsport? La risposta l’ha data Sergio Matteo Savaresi, docente di Automazione dei veicoli al Politecnico di Milano, durante il terzo appuntamento di "Dallara 5.0", la rassegna organizzata dall’azienda di Varano de' Melegari per celebrare i suoi 50 anni di vita. “Credo che questo sarà il futuro”, ha spiegato il professore. “Non credo che l’attuale format, la competizione solo tra auto a guida autonoma, sia molto intrigante per il grande pubblico. Quindi la sfida interessante sarà l’uomo contro la macchina”. Savaresi ha comunque lanciato un chiaro avvertimento: “Il fattore umano sarà ancora decisivo anche perché dietro l’intelligenza artificiale c’è sempre un’intelligenza umana. La componente umana c’è, ci sarà e ci deve essere”.
La sfida italiana. E, tra l’altro, dietro le attuali tecnologie c’è tanta, anzi tantissima Italia e non solo perché a vincere la competizione di Las Vegas è stata la monoposto PoliMove, sviluppata dal Politecnico di Milano. Tutte le auto in gara sono state fornite proprio dalla Dallara. L’azienda emiliana ha, in particolare, fornito un telaio appositamente modificato. “La base è un veicolo che usiamo a Indianapolis”, ha spiegato l’amministratore delegato Andrea Pontremoli. “Si tratta della IndyLight, propedeutica per la Indycar, un’auto che raggiunge i 300 chilometri orari e ha una potenza di 550 cavalli. Abbiamo cercato di rendere questa competizione un po’ più accessibile a tutti dotando le auto dei sensori (Lidar, Gps, radar e altro ancora). Tutto quello che il computer riceve input era standardizzato, come lo era parte della risposta dello stesso computer”, ha proseguito Pontremoli. “Abbiamo installato quattro attuatori: uno gestiva lo sterzo, uno accelerava, uno frenava e un altro cambiava le marce. Abbiamo fornito il pacchetto completo, mentre le università hanno fatto il loro lavoro con l’intelligenza artificiale”. La collaborazione si è dimostrata un chiaro esempio di quell’’open innovation’ più volte sottolineata dal numero uno operativo della Dallara quale futuro per l'intera industria automobilistica.
Le ricadute. La prossima sfida sarà spingere le auto a guida autonoma a superare la soglia dei 300 chilometri orari (la velocità massima ha per ora toccato i 283 km/h), ma ancor più superare gli attuali limiti tecnologici con soluzioni in grado di generare ricadute industriali e quindi prodotti adatti per la vita di tutti i giorni. Gli investimenti sulla guida autonoma stanno, per esempio, producendo sensori o soluzioni sempre più utilizzate nelle auto in circolazione sulle strade: è il caso dei sistemi per la frenata automatica o per il mantenimento della carreggiata. Non solo. Un esempio è stato illustrato da Corrado Rocca, responsabile della Ricerca e Sviluppo del reparto Cyber Tyre della Pirelli. Rocca ha, infatti, ricordato come l’azienda della Bicocca sia stata la prima a lanciare uno pneumatico intelligente: “Noi di Pirelli siamo già nella fase industriale. La nostra idea è stata inserire dei sensori nelle gomme. Siamo stati i primi a inserire sensori che permettono di creare quello che noi chiamiamo il passaporto digitale dei pneumatici”. A cosa serve questo passaporto? Per esempio, a ottimizzare la dinamica del veicolo o a migliorare la sicurezza. “Noi crediamo che rendendo intelligenti le gomme si possa creare valore in tutte le dimensioni legate alla sicurezza, alle prestazioni, al confort di guida e anche all’offerta di servizi”, ha spiegato ancora Rocca. “Stiamo vedendo con piacere che piano piano l’industria dell’auto sta comprendendo le potenzialità di tecnologie che non sono più prove di laboratorio ma realtà industriali”. Anche per questo, servono competizioni come la Indy Autonomous Challenge.
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