"Contro di me un complotto della Nissan e della procura giapponese"
Duro e lungo j'accuse di Carlos Ghosn davanti a una folta platea di giornalisti: nel corso dell'attesa conferenza stampa organizzata a Beirut dopo la fuga dal Giappone, l'ex manager si è protratto per oltre un'ora in un monologo denso di strali contro la Nissan e la giustizia giapponese, accusate di aver "orchestrato un complotto" contro la sua persona pur di rimuoverlo da tutti i suoi incarichi. E non solo.
I motivi della defenestrazione. Ghosn ha spiegato le ragioni che hanno portato a un arresto che lo ha colto "totalmente di sorpresa, come accadde agli americani a Pearl Harbor". I motivi sono legati, nello specifico, al progetto di maggior integrazione tra la Nissan e la Renault. Secondo l'ex manager, i suoi guai sarebbero infatti iniziati nel 2017, quando "sono cominciate le perdite per la Nissan: c'era molto nervosismo ed è allora che hanno concepito il complotto con la procura". Ghosn ha rivendicato di aver portato la Casa di Yokohama a registrare "oltre 20 miliardi di dollari" di utili nei suoi 17 anni da numero uno. Con Hiroto Saikawa, invece, i risultati "sono crollati: era lui il responsabile, doveva trovare lui le soluzioni". L'altro motivo sarebbe stata la cosiddetta legge Florange, che ha portato la Francia ad aumentare la sua influenza sulla Renault e quindi sulla stessa Nissan. "Non volevano che la Renault acquisisse maggiore peso nell'Alleanza. Pensavano che facendo fuori me avrebbero risolto il problema". Il presunto complotto, dunque, sarebbe stato orchestrato per impedire a Ghosn di fondere completamente la Nissan con la Casa francese. "Ero pronto per andare in pensione prima di giugno 2018. Purtroppo, ho accettato l'offerta di proseguire per continuare a integrare le due società. Ma alcuni dei miei amici giapponesi pensavano che l'unico modo per sbarazzarsi dell'influenza della Renault sulla Nissan fosse sbarazzarsi di me".
Dito puntato sul management. Ghosn, che ai giornalisti ha fatto vedere alcuni documenti per smentire le accuse della procura, tra cui quella di aver sottostimato i compensi ("non determinati, non approvati e neanche pagati") e di aver utilizzato indebitamente fondi aziendali ("tutto falso, non c'è stato nessun trasferimento"), ha accusato i dirigenti della Nissan di "collusione" con le autorità giudiziarie per il presunto complotto: tra i nomi fatti dall'ex manager, ci sono quelli di Hitoshi Kawaguchi, già responsabile degli affari istituzionali, Hidetoshi Imazu del reparto revisione contabile e il consigliere Masakazu. Saikawa, così come gli altri dirigenti, hanno rispedito al mittente ogni tipo di accusa. Ghosn ha chiamato in causa anche il governo giapponese, però senza fare nomi "per proteggere il Libano".

Le rivelazioni su FCA. "La Renault-Nissan-Mitsubishi era il numero uno al mondo nel 2017, le tre società erano redditizie e in crescita, avevano strategie e c'erano iniziative tecnologiche. Ci stavamo preparando per aggiungere FCA all'Alleanza: ho trattato io con John Elkann", ha quindi rivelato Ghosn, sottolineando come sia stato "incredibile" il fallimento delle trattative tra la Fiat Chrysler e la Losanga: "È stata persa una grande opportunità, non sono andati con l'Alleanza ma con PSA. Incredibile, come fai a perdere questa enorme opportunità di diventare il player dominante in questo settore, sviluppando legami con persone totalmente complementari con l'Alleanza?". Ora, agli occhi di Ghosn la situazione è ben diversa: "Non ci sono utili, non c'è crescita, non ci sono innovazioni tecnologiche e non ci sono iniziative strategiche". Tornando sulla questione FCA, l'ex dirigente ha fornito ulteriori dettagli: "Il gruppo Fiat Chrysler e la Renault dovevano proseguire i negoziati nel gennaio del 2019 per l'accordo di fusione, ma sono stato arrestato e tutto è saltato. L'accordo doveva essere concluso in un incontro a gennaio (dell'anno scorso, ndr).
Il mistero della fuga. Nessun dettaglio è invece emerso sul rocambolesco viaggio da Tokyo a Beirut: "Non sono qui per raccontarvi come ho lasciato il Giappone", ha detto Ghosn. "È stata la decisione più rischiosa e difficile della mia vita, ma non ho avuto altra scelta che proteggere me stesso e la mia famiglia. Non sono fuggito dalla giustizia, ma dall'ingiustizia e dalla persecuzione dopo 400 giorni di prigionia". I procuratori giapponesi, in particolare, sono accusati di "alimentare un sistema arcaico e manipolativo: per questi individui la verità è ininfluente", ha aggiunto Ghosn. "Mi hanno minacciato per ottenere una confessione indipendentemente dalla verità, mi hanno ammanettato e incatenato e mi hanno posto in un brutale isolamento: non mi permettevano di vedere nessuno per giorni e giorni interi, gli interrogatori erano giorno e notte, senza pause, e perfino le medicine mi erano proibite".
"Voglio giustizia". Infine, Ghosn ha promesso battaglia. "Le accuse non sono vere e io non avrei mai dovuto essere arrestato. Sono stato trattenuto senza prove. Non ho neanche capito per cosa". L'ex manager si è anche chiesto per quale motivo sia stato più volte rinviato l'inizio del processo: "Ho rischiato di vivere cinque anni senza contare su una sentenza del tribunale e sono giunto alla conclusione che se non fossi fuggito sarei morto in Giappone. Contro di me è stata orchestrata una compagna sistematica di diffamazione che ha distrutto la mia reputazione. Ora voglio giustizia, è per questo che ho lasciato il paese. Sono innocente e voglio giustizia. E se non posso averla in Giappone, la cercherò altrove". La procura di Tokyo ha già fornito la propria risposta, definendo "categoricamente falsa" l'ipotesi di una cospirazione e un "crimine" la stessa fuga di Ghosn. Secca anche la replica del ministro della Giustizia nipponico, Masako Mori: difendendo le leggi e le procedure locali, la responsabile del dicastero ha ribadito che il governo cercherà di riportare Ghosn nel paese per il processo: un'operazione complessa, visto che il Libano non ha accordi di estradizione con Tokyo. Gli inquirenti libanesi, comunque, hanno già interrogato Ghosn e pianificano di fare lo stesso con la moglie Carole nel momento in cui arriverà una specifica richiesta dell'Interpol.
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