Al lavoro per attivare crediti a sostegno della filiera italiana
Il gruppo Fiat Chrysler conferma le indiscrezioni di stampa sull'avvio di colloqui per ottenere le garanzie statali su un maxi-prestito bancario. Tuttavia, a dispetto delle anticipazioni, i dettagli forniti dal costruttore italo-americano forniscono il quadro di un progetto di più ampio respiro volto a sostenere, in prima battuta, la gran parte dell'automotive italiano attraverso un finanziamento non dissimile dai contratti di filiera attualmente in vigore.
Il progetto. Nello specifico, è FCA Italy ad aver avviato con i ministeri dell'Economia e dello Sviluppo Economico la procedura per ottenere dalla Sace la garanzia statale stabilita dal Decreto Liquidità e, al contempo, ad aver intrapreso un dialogo con Intesa Sanpaolo per una linea di credito a tre anni per un ammontare massimo di 6,3 miliardi di euro. Il finanziamento sarà destinato "esclusivamente alle attività italiane del gruppo FCA e al sostegno della filiera dell’automotive in Italia, composta da circa 10.000 piccole e medie imprese, a seguito alla riapertura degli stabilimenti italiani, avviata a fine aprile". È previsto un meccanismo in base al quale tutte le erogazioni "derivanti dalla linea di credito sarebbero gestite attraverso conti correnti dedicati, accesi con Intesa San Paolo al solo scopo di supportare la gestione operativa dei pagamenti alla filiera italiana dei fornitori, sostenendone i livelli di liquidità e garantendo al contempo la ripartenza delle produzioni e gli investimenti negli impianti italiani".
Il ruolo chiave del settore. L'operazione, sottolineano da Torino, "riconoscerebbe il ruolo del settore automobilistico nazionale, di cui FCA, insieme ai fornitori e ai partner è il fulcro, nella ripartenza del sistema industriale italiano. Tale posizionamento sarà rafforzato nei prossimi anni" dal piano di investimenti da 5 miliardi di euro "già presentato e confermato come testimoniano i recenti avvii della produzione dei nuovi modelli Fiat 500 elettrica a Torino e Jeep Renegade e Compass PHEV a Melfi”. Del resto, sottolinea il gruppo, l'automotive è un settore chiave dell’industria italiana: genera da solo circa il 6,2% del Pil e impiega il 7% dei lavoratori dell’intera manifattura. Inoltre, rappresenta uno dei punti di forza dell'Italia, è uno dei maggiori bacini di competenza specializzata a livello industriale e commerciale in Europa ed è la fonte dei maggiori investimenti in ricerca e innovazione in Italia. In tale contesto la FCA Italy, con un fatturato di oltre 25 miliardi, è la maggior azienda industriale in Italia. Impiega direttamente 55.000 persone in 16 stabilimenti produttivi e 26 poli per la Ricerca e Sviluppo. Il suo indotto conta su oltre 200.000 posti di lavoro in 5.500 fornitori. Altri 120.000 lavoratori, in 12.000 imprese di tutte le dimensioni, sono coinvolti nei concessionari e nell’assistenza ai clienti. Infine, il 40% dei 50 miliardi di euro di fatturato annuale della componentistica automobilista italiana deriva dalle commesse FCA.
Crisi senza precedenti. La nuova linea di credito, prosegue la FCA nello spiegare i contorni del progetto, "si inserirebbe nell’ampio programma di FCA per una ripresa in sicurezza delle attività in Italia" e "farebbe seguito a un periodo senza precedenti, in cui le azioni tempestive messe in atto per mettere al sicuro dipendenti, famiglie e comunità durante l’emergenza da Covid-19, hanno comportato il totale blocco della produzione e delle attività di vendita di FCA in Italia, con un drastico e inevitabile impatto sul breve e medio termine dell’intero ecosistema automobilistico". Il costruttore ha messo in campo dei rigidi protocolli per il rientro al lavoro dei suoi dipendenti ma "la riapertura degli stabilimenti FCA e di tutto il settore dovrà inevitabilmente essere graduale". Pertanto "la procedura avviata mira a rafforzare la resilienza finanziaria dell’intero settore automotive italiano durante quello che sarà inevitabilmente un lungo e complesso periodo di ripresa".
Il dibattito. Al di là dei numeri sono bastate le tante indiscrezioni di stampa per accendere il dibattito politico sull'opportunità o meno di aiutare un'impresa con sede fiscale e legale all’estero e quindi senza particolari obblighi con l’Erario italiano. In realtà la richiesta di garanzie è stata avviata dalla FCA Italy, che ha sede a Torino e paga le tasse in Italia: l’intera galassia che gravita intorno alle attività del gruppo sul territorio italiano contribuisce, tra imposte dirette e indirette, con oltre 7 miliardi di euro l'anno. Inoltre il trasferimento di sede è un diritto riconosciuto dal Trattato istitutivo della Comunità europea. Anche per questo al dibattito politico i sindacati hanno preferito rispondere sollevando i propri timori sul futuro dei lavoratori. Per esempio la Fiom, da anni sulle barricate contro le strategie del gruppo, ha invitato il governo a convocare con urgenza i tavoli sui settori strategici con i sindacati e imprese, a partire dall'automotive, "per mettere insieme le iniziative utili e gli investimenti necessari a innovare nella direzione della sicurezza, della ecocompatibilità e dell'occupazione”. “Il Governo – aggiungono dalla Uilm – deve capire che l’industria è il perno dell’economia italiana, che l’automotive in particolare è il primo settore italiano e sta attraversando una fase di delicata transformazione”.
Le parole di Conte. La richiesta della FCA ha quindi riportato alla ribalta il tema del rilancio dell’automotive e degli interventi di sostegno chiesti nelle ultime settimane dalle associazioni di rappresentanza come l'Unrae senza trovare alcuna sponda tra le istituzioni. Della questione ha parlato ieri sera il premier Giuseppe Conte. Nella conferenza stampa sulle modalità per la riapertura delle attività dopo il lockdown ha fatto presente come il costruttore italo-americano possa beneficiare della garanzia statale “perché evidentemente risponde alle prescrizioni del decreto. Non stiamo parlando di privilegi concessi a qualcuno. Nel caso della FCA stiamo comunque parlando - al di là della capogruppo - di società che sono in Italia, di lavoro italiano, di fabbriche italiane, che producono in Italia e occupano tantissimi lavoratori”. Per Conte, il problema è semmai un altro: rendere più competitivo il diritto societario italiano e contrastare il "dumping fiscale” operato da altri Paesi dell’Unione Europea. "Bisogna chiedersi: perché vanno all’estero? C'è un diritto societario in Olanda più favorevole? Ci stiamo lavorando, stiamo introducendo modifiche che andranno nel dl semplificazione per scongiurare questa maggiore competitività di altri Paesi all'interno dell'Ue, che per me è inaccettabile”, ha aggiunto il premier. "Non intendiamo più concedere questi vantaggi a Paesi che sono nostri diretti competitor".
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