La crisi dei chip non allenta la sua morsa sul settore automobilistico. Certo non manca una generalizzato miglioramento delle forniture, quantomeno rispetto ai mesi scorsi, ma questo non vuol dire che la carenza di semiconduttori sia stata risolta o sia comunque vicina a una soluzione. Negli ultimi giorni sono stati diversi i segnali negativi lanciati dai più importanti costruttori su una situazione che rimane ancora difficile da affrontare anche per chi è riuscito finora a limitare i danni. È il caso del gruppo Toyota, capace di ridurre al minimo le ripercussioni della crisi dei chip grazie a un'attenta gestione delle scorte e ai legami con la connazionale Renesas, il maggior produttore al mondo di semiconduttori per l’auto, ma ora sottoposta a un forte stress produttivo.

Il caso Toyota. La multinazionale guidata da Akio Toyoda - alle prese, tra l’altro, con le conseguenze di un aumento dei casi di contagio da coronavirus in Giappone e nel Sud-Est asiatico - ha evitato i pesanti tagli alle attività produttive decisi da buona parte della concorrenza facendo leva su una strategia risalente a dieci anni fa. In sostanza, alla Toyota hanno optato per elevati livelli di stoccaggio di componenti elettroniche dopo aver subito le ripercussioni del terremoto del 2011 e del conseguente disastro della centrale nucleare di Fukushima. Finora, il sistema di gestione del magazzino ha funzionato ma l’assenza di forniture costanti e stabili e il peggioramento delle catene logistiche (i noli marittimi sono ormai non più sostenibili e mancano, letteralmente, container e navi) hanno determinato un rapido esaurimento delle scorte che ha spinto l’azienda a tagliare del 40% i programmi produttivi previsti per il mese di settembre: la decisione interessa, nel complesso, 14 impianti in tutto il mondo e in particolare in Giappone e Nord America. 

La situazione in Usa. Finora i costruttori nordamericani sono stati tra i più penalizzati dalla crisi dei chip. La General Motors ha annunciato nuovi stop produttivi per una o due settimane in diversi impianti statunitensi, tra cui la fabbrica delle elettriche di Orion (Michigan), per la prima volta colpita dalla carenza di semiconduttori. La decisione riguarda altri sei impianti tra Stati Uniti e Messico, alcuni dei quali già fermi da tempo per la mancanza di forniture. Problemi riguardano anche la Ford, costretta a sospendere temporaneamente la produzione del popolare pick-up F-150 nel sito di Kansas City. 

I problemi europei. La Casa di Dearborn sta affrontando problemi anche in Europa e nello specifico a Colonia, in Germania. La produzione della Fiesta, già da tempo soggetta a frequenti "stop-and-go", sarà sospesa dal 23 al 28 agosto e per i 5 mila addetti all’assemblaggio della compatta dell’Ovale blu l’azienda ricorrerà al Kurzarbeit, uno strumento che prevede un orario ridotto analogo alla nostra cassa integrazione. Situazione simile riguarda altre fabbriche automobilistiche tedesche: l’Audi ha deciso di prolungare le vacanze estive e di tagliare la produzione a Ingolstadt e Neckarsulm, facendo di nuovo ricorso al Kurzarbeit per circa 10 mila lavoratori. Anche la storica fabbrica della Volkswagen a Wolfsburg sta pagando le conseguenze della carenza di chip: dopo la pausa estiva, le attività riprenderanno a ritmo ridotto e solo su uno dei turni lavorativi, ma non sono esclusi ulteriori rallentamenti. L’azienda, che ha ribadito la sua visione su una situazione delle forniture "molto volatile e incerta", sta rispondendo alla crisi anche con decisioni forti come la cancellazione temporanea della produzione della ID.3 Pure, la versione base della sua prima elettrica su base Meb, per privilegiare le altre varianti. Non sta registrando problemi, almeno per ora, il gruppo BMW, mentre Stellantis è stata costretta a fermare del tutto l’impianto di Rennes e parzialmente lo stabilimento di Sochaux. 

Le nuove previsioni. Di sicuro, i continui stop produttivi, per quanto meno frequenti rispetto ai primi mesi dell’anno, determineranno minori volumi e ripercussioni anche sulle attività commerciali. Le ultime previsioni sono abbastanza sconfortanti. Non a caso, diverse sono state le Case che hanno rivisto le stime sulle vendite annuali nell’ultima tornata dei conti trimestrali. Al momento è difficile fare calcoli minimamente affidabili sulle perdite per l’intero settore: AutoForecast Solutions ha quantificato i minori volumi finora registrati in 5,96 milioni di unità e ritiene che i costruttori non saranno in grado di produrre 7,1 milioni di veicoli quest’anno. Ihs Markit fornisce un quadro ancor più dettagliato pur avvertendo di stime non comprensive dell’ultima decisione presa dalla Toyota. La società americana prevede la perdita di 1,6 milioni di unità nel terzo trimestre, in deciso miglioramento rispetto ai 2,6 milioni del secondo trimestre (1,44 milioni nel primo). Tuttavia, i suoi ricercatori ritengono sempre più probabile che si salga tra 1,8 e 2,1 milioni di unità nel caso ci siano continue sospensioni produttive a settembre. "Per l'intero 2021, considerando le stime per il terzo e il quarto trimestre e le perdite già identificate nella prima metà dell'anno, prevediamo che i rischi legati alla carenza di semiconduttori portino a minori volumi tra 6,3 milioni e 7,1 milioni di unità a livello globale", ha aggiunto il direttore esecutivo Mark Fulthorpe.