Prezzi più alti e nuovi modelli, così le Case arginano la crisi dei chip
Per il settore dell’auto, la carenza di semiconduttori si sta trasformando in una delle crisi più ostiche degli ultimi decenni. Non tutto, però, è così nero: le trimestrali dei maggiori costruttori, infatti, dimostrano che la penuria di chip non sta influenzando i conti come qualcuno lasciava presagire. Le Case hanno sì pagato dazio a livello produttivo e commerciale, ma sono riuscite per lo più a limitarne le conseguenze, in particolare sulla principale componente di bilancio: la redditività.
I fattori in comune. I comunicati diffusi negli ultimi giorni evidenziano, innanzitutto, due aspetti: da una parte le iniziative industriali, dall’altra il miglioramento del mix di prezzo e prodotto. Tradotto, significa che le Case hanno rallentato o sospeso la produzione di alcuni modelli per concentrare la capacità su veicoli elettrificati (necessari per ridurre le emissioni di flotta ed evitare le multe per lo sforamento dei limiti), su prodotti lanciati da poco (le spese di sviluppo devono essere ammortizzate velocemente), oppure su veicoli dalla maggior marginalità (modelli di fascia alta o lusso oppure con dotazioni più ricche). In sintesi, i costruttori hanno venduto di meno, ma hanno guadagnato di più su ogni singola vendita.
Produzione e ricavi. In tal modo è stato in parte compensato l’effetto, comunque consistente, delle scarse forniture di chip sulle attività produttive e commerciali. Il gruppo Stellantis ha subìto perdite produttive per 600 mila veicoli tra luglio e settembre (altri 700 mila nel primo semestre), mentre le consegne globali sono calate del 27%. La Renault ha visto le vendite calare del 22,3% e la produzione di 170 mila veicoli e ha più che raddoppiato le sue stime sulle perdite annuali a circa 500 mila unità. Per il gruppo Volkswagen, il calo produttivo trimestrale ammonta a 600 mila veicoli, mentre la flessione delle consegne è quasi del 30%. In tutto ciò, i ricavi sono sì scesi, ma con percentuali assai inferiori rispetto alla produzione: -14% per Stellantis, -13,4% per Renault, -4,1% per Volkswagen. Lo stesso vale anche per la Ford (-14% le consegne, -5% i ricavi) o per le attività automobilistiche della Daimler (-30% contro un -0,8%). In alcuni casi, poi, i risultati sono stati decisamente brillanti. Il gruppo BMW, malgrado consegne in calo del 12,2%, ha infatti messo a segno un incremento dei ricavi del 4,5%, la Toyota ha assistito a una crescita di oltre l’11% e la Nissan dell’1,1%.

Sale la redditività. Lo scostamento tra i due andamenti è stato giustificato con il miglioramento del mix di prodotto e di prezzo legato al contributo di modelli nuovi o dai prezzi più elevati. La Daimler ha citato le linee di prodotto Mercedes-Maybach, Mercedes-AMG e i modelli Classe S, Classe G, GLE e GLS, Stellantis il debutto di DS 4, Jeep Grand Cherokee L, Opel Mokka e Peugeot 308 e la Renault le nuove Dacia Sandero e Duster e la linea E-Tech, mentre la Ford ha sottolineato la forte domanda per la famiglia Bronco e per la Mustang Mach-E. Il miglior mix, unito al contenimento dei costi legato all’ottimizzazione dei processi produttivi, ha quindi consentito di limitare le perdite sul fronte della redditività. Non mancano, però, casi emblematici di forte crescita. L’utile operativo del gruppo BMW è salito del 49,8% a 2,88 miliardi, il margine operativo dal 9,4% al 12,4% e l’utile netto del 42,4% a 2,58 miliardi. Toyota ha assistito a un balzo del 48% per l’utile operativo, mentre la Nissan è passata da un rosso di 4,8 miliardi di yen (36,7 milioni di euro) a un utile di 63,4 miliardi (484,1 milioni di euro).
Le prospettive. La crisi dei chip ha comunque fatto sentire i suoi effetti sul rendiconto finanziario. Nel caso della BMW, i flussi di cassa si sono più che dimezzati a 1,4 miliardi. Analoga situazione per la Daimler, scesa a 2,25 miliardi, oppure per il gruppo Volkswagen, che ha visto una riduzione da 10,2 a 3,6 miliardi. Dalle trimestrali, emerge dunque un quadro in chiaroscuro con la carenza di semiconduttori a pesare su vendite, ricavi e cassa e con i costruttori capaci di limitare le conseguenze sul fronte della redditività. Per il futuro, invece, i segnali sono sostanzialmente più rosei. Malgrado le numerose incertezze e la scarsa visibilità su alcuni fattori come il rincaro delle materie prime, la volatilità dei cambi o l’andamento dell’emergenza pandemia, i costruttori hanno ribadito, se non migliorato, i target annuali per tener conto delle previsioni su una stabilizzazione delle forniture di semiconduttori. I vertici del gruppo Stellantis, della Daimler e della Renault hanno tutti confermato i loro obiettivi, mentre la Ford ha ripristinato la distribuzione dei dividendi trimestrali e alzato le stime sull’utile operativo da 9-10 miliardi di dollari a 10,5-11,5 miliardi. La BMW ha rivisto al rialzo le stime sul margine operativo dal 7-9% al 9,5%-10,5% per tener conto di una "solida crescita delle consegne" e di un utile operativo "notevolmente superiore" al 2020. Infine, anche la Toyota e la Nissan hanno apportato dei miglioramenti alle loro previsioni annuali. Questi sono solo pochi esempi, ma in generale sembra proprio che il settore abbia ormai superato la fase peggiore della crisi dei chip e che l’orizzonte sia meno denso di nubi. Le sorprese, però, sono sempre dietro l’angolo e i costruttori dovranno tenere alta l’attenzione.
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