Tabarelli (Nomisma Energia): "Guerra? Fabbriche chiuse e benzina a oltre 2 euro"
Che cosa potrebbe accadere se la Russia invadesse l’Ucraina? Quali potrebbero essere le conseguenze internazionali di un conflitto tra i due Paesi? Le ripercussioni delle tensioni nell’area (e non solo, visto che il quadro coinvolge tutti i principali attori internazionali, dall’Europa agli Stati Uniti, fino alla Cina) si stanno avvertendo da mesi e la guerra sembra sempre più vicina. Anche in Italia, la cui dipendenza dal gas naturale si manifesta nell’utilizzo per il riscaldamento e le cucine di oltre 17 milioni di abitazioni, ma anche nelle attività industriali e nella produzione di energia elettrica. La chiusura dei rubinetti da parte della Russia di Putin potrebbe, quindi, avere per noi conseguenze disastrose, che abbiamo analizzato con Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, centro studi specializzato in materia.
Che cosa potrebbe accadere, a livello di scenario energetico, se a breve tra Russia e Ucraina la parola dovesse passare veramente alle armi?
Sarebbe un disastro, perché, proprio nel momento in cui la domanda è al massimo essendo inverno, il 40% dei consumi europei rischierebbe di non essere soddisfatto. E le conseguenze sarebbero immediate. In questo periodo, per esempio, il nostro consumo di gas è di circa 360 milioni di metri cubi al giorno, circa 100 dei quali provengono dalle nostre scorte, 8 milioni dalla produzione nazionale e oltre 250 milioni dalle importazioni, 80 dei quali arrivano dalla Russia (il resto proviene da Algeria, Libia, Olanda e dai rigassificatori). Se la fornitura russa dovesse venire meno, dovremmo aumentare i prelievi dagli stoccaggi; ma se ciò si protraesse oltre un certo numero di giorni, la pressione nel sistema calerebbe e questo creerebbe un problema nella capacità di soddisfare la richiesta, soprattutto nei certi giorni più freddi di febbraio, in cui il fabbisogno potrebbe arrivare a 450 milioni di metri cubi. A quel punto, dovremmo tagliare le forniture alle fabbriche e alle centrali elettriche, riducendo le produzioni nel pieno dell’inverno. Potremmo ricorrere al carbone, ma non ne abbiamo quantità sufficienti, mentre la Germania, lo scorso anno, ha aumentato la sua disponibilità del 30%.
Un quadro catastrofico, in una situazione che, già oggi, non è propriamente rosea…
A dire il vero, personalmente credo che una guerra tra Russia e Ucraina sia improbabile, ma le conseguenze di queste tensioni sono evidenti sui prezzi del gas, già esplosi oltre qualsiasi livello ragionevole: siamo passati da 10-20 euro per megawattora a 40, poi - come ora - a 90, con punte addirittura di 180 in dicembre. L’unica cosa che ci ha salvati, fino a questo momento, è stata un inverno relativamente mite, senza grandi ondate di gelo in Europa occidentale, fatto che ha contribuito a contenere i consumi. Ma è una situazione irrazionale, sulla quale i governi avrebbero dovuto intervenire, come successe con la crisi petrolifera degli anni 70: invece la politica, non soltanto italiana, ma anche inglese, tedesca e americana, sembra disinteressata, impotente, confusa. Così, ci troviamo con il gas a 90 euro a megawattora, contro costi di produzione in Russia di 3 euro, che diventano 7-8 tenendo conto delle spese di trasporto, e in Italia di 5 euro. Sono dati che rivelano come ci sia qualcosa di sbagliato nei mercati, che le nostre autorità dovrebbero regolare maggiormente.
Il problema potrebbe riguardare anche il petrolio?
Incrociamo le dita, ma potrebbe accadere anche questo. E ci sono segnali in tal senso: alcuni analisti ipotizzano un prezzo del petrolio di almeno 100 dollari al barile, che porterebbe quello del gasolio verso gli 1,85-1,90 euro al litro e la benzina a oltre 2 euro. Ma se succedesse per il petrolio quanto è accaduto con il gas, avremmo un prezzo del gasolio di 3 euro al litro, con le conseguenze immaginabili. E le ragioni che hanno condotto il gas a triplicare il suo costo potrebbero replicarsi per il petrolio, perché sono cause soprattutto finanziarie: alla fine di quest’anno e nel 2023, l’Opec dovrà aumentare velocemente la produzione per far fronte alla crescita della domanda, dovuta, in primis, alla prevista ripresa del traffico aereo, oggi ancora modesto. E questo perché al di fuori dell’Opec non sono più stati fatti investimenti per accrescere la produzione: si è puntato molto sulle rinnovabili e le grandi società petrolifere che investivano nelle fonti fossili si sono fermate, di fronte all’opposizione dei loro investitori.
Il caro gas significa caro elettricità, anche per la ricarica delle auto a batterie, la cui diffusione si vuole fortemente incrementare…
Il gas ha fatto schizzare in alto il prezzo dell’elettricità, quindi, con queste tariffe, viaggiare con un’auto elettrica costa di più rispetto a spostarsi con una diesel; il problema è che il 46% della nostra produzione di elettricità dipende proprio dal gas, contro il 41% delle rinnovabili, comprendendo in questo dato tutte le fonti, quelle fotovoltaiche, che contano per il 9%, le idroelettriche (16% del totale), le eoliche (più o meno pari alle idroelettriche), le geotermiche e l’utilizzo delle biomasse. Nel 2021, la produzione da fonti rinnovabili è rimasta abbastanza stabile, essendo diminuita un po’ quella idroelettrica, mentre quella fotovoltaica ed eolica sono aumentate. Il nostro problema, però, è legato anche al fatto che il 13% della nostra domanda è soddisfatta da importazioni di energia elettrica, incrementate del 33% nel 2021: e si tratta soprattutto di energia proveniente dalle centrali nucleari francesi.
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