La Germania punta sull’elettrico, ma andrà “a carbone”
Da diverso tempo le associazioni di rappresentanza del settore automobilistico lanciano avvertimenti su alcuni fattori fondamentali per la mobilità elettrica. Uno dei più importanti è la disponibilità di energia “verde” per ricaricare le auto a batteria. In fin dei conti, era proprio questo uno dei principali propositi della Commissione europea con il suo Green Deal: aumentare il ricorso alle fonti rinnovabili per accelerare la transizione ecologica. Peccato che la guerra in Ucraina stia dimostrando il contrario, visto che i Paesi europei più industrializzati, per compensare il calo delle forniture di gas russo, intendono aumentare l'uso del carbone: è il caso dell’Italia e ancor di più della Germania, la nazione che sta spingendo più di tutte sulla conversione all’elettrico della propria produzione automobilistica.
Paradosso tedesco. Dunque, i costruttori tedeschi si stanno trovando ad affrontare un vero e proprio paradosso: sono obbligati a spingere sulla mobilità alla spina, ma dovranno affidarsi alla peggiore di tutte le fonti fossili. “Per ridurre il consumo di gas è necessario utilizzarne meno per generare elettricità. Invece, le centrali elettriche a carbone dovranno essere utilizzate di più”, ha annunciato ieri il ministero dell’Economia. In sostanza, la Germania è stata costretta a cancellare in un colpo solo uno degli obiettivi alla base dell’accordo di coalizione tra socialdemocratici, liberali e verdi che ha portato alla costituzione del governo Scholz: anticipare dal 2038 al 2030 l’addio al carbone. “È una decisione amara, ma è essenziale per ridurre i consumi di gas”, ha ammesso il leader dei verdi e ministro dell’Economia, Robert Habeck, riconoscendo così il peggioramento della situazione energetica per colpa del calo delle forniture di gas russo.
La Cop26 e il caso Italia. Del resto, analoga decisione è pronta a prenderla anche il governo Draghi, con la riaccensione delle centrali a carbone italiane non ancora dismesse. Paradossalmente, proprio Germania e Italia hanno firmato, alla Cop26 di Glasgow, l’impegno ad abbandonare il carbone per il 2030, il che dimostra come l’attuale scenario sia decisamente allarmante, tra forte rincaro delle bollette energetiche e rinnovabili ancora lontane dal soddisfare un fabbisogno che, tra l’altro, è destinato ad aumentare con le temperature torride delle ultime settimane. Basta un esempio: in Italia, la siccità sta fermando le prime centrali idroelettriche, mentre aumentano i black out causati dal maggior utilizzo dei condizionatori d’aria. Il tutto dimostra - se ce ne fosse ancora bisogno - una delle conseguenze del conflitto ucraino: il rallentamento della transizione ecologica e il trasferimento sui carburanti fossili delle risorse pubbliche originariamente destinate a tutt'altro. È un controsenso, ma è quello che sta accadendo.
Gli effetti sull’auto. La misura tedesca è stata definita temporanea, se non del tutto transitoria. Putroppo anche la guerra in Ucraina, almeno inizialmente, doveva essere una questione di pochi giorni e ora qualcuno paventa la possibilità che duri anni. È ovvio che un maggior ricorso al carbone o ai carburanti fossili per le produzioni energetiche abbia un impatto diretto sulla mobilità elettrica, ancor di più in Germania, dove il carbone rappresenta oltre il 30% del mix energetico e risulta in salita per colpa del minor contributo dell’eolico del Mare del Nord, penalizzato negli ultimi mesi dalla scarsa ventosità (tutto ciò dimostra quanto affidarsi alle rinnovabili sia rischioso a causa della loro imprevidibilità). Dunque, la correlazione tra mobilità elettrica e rinnovabili è destinata a subire un forte contraccolpo e non si sa neanche per quanto tempo. Eppure i costruttori di allarmi ne hanno lanciati a iosa negli ultimi anni. Volvo, la prima Casa europea a votarsi al solo elettrico per il 2030, ha ammesso che la produzione di un’elettrica implica emissioni fino al 70% superiori rispetto all’assemblaggio di un’auto tradizionale. Di conseguenza, con l’attuale mix energetico europeo (per il 60% legato a fonti fossili) un veicolo a batteria deve percorrere almeno 60 mila chilometri per avere un impatto positivo sull’ambiente. Analogo avvertimento è arrivato da Carlos Tavares, amministratore delegato di Stellantis: “Con il mix energetico dell’Europa, un veicolo elettrico deve percorrere 70 mila chilometri prima di compensare l’impronta di CO2 creata dalla fabbricazione della batteria”. Con un maggior ricorso al carbone, crescenti ritardi nello sviluppo delle rinnovabili e il contestuale e, per alcuni versi, inspiegabile no al nucleare, è evidente che i benefici dell’elettrico si allontanino nel tempo. Anche questo, alla fine, è uno rischi legati a quell’approccio monotecnologico perseguito dall’Europa e fortemente criticato dalle associazioni della filiera, ossia da quelli che più di ogni altro conoscono come si produce un’automobile.
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