Stop nel 2035 a diesel e benzina: cosa succede ora? - DOMANDE E RISPOSTE
Il Parlamento europeo ha approvato in via definitiva il bando alla vendita di veicoli con motori a combustione interna, scatenando titoloni sullo stop alle "auto inquinanti", aperture di prima pagina e articoli di scenario su una notizia considerata epocale. Peccato che molti non abbiano seguito la vicenda nella sua completezza: si è trattato, infatti, di un voto in seconda lettura (è bene rimarcarlo), mentre i passi principali, questi sì epocali, sono stati fatti l’anno scorso. In sostanza, la giornata di ieri non è stata altro che una formalità nel percorso che porterà all’adozione delle nuove normative europee. Percorso che potrebbe non essere lineare come sembra: dunque, è il caso di farsi delle domande e di dare, ove possibile, delle risposte.
Cosa è successo?
Partiamo dall'inizio: verso la metà di luglio del 2021, la Commissione europea presenta le sue proposte per la decarbonizzazione dell’economia europea e la lotta ai cambiamenti climatici. Si tratta del pacchetto di misure "Fit for 55", che include lo stop alla vendita di veicoli endotermici per il 2035. Il testo viene sottoposto prima all’esame delle commissioni parlamentari, che apportano alcune modifiche come la deroga per i piccoli costruttori (l’emendamento viene subito definito "Salva-Motor Valley") e poi all’Europarlamento. Quest'ultimo, non senza qualche spaccatura interna ai partiti, approva il testo in prima lettura con 339 sì, 249 no e 24 astensioni. Quindi, la proposta diventa oggetto del cosiddetto "trilogo", il processo di trattative formali e informali tra i vari organismi europei. Il primo passaggio riguarda il Consiglio Ue, che alla fine di giugno trova con lo stesso Parlamento un accordo "provvisorio e politico", ma aggiunge tutta una serie di modifiche al testo ed è questo a essere stato votato ieri dall’Europarlamento, con voti quasi identici a quelli della prima lettura (340 voti a favore, 249 contrari e 21 astensioni), a dimostrazione di come un ribaltone fosse quasi impossibile. Sarebbe stata questa la notizia da prima pagina, non il voto (scontato) di ieri.
Quali saranno i prossimi passi?
Se qualcuno pensa che la partita sia finita si sbaglia di grosso, perché ci saranno ulteriori passaggi tecnici da espletare: aspettatevi, quindi, altri titoloni sullo stop alle auto inquinanti. Il testo dovrà essere approvato in via formale anche dal Consiglio europeo e, solo in caso di via libera (da considerarsi anche questo scontato), potrà essere pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell'Unione, facendo così partire il processo di adozione stabilito dai trattati europei.
Si può tornare indietro?
A questa domanda è veramente difficile rispondere perché il treno verso la mobilità elettrica è ormai partito ed è difficile pensare che alcuni Paesi, soprattutto quelli del Nord Europa, possano decidere per un dietrofront. C’è, però, un aspetto da non sottovalutare: rispetto alle proposte originarie della Commissione europea, il testo include una serie di modifiche sostanziali, tra cui l’apertura a un approccio più improntato alla neutralità tecnologica e a un maggior pragmatismo. Noi di Quattroruote l’abbiamo già sottolineato: il futuro dei motori a combustione non è ancora scritto nero su bianco, visto che tra tre anni ci potrà essere un "ultimo appello". La Commissione, infatti, dovrà valutare "i progressi compiuti verso il raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni del 100% e la necessità di riesaminare tali obiettivi tenendo conto degli sviluppi tecnologici, anche per quanto riguarda le tecnologie ibride plug-in e l'importanza di una transizione praticabile e socialmente equa verso le emissioni zero". In questo quadro che vanno lette le dichiarazioni del commissario Thierry Breton su un phase-out da valutare senza tabù ideologici. Detto questo, occorre ricordare un ulteriore aspetto: è l’argomento della prossima domanda.

C’è uno scoglio politico? Le prossime elezioni europee cambieranno qualcosa?
Diversi emendamenti sono stati voluti da alcuni specifici Paesi, come l’Italia e la Germania, che hanno spinto per includere la possibilità di valutare anche tecnologie alternative all’elettrico come l’idrogeno o i biocarburanti. Del resto, nelle nazioni di maggior tradizione automobilistico il dibattito sulla fine delle endotermiche ha portato, spesso e volentieri, numerosi politici a scagliarsi contro l’Europa per una scelta non priva di rischi, tra cui l’asservimento dell’industria automobilistica continentale alla Cina. Per comprendere, basta leggere la nostra intervista al ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, contrarissimo allo stop del 2035. Ecco perché non va dimenticato come nel 2024 siano previste le elezioni europee, che potrebbero cambiare anche in modo significativo l’attuale composizione della maggioranza parlamentare e quindi della Commissione. Dunque, non è per nulla un caso la decisione di includere l’emendamento sul 2026, anche se, ed è bene metterlo in chiaro, un vero e proprio dietrofront, a oggi, è abbastanza improbabile: gli investimenti e i programmi per i prossimi dieci anni si decidono oggi, non certo domani.
Cosa cambia per i consumatori?
Non sono poche le Case ad aver già preso una decisione ben precisa: già nel 2030, tanti costruttori smetteranno di vendere del tutto diesel e benzina, cessando loro produzione. A quel punto, i consumatori dovranno per forza abbracciare la mobilità elettrica? Non proprio. Con ogni probabilità, nei prossimi anni ci sarà un boom di endotermiche usate e magari ricondizionate, ancor di più se non si risolveranno gli attuali problemi della mobilità elettrica, tra cui il dispiegamento massiccio e capillare di punti di ricarica pubblici e il miglioramento, più che delle autonomie, dei tempi di ricarica.
Incentivi: sì o no?
Sul secondo punto, molto dipende dai progressi tecnologici e dagli investimenti delle Case, sul primo sarà fondamentale l’intervento pubblico. E qui si apre la questione degli incentivi. In Italia sono del tutto inefficaci a causa di una soglia d’accesso troppo bassa. Non a caso il mercato italiano è stato l’unico, l’anno scorso, a registrare un declino delle auto alla spina nel panorama europeo. Tuttavia, da alcuni Paesi arrivano segnali di un rallentamento dell’adozione delle Ev: è il caso della Norvegia, dove è bastato cancellare tutta una serie di agevolazioni per assistere a gennaio a un calo delle vendite, o quantomeno della quota di mercato. Oppure della Germania: sempre a gennaio, il taglio degli incentivi all’acquisto ha prodotto una contrazione delle immatricolazioni. Difficile pensare che gli Stati possano sostenere per anni e anni una politica di incentivazione, sarebbe folle per i conti pubblici. Detto questo, spingere la mobilità elettrica senza incentivi, dati i costi ancora elevati delle vetture, è una partita persa. Tra l’altro, bisogna anche tener conto che l’Europa ha deciso di rivedere l'attuale meccanismo di incentivazione dei veicoli a zero e basse emissioni (fino a 50 g/km di CO2) per adattarlo alle tendenze commerciali previste: per il periodo 2025-2029, il benchmark ZLEV è fissato al 25% per le vendite di nuove auto, ma dal 2030 sarà rimosso completamente.

I motori a combustione spariranno davvero?
La risposta a questa domanda è abbastanza semplice: no, ma le tecnologie tradizionali non diventeranno certo cimeli da museo, ma di sicuro rimarranno confinati a un mercato di nicchia. Come detto, sono previste delle deroghe per i piccoli costruttori. Chi produce dalle mille alle 10 mila unità l’anno potrà non rispettare i limiti fino alla fine del 2035. Inoltre, è prevista un'esenzione totale per chi ne produce meno di 1.000. Dunque, chi può già oggi permettersi una Pagani o una qualsiasi hypercar potrà tranquillamente continuare a sentire i rombi dei motori con cilindri e pistoni. Per gli altri rimarrano solo sibili elettrici, sempre che l’Europa non decida di dare una chance ai biocarburanti.
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