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Industria e Finanza

Stati Uniti
Stellantis, GM e Ford rischiano un'ondata di scioperi: ecco perché

Le Big Three di Detroit rischiano di subire un'ondata di scioperi come non se ne vedevano da anni. Il motivo? Ford, General Motors e Stellantis sono nel pieno delle trattative per il rinnovo del contratto collettivo di lavoro con il sindacato United Auto Workers, ma finora non si sono registrati passi in avanti e i rappresentanti di circa 150 mila lavoratori sono ormai pronti a proclamare un'agitazione che potrebbe creare non pochi problemi ai tre costruttori. Del resto, mancano ormai pochi giorni alla scadenza del contratto attualmente in vigore e i margini per una ricomposizione sono sempre più risicati, al punto che lo sciopero non è più una semplice minaccia da tavolo negoziale, bensì un'ipotesi sempre più concreta. 

IN BREVE

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Stellantis, GM e Ford rischiano un'ondata di scioperi: ecco perché
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LE RICHIESTE DEL SINDACATO

Le trattative tra Uaw e costruttori sono ufficialmente iniziate il 12 luglio scorso e sin dall'inizio Shawn Fai, numero uno del sindacato, ha mantenuto la promessa fatta al momento della sua elezione (a marzo): Fain ha annunciato un cambiamento nell'approccio negoziale rispetto ai precedenti rinnovi contrattuali, garantendo una comportamento "aggressivo", per non dire bellicoso. Il sindacalista ha apertamente parlato dell'obiettivo del sindacato di vincere "una guerra" contro l'avidità di aziende e società multimiliardarie (secondo l'Uaw le tre Big hanno registrato profitti per 21 miliardi di dollari nel primo semestre del 2023 e, solo negli Stati Uniti, per 250 miliardi negli ultimi 10 anni). E così è stato sin dalle prime battute dei colloqui. Lo stesso Uaw ha alzato l'asticella con una proposta definita "audace" dai suoi stessi rappresentanti: in particolare, il sindacato ha presentato numerose richieste, tra cui l'aumento dei salari del 46% in quattro anni con un 20% di incremento sin dalla firma del rinnovo; il ripristino degli incrementi automatici legati all'inflazione; l'eliminazione del sistema salariale su più livelli attualmente in vigore (oggi le Case pagano 28 dollari l'ora i lavoratori con più anni di servizio e tra 16 e 19 dollari gli assunti dopo il 2007); il debutto di un nuovo regime pensionistico con benefici predefiniti per tutti i lavoratori; la reintroduzione delle prestazioni mediche per i pensionati; garanzie sul diritto di sciopero per le chiusure di stabilimenti; la trasformazione di tutti i contratti a tempo determinato in indeterminati; l'istituzione di una settimana lavorativa di 32 ore.

LE CONTROFFERTE

Le richieste dei sindacati sono state accolte con preoccupazione dai tre costruttori, i quali temono un aumento significativo dei costi operativi in un momento di profonda trasformazione e in cui sono richiesti investimenti multimiliardari. Dal canto loro, i lavoratori hanno sostenuto l'azione sindacale votando a favore di un eventuale sciopero in caso di risposte insoddisfacenti. Il referendum è stato indetto in agosto per forzare la mano alle tre Big e per accelerare negoziati finiti in una situazione di stallo. A tal proposito, il ritmo dei colloqui ha subito un'accelerazione dopo un'ulteriore iniziativa del sindacato, che dimostra quanto aggressivo sia il nuovo approccio sul tema del rinnovo del contratto: il 31 agosto è stata depositata una denuncia per pratiche di lavoro sleali contro GM e Stellantis, accusate esplicitamente di voler rallentare le trattative rifiutandosi di presentare delle proposte. Alla fine, Ford, GM e Stellantis hanno presentato delle offerte di rinnovo, ma si sono rivelate molto lontane dagli obiettivi indicati dall'Uaw. Ford, per esempio, ha offerto un aumento dei salari del 10% fino al 2027 (la proposta iniziale era del 9%) e pagamenti forfettari pari al 6% delle retribuzioni. Stellantis si è spinta a proporre un aumento del 14,5%, ma ha escluso qualsiasi possibilità di erogare bonus o pagamenti una tantum. Inoltre, il gruppo si è offerto di incrementare il salario minimo dei lavoratori temporanei fino a 20 dollari l'ora e di tagliare da otto a sei anni il tempo necessario per ogni dipendente con contratto a tempo indeterminato per raggiungere il massimo salariale. GM, invece, si è resa disponibile ad aumentare gli stipendi del 10% e a distribuire due ulteriori pagamenti forfettari annuali del 3% in quattro anni. Infine, sia Stellantis, sia General Motors, sia Ford hanno proposto il pagamento in quattro anni di un'indennità anti-inflazione del valore, rispettivamente, di 10.500 dollari, di 11 mila dollari e di 12 mila dollari. 

LA REAZIONE

Le proposte non sono riuscite a risolvere lo stallo delle trattative. Per quanto abbia sottolineato alcuni aspetti positivi, Fain ha definito il pacchetto "profondamente inadeguato" e carente sotto molti punti di vista: "Vogliamo un accordo. Siamo pronti per un accordo, ma deve essere un accordo che onori i nostri sacrifici e il nostro contributo", ha detto il sindacalista, sottolineando l'ormai imminente scadenza dell'attuale contratto di lavoro. Lo stop scatterà infatti alle 12 (le 18 in Italia) di giovedì 14 settembre: se nelle ultime ore non si arriverà un accordo, lo sciopero avrà inizio e riguarderà tutti e tre i costruttori. Del resto, il sindacato si è sempre detto pronto a tutto. Lo dimostra la posizione negoziale finora tenuta: doveva essere "conflittuale" e "senza precedenti" rispetto alle passate tornate negoziali e così è stato sin dalle prime battute. Ogni avvio di trattative per il rinnovo del contratto è stato sempre sancito da una stretta di mano tra i sindacalisti e i vertici aziendali, a riprova delle intenzioni di raggiungere un compromesso soddisfacente per le parti in causa e in tempi rapidi: quest'anno, invece, Fain ha disertato la cerimonia anche per confermare, senza se e senza ma, le sue recenti dichiarazioni sull'intenzione di "cambiare la cultura di questo sindacato, trasformandolo da un'organizzazione reazionaria e difensiva a una aggressiva e offensiva".

RISCHI E CONSEGUENZE

Detto questo, se lo stallo negoziale non sarà risolto, le tre Big di Detroit rischiano di andare incontro a gravi conseguenze. Ne sono convinti i molti esperti interpellati dagli organi di stampa americani, tutti concordi su un impatto significativo sulla produzione automobilistica del Paese, in particolare se la vertenza verrà prolungata nel tempo. Del resto, la posta in gioco è estremamente alta. Secondo alcune stime, le richieste del sindacato potrebbero aumentare di circa 80 miliardi di dollari i soli costi del lavoro di ogni singolo costruttore nei quattro anni di validità del nuovo contratto. Altri ritengono possibile un incremento dei salari e delle altre retribuzioni dagli attuali 64 dollari l'ora a oltre 150: si tratta di effetti drammatici, anche se non è da escludere la possibilità che si raggiunga, alla fine, un compromesso come avvenuto nel 2019. Allora, fu la sola GM a subire la decisione dei dipendenti di incrociare le braccia per sei settimane. L'avvio delle vertenza, la prima in almeno un decennio e la più lunga dal 1970, produsse la chiusura di 34 impianti, costi aggiuntivi per circa 2 miliardi di dollari e spinse Ford e Fiat-Chrysler ad accelerare le loro trattative e a raggiungere un accordo in tempi rapidi. Del resto, lo sciopero rischia di produrre effetti su tutti: secondo Anderson Economic Group, la chiusura per 10 giorni delle fabbriche delle Big Three potrebbe costare oltre 5 miliardi di dollari ai costruttori, ai fornitori e agli stessi lavoratori. Deutsche Bank ha calcolato, invece, che ogni settimana di fermo produttivo potrebbe impattare per cifre comprese tra i 400 e i 500 milioni di dollari. I lavoratori non hanno comunque nulla da perdere: il sindacato può contare su un fondo in grado di sostenerli per 11 settimane. Sul tavolo non c'è solo il rinnovo del contratto di lavoro, ma anche la reputazione di un sindacato che negli anni scorsi è stato accusato più volte di aver accettato condizioni capestro da parte dei costruttori, pur di cancellare la minaccia di chiusure di impianti e licenziamenti di massa. 

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