Al Ring con la nuova 128ti
Mancava da sedici anni una versione ti nella gamma BMW. Dalla Serie 3 Compact, di seconda generazione. Ora la sigla ha fatto la sua rentrée sulla Serie 1 e più precisamente sulla 128, inedita variante della hatchback a trazione anteriore. È stato scritto in più modi, ti (anche in maiuscolo), ma sta ancora per “Turismo internazionale” - sì in italiano -, a individuare un’auto orientata alla guida sportiva, che non penalizza il confort e la sfruttabilità quotidiana. Una tradizione che la BMW ha in comune con l’Alfa Romeo, e che affonda le sue radici negli anni 60, quando berline come le 1600, 1800, 2000 e 2002 TI garantivano un bel po’ di cavalli in più delle versioni normali.
Sotto alla M. In fondo, ora, l’obiettivo della Casa dell’Elica non è così cambiato: perché, col quattro cilindri 2.0 turbo da 265 cavalli, la 128ti punta su prestazioni elevate, da GTI e, allo stesso tempo, intende colmare il vuoto in gamma tra la 120d da 190 CV, la 120i da 178 (disponibile da novembre, insieme, appunto, alla 128ti e alla 116i da 109 CV) e la M135i xDrive da 306 CV. Noi abbiamo provato la 128ti – un esemplare di pre-serie, con camouflage ridotto all’osso - in un test estremo, sulla Nordschleife del Nürburgring.

C’è il Torsen. Prima di guidare, però, ecco qualche dato tecnico sulla 128ti. Per gestire i 265 CV e i 400 Nm di coppia (che garantiscono lo 0-100 km/h in 6,2 secondi) il motore è abbinato a un cambio automatico a otto marce completo di paddle, coadiuvato, nella messa a terra della potenza, da un differenziale autobloccante meccanico Torsen di serie, che lavora al 31% quando si richiede potenza in modalità Traction e al 26 in rilascio. E meccaniche sono pure le sospensioni M Sport, con taratura specifica ribassata di dieci millimetri, molle e ammortizzatori più rigidi (maggiormente al retrotreno): e ciò per rendere più “libera” la coda e favorire l’inserimento in curva. Rivisto anche lo sterzo, con un rapporto un po’ meno diretto rispetto alle altre Serie 1 per compensare l’agilità del retrotreno, ma ottimizzato per gestire l’elevata coppia sull’avantreno e ridurre le reazioni al volante. Ritarati anche i controlli elettronici e il sistema Arb, che gestisce lo slittamento delle ruote direttamente dalla centralina motore. Anche l’impianto frenante standard è quello M Sport, con pinze a quattro pistoncini e dischi da 360 mm di diametro davanti, pinze flottanti con dischi da 300 mm sull’asse posteriore.

Istiga a spingere. Il piazzale del “Ring” è zeppo di Porsche 911. Quello sull’Anello Nord è il test più duro per un’auto stradale, non solo per i 20,8 km pieni di curve cieche e di trappole, ma perché questo tracciato cambia a ogni passaggio, pronto a esaltare l’auto o a metterla a nudo. Peraltro, siamo fortunati, le condizioni sono ideali: c’è sole, poco traffico e l’asfalto è asciutto. Sulla nostra BMW, dotata di sedile con regolazioni elettriche, è facile sistemarsi al posto guida, anche col casco: seleziono la modalità Sport e la posizione intermedia Traction, che offre una soglia d’intervento dei controlli più elevata. Si va: davanti, su una M2, a farmi da apripista c’è Jürgen Metz, che ha sviluppato l’auto e conosce il “Ring” come le sue tasche. Dopo un primo giro di riscaldamento, anche per il sottoscritto, eccomi nella prima parte, alle chicane di Hatzenbach, dove la 128ti salta di continuo sull’asfalto ondulato, richiedendo una presa forte sul volante. Le gomme Michelin Pilot Sport 4, misura 225/40 18”, ci mettono poco a scaldarsi nell’Inferno verde. La hatchback è molto veloce dopo il Flugplatz, il 2.0 turbo spinge come un diesel ai medi regimi, e la velocità sale a razzo. Come a Schwedenkreuz, dove si salta alla cieca a 220 orari, per poi dover gestire la sinistra veloce che precede Aremberg, in cui si sente il retrotreno “libero”. Ho detto libero, non apprensivo: in effetti, la hatchback bavarese si comporta benone sul veloce, trova subito l’appoggio e trasmette un’ottima sensazione di sicurezza. Istigandomi a spingere. Prendo confidenza, alzo il ritmo e il boss, davanti a me, si regola di conseguenza. Anche la frenata è robusta e resistente: trovo solo che il pedale abbia un attacco un po’ “vuoto”, per poi restituire il mordente giusto. Già che ci siamo, un’altra cosa mi è piaciuta meno: il contagiri digitale non ha una buona leggibilità, infatti spesso mi trovo a cambiare prima dei 6.500 giri. Non è una disdetta, in effetti il motore spinge bene ai regimi medio-alti, certo i rapporti del cambio sono spaziati e adatti all’uso stradale. Ah, l’automatico è piuttosto rapido anche nell’uso estremo con i paddle e, forse, più svelto in scalata. Dove, difficilmente, non “concede” la marcia richiesta.

Salta che ti passa. Dopo aver apprezzato la trazione assicurata dal differenziale meccanico Torsen all’uscita della curva lenta di Wehrseifen, si sale di brutto verso Bergwerk, una sinistra piena, famosa per l’incidente di Niki Lauda nel 1976. Dopo il falsopiano di Kesselchen, si procede verso il famoso Karussell, che con la 128ti si fa in seconda, a giri alti. Uscita a 85-90, poi terza, quarta, quinta e scollinamento di Hohe Acht. Ora le gomme anteriori sono molto calde e si scivola un po’, ma la Serie 1 resta gestibile e non perde in feedback. Da qui è tutto in discesa, forse la parte più tosta del Ring, dove sfrutto la quarta che porta ai salti del Brünnchen e, soprattutto, del Pflanzgarten (in quinta), che la hatchback supera con disinvoltura a ruote un po’ sollevate. In atterraggio lo stomaco va a farsi benedire del tutto, perché l’auto pare galleggiare nella sequenza veloce dello Schwalbenschwanz (la “Coda di rondine”): questo è il Ring! Dopo la veloce destra-sinistra, ecco il secondo Karussell. In uscita si va verso l’ultima curva che immette sul mega-rettilineo di tre chilometri e mezzo. Si entra a 160 e poi si scaricano le marce fino alla settima (il dritto è in salita). Davanti ai paddock la 128ti supera i 250 orari. Niente male per una due litri che ha tenuto molto bene per quasi 42 km tirati: come dire, otto giri e mezzo del circuito di Imola.
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