Emira V6: su strada e in pista con l'ultima termica di Hethel
51.738 macchine in 26 anni: tradotta in numeri, è questa l’eredità che ci lasciano Elise, Exige ed Evora. Un periodo unico e irripetibile, dove il leggendario credo di Colin Chapman (“Simplify, and add lightness”) ha trovato la sua piena e massima espressione. Oggi, dopo l’acquisto da parte della cinese Geely – che già controlla Volvo e Polestar, giusto per fare un paio di esempi – la Lotus è nel pieno di una rivoluzione. Piaccia o no, verso l’elettrico puro. Con la super Suv Eletre, che abbiamo già toccato con mano, e con la hypercar Evija. Prima di gridare allo scandalo o prenotare visite dallo psicanalista per elaborare il lutto, però, sappiate che c’è ancora un’ultima chance, in attesa che il motore a benzina venga definitivamente mandato in soffitta: si chiama Lotus Emira e sono volato fino ad Hethel per guidarla, su strada e in pista.

Alluminio e colla. La ricetta è sempre la stessa: come le macchine che sostituisce, pure la Lotus Emira nasce da estrusi d’alluminio incollati, che formano una cellula abitativa molto resistente ma leggera (pesa circa 100 kg). Alla ricetta si aggiunge un V6 3.5 benzina di origine Toyota (lo stesso montato sulla Camry) che però, quando arriva ad Hethel, eroga soltanto 280 cavalli. I tecnici inglesi modificano aspirazione e scarico, montano candele più performanti e aggiungono un olio di diversa gradazione. E, naturalmente, installano un compressore volumetrico Edelbrock, che permette di raggiungere i 405 cavalli, per uno 0-100 dichiarato in 4,3 secondi e una velocità massima superiore ai 290 km/h. Nel 2023 arriverà anche il quattro cilindri, il 2.0 turbobenzina di origine Mercedes-Amg da 366 cavalli, accoppiato esclusivamente a un cambio a doppia frizione a 8 rapporti. Tra luglio e settembre le prime consegne della Emira V6 First Edition, con un prezzo - non ancora confermato - intorno ai 100.000 euro.

Save the manuals. Per l’Emira 3.5, il discorso è un po’ diverso. Perché, un po’ per omaggiare il sempiterno amore per la leggerezza e il piacere di guida senza filtri, un po’ a causa del fatto che l’automatico è un “semplice” convertitore di coppia prodotto dalla Aisin, di serie c’è un delizioso cambio manuale a 6 marce, con gli (splendidi) leveraggi del castello in bella vista, protetti soltanto da una griglia di plastica. Una scelta che farà la felicità degli appassionati più veraci – anche perché, diversamente dalle vecchie Elise ed Exige, qui gl’innesti sono più precisi e i movimenti giustamente contenuti – ma che stride un po’ con la vocazione più malleabile e meno hooligan di questa Lotus. Nata, è bene chiarirlo subito, per accompagnarvi nelle scampagnate domenicali o al supermercato, sopportando senza difficoltà pure i trackday. Il tutto, con una maturità sconosciuta ai modelli del passato più recente.
Maturità inedita. La conferma arriva non appena sali a bordo: la plancia è curata, rivestita di pelle, lontana anni luce dal minimalismo di Elise ed Exige. Davanti agli occhi hai due schermi: quello della strumentazione, da 12,3” –dall’aspetto un po’ troppo semplice, ma non ancora definitivo nelle grafiche – e quello touch del sistema multimediale, da 10,3, che dispone delle connettività Android Auto ed Apple CarPlay. Comunque, potete star tranquilli, perché sono stati mantenuti i tasti fisici, per esempio per gestire il clima. Sconosciuta alle Lotus precedenti anche la disponibilità di vani portaoggetti, sul tunnel come nei vani porta: difficile non trovar posto per portafoglio, smartphone e chiavi di casa. Niente male pure la capacità di carico: ai 151 litri del vano posteriore, accanto al motore (quindi piuttosto caldo), si vanno ad aggiungere i 208 ricavati dietro i sedili, per un totale, secondo la Casa, di 359 litri.

Assorbe e mantiene. La posizione di guida, con il sedile regolabile elettricamente a 12 vie, non è particolarmente bassa, ma la triangolazione fra volante, cambio e pedali è ok. Frizione pesantuccia, dalla bella sensazione meccanica. Prima dentro e via, sulle strette stradine intorno a Hethel. Zero buche, ma l’asfalto non è liscio come un tavolo da biliardo: qui torna utile l’assetto Touring, con sospensioni dalla taratura orientata alla strada e pneumatici Goodyear Eagle F1 Supersport. Una configurazione morbida ma non troppo, che assorbe alla grande gli avvallamenti e consente di mantenere una bella precisione di guida, anche quando il ritmo si alza oltre i limiti del buonsenso.
Scelte importanti. Il tragitto non era particolarmente denso di curve, però sono bastate poche miglia per ritrovare quell’attenzione tipica all’handling che è propria di tutte le Lotus. Leggerezza – anche se qui il peso a secco tocca i 1.458 chili – e rapidità nel trovare il punto di corda che fanno venir voglia di buttarsi a capofitto verso la prossima curva. Con uno sterzo che ha un bel carico e consente di sentire bene l’asfalto, anche se segue un po' troppo le imperfezioni dell'asfalto e non sembra raggiungere quella magica sensazione di avere le mani appoggiate sui bracci delle sospensioni (a doppio quadrilatero) anteriori: in questo, forse, le nonne rimangono inarrivabili.

Palette un po' strane. Il 3.5 V6 spinge con forza e dolcezza insieme: non c’è mai una vera esplosione e i festeggiamenti finiscono piuttosto presto, ben prima dei 7.000 giri, ma c’è di che godere. Soprattutto con la modalità Sport inserita, che lo rende più volenteroso e acusticamente brillante. Della frizione pesante ci si dimentica subito, perché il cambio accetta volentieri l’utilizzo esasperato, con movimenti corti e innesti precisi. Non posso esprimere lo stesso giudizio per l’automatico a 6 rapporti: per la sua architettura, non può avere la rapidità di un doppia frizione, ma sul mercato esistono convertitori di coppia ben più veloci e puntuali (lo ZF della Giulia Quadrifoglio, giusto per fare un esempio). E poi, i paddle hanno – stranamente – quasi zero escursione: capita, talvolta, di non essere sicuri che abbiano recepito il comando. Insomma, non avrei dubbi: se mi potessi permettere un’Emira V6, la prenderei con il manuale.
E poi c’è la pista. A due passi dalla fabbrica, ricorda un po’ il nostro circuito di Vairano. Una ventina di minuti totali di guida, abbastanza per capire che – anche con il telaio sportivo, ammortizzatori Bilstein dalla taratura più solida e quattro Michelin Pilot Sport Cup 2 – così com’è l’Emira V6 non può offrire la stessa tenacia delle Exige più spinte nel seguire le traiettorie e nel tenere sotto controllo i movimenti di cassa. Detto questo, si ha sempre la rassicurante sensazione di sentirsi in mano la macchina, di poterla gestirla deliziosamente con l’acceleratore. Insomma, pur non essendo votata completamente all’impiego in circuito, è sempre un bel guidare.
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