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Euro 7
Per il commissario europeo al mercato interno, l’Europa potrà continuare a produrre motori endotermici anche dopo il bando del 2035, con l'obiettivo di esportarli in tutto il mondo. Ma sarà davvero possibile? I dubbi non sono pochi
Thierry Breton riveste un ruolo di punta all’interno dell’Unione Europea: è il commissario al Mercato interno e, in quanto tale, è responsabile di molte delle strategie industriali in capo alla Commissione europea. Dunque, bisogna prestare una particolare attenzione alle sue dichiarazioni, soprattutto se riguardano un settore strategico per il Vecchio Continente come quello automobilistico. Un esempio? Alcune sue frasi su elettrificazione e futuro dei motori a combustione. In sintesi, Breton ha suggerito la possibilità di continuare a produrre propulsori endotermici anche dopo il bando del 2035 per servire i mercati americano, africano o asiatico. “La mia ambizione per gli standard Euro 7 - ha aggiunto - è che questi diventino la norma per tutti i veicoli con motori a combustione interna in tutto il mondo”. Il messaggio non poteva essere più chiaro, in particolare, per quei non pochi costruttori che, nonostante tutto, hanno fissato già per il 2030 lo stop alle vetture endotermiche.
Parole senza musica. Eppure, non è detto che le sue parole si possano trasformare in musica per le orecchie dei dirigenti dell’auto, perché la situazione dei mercati è assai più complessa e variegata. Secondo Breton, le vendite di veicoli elettrici nel 2030 sono previste al 12% in Africa e al 40% in Usa o India e pertanto si aprono per gli europei spazi di mercato da aggredire. Sarà veramente così? Se si guarda a fondo alle caratteristiche dei mercati e al proposito del commissario di rendere i motori europei, con standard Euro 7, un prodotto di esportazione, i dubbi non sono pochi, anche dal punto di vista etico: Paesi ricchi che si affidano a quelli poveri per far sopravvivere una parte della loro industria sa tanto di nuovo imperialismo colonialista. Del resto, a Bruxelles non sembrano accorgersi neanche degli squilibri economici all’interno della stessa UE. Stando a una ricerca dell’Acea, la mobilità elettrica è roba più per i ricchi Stati del Nord Europa che per quelli del Sud o dell’Est: nel 2020 il 73% della domanda di elettriche si è concentrata in quattro Paesi (Svezia, Olanda, Finlandia e Danimarca) con un Pil pro-capite di parecchio superiore alla media UE di 32 mila euro circa. Per l’Acea, la correlazione tra vendite e alti redditi dimostra quanto importante sia il tema dell’accessibilità economica delle elettriche. Secondo il direttore generale Mark Huitema, “c'è una chiara divisione tra l'Europa centro-orientale e quella occidentale, nonché un pronunciato divario Nord-Sud". Vale per la "ricca” Europa e ancor più per altre regioni dove dominano povertà e disuguaglianze interne.
La situazione in Nord America. È il caso anche del Nord America e, nello specifico, degli Usa. Per l’amministrazione Biden, entro il 2030 elettriche e ibride dovranno raggiungere il 50% delle vendite di auto nuove su un mercato di parecchi milioni di unità. Stando ai dati dell’Oica, le vendite negli Stati Uniti di tutte le tipologie di veicoli a motore si sono attestate intorno ai 15 milioni nel 2020 (14,9 milioni) e nel 2021 (15,4 milioni). Gli ultimi due anni, però, sono stati influenzati prima dalla pandemia e poi dalla carenza di componenti. Il 2019 è, quindi, più esaustivo: quell'anno sono stati 17,5 milioni i veicoli commercializzati negli Usa, poco meno dei 21 milioni dell’intera Europa, il grosso dei 25,38 milioni delle due Americhe e, ancor più, dei 20,8 milioni dell’area Nafta. Se anche nel 2030 le cifre fossero più o meno queste, si avrebbero ancora tra 8 e 9 milioni di mezzi endotermici su un mercato con molti freni per la mobilità elettrica, a partire da una situazione infrastrutturale fortemente deficitaria. Per esempio, la California è da anni funestata da grandi incendi, spesso causati dall’obsolescenza delle reti elettriche, a sua volta determinata dalla mancanza d'investimenti e dalle finanze pericolanti delle utility locali. Difficile, poi, pensare a un boom dell’elettrico nei grandi Stati rurali al centro del territorio statunitense o tra consumatori da sempre avvezzi alle grandi cilindrate e a mastodontici pick-up. Lo stesso vale per il Canada e, ancor più, per il “povero” Messico. Lo spazio per i motori europei, dunque, ci sarebbe.
Scelte industriali. Sorge, però, un dubbio. Per i costruttori sarà conveniente mantenere produzioni tradizionali all’interno della UE soltanto per esportarle? La risposta non può che essere negativa, per due motivi: da un lato, la sostenibilità economica di una data produzione ha bisogno di mercati di sbocco il più possibile vicini; dall’altro, le conseguenze della pandemia hanno rafforzato i trend di “regionalizzazione” delle filiere produttive. Dunque, i costruttori, già obbligati a vendere solo elettriche in Europa, non potranno servire il mercato nordamericano, se non con fabbriche locali o, quantomeno, non troppo distanti. Dunque, al massimo i motori Euro 7 potrebbero diventare prodotti di esportazione sotto forma di licenze e non di beni. Del resto, già oggi l’export di propulsori verso il Nord America è limitato.
Un Sud America all’etanolo. A Sud, il quadro è ancora più complesso. Non è solo una questione di parametri macro-economici. Per Herbert Diess, amministratore delegato del gruppo Volkswagen, l’elettrificazione è destinata a prendere poco piede in un continente dove le reti infrastrutturali scontano grandissime problematiche e a farla da padrone sono le alimentazioni a etanolo (“non ha senso passare alle auto a batteria”). Inoltre, in Paesi come il Brasile, le fabbriche di propulsori sviluppano e producono da anni sistemi molto più complessi degli analoghi europei. Solo un esempio. Da decenni la Fiat offre motori alimentati da più tipologie di carburanti. Il caso estremo è stato il Tetrafuel, in grado di funzionare a benzina, etanolo, metano oppure con una combinazione di benzina ed etanolo. Non è un caso la decisione di avviare proprio in Brasile la produzione della nuova famiglia di motori a benzina FireFly, poi introdotta anche in Europa. D’altro canto, il mercato non garantisce grandi numeri: la domanda degli ultimi tre anni viaggia sui 4 milioni di veicoli nuovi venduti all’anno, per oltre il 50% nel solo Brasile (nel 2019, sui 4,56 milioni di tutta l’America Latina, ben 2,8 milioni riguardano il mercato brasiliano). Dunque, anche il Sud America sembra precluso alle produzioni motoristiche.
I problemi dell’Africa. A sud dell'Europa, la questione degli squilibri macro-economici è particolarmente delicata. Il mercato automobilistico africano è limitato sostanzialmente a tre Paesi (Egitto, Marocco e Sud Africa): tra il 2019 e il 2021, le vendite si sono attestate tra 900 mila e 1,1 milioni di unità, per il 40% in Sud Africa. È abbastanza inutile parlare di elettrificazione laddove non esistono strade o grandi reti elettriche e la maggior parte delle nazioni è agli ultimi posti di qualsiasi classifica di sviluppo economico e sociale. Ed è improbabile anche che l’Africa diventi un mercato di sbocco per i motori Euro 7, visti gli alti livelli dei costi di sviluppo e produzione.
La doppia faccia dell’Asia. Lo stesso vale per buona parte dell’Asia e, in particolare, per il Medio Oriente, dove, tra l’altro, alcuni Paesi continueranno a essere legati al petrolio, grazie ai prezzi particolarmente bassi dei carburanti. È qui che si aprono scenari interessanti per i costruttori europei, ma sarà comunque necessaria una generalizzata stabilizzazione dell’intera area. Poi, c’è l’altro lato della medaglia dei Paesi più avanzati. La Cina è un caso a sé stante tra la forte rete produttiva nazionale e l’impegno di Pechino a favore della mobilità elettrica per sfruttare il dominio globale della catena del valore e per affrancarsi dalla tecnologia occidentale. In Giappone e in Corea del Sud, invece, sia la mobilità elettrica sia le tecnologie tradizionali continueranno a restare in mani locali, mentre nel Sud-est asiatico molto dipenderà dalle strategie delle Case nipponiche, presenti in forze nell’area. Infine, un caso particolare è rappresentato dall’India, Paese sì in forte sviluppo, ma anche in deciso ritardo sul fronte infrastrutturale e tecnologico. I propositi del premier Narendra Modi di portare nel futuro il settore automobilistico si scontrano da anni tanto con i forti squilibri economici e sociali locali, quanto con una forte chiusura alle importazioni dall’estero. Dunque, quello asiatico, per quanto di notevole importanza dimensionale (negli ultimi tre anni, le vendite di veicoli hanno superato la soglia dei 40 milioni, con la Cina sempre sopra quota 25 milioni e un picco, nel 2019, di 43,7 milioni, di cui 25,8 milioni cinesi), continuerà a essere un difficile terreno di caccia per gli europei, e non soltanto sul fronte della mobilità elettrica. L'Euro 7 da esportazione rischia quindi di rimanere soltanto un sogno di Bruxelles.
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