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Guida autonoma
All'Università di Trento si sperimenta un prototipo che "impara sognando"

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All'Università di Trento si sperimenta un prototipo che "impara sognando"
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Quando di parla di tecnologie per la guida autonoma, esiste un Paese all'avanguardia: gli Stati Uniti. Lì si conducono più test, lì si sviluppano le soluzioni più avanzate, lì nascono le startup più promettenti e sono presenti gli investitori più interessati. Non mancano, però, casi di particolare rilevanza anche in Italia. A Parma, per esempio, ha sede la VisLab, capace di sviluppare soluzioni che hanno attratto l'interesse degli statunitensi di Ambarella. Da Trento, invece, arriva una proposta, forse curiosa, ma non priva di promettenti potenzialità: nell'ateneo cittadino, infatti, hanno creato un prototipo che, a detta dei ricercatori, "impara sognando". 

La tecnologia. In sostanza, nei laboratori universitari è stato sviluppato un sistema cognitivo artificiale che imita il comportamento di un automobilista umano e stimola il veicolo a elaborare, durante le fasi di inattività, strategie per affrontare situazioni impreviste e sconosciute su strada. Come spiegato dall'ateneo, la tecnologia robotica di Dreams4Cars si comporta come un "cervello artificiale" rudimentale: si ispira, infatti, alla biologia e simula processi cognitivi umani sia durante la guida sia nella successiva rielaborazione, la fase che nell’uomo corrisponde al sonno e al sogno. In questo modo il guidatore robotico addestra se stesso a situazioni critiche e a scenari immaginari, ottenuti ricombinando esperienze reali che si potrebbero presentare sulla strada. "Il progetto - aggiungono da Trento - adotta un approccio innovativo, ispirato a recenti ipotesi secondo cui il pensiero sarebbe una simulazione mentale di progressive azioni e conseguenti percezioni. Dreams4Cars si prefiggeva, infatti, di accrescere la capacità dei veicoli intelligenti di operare correttamente anche in situazioni rare, quelle che portano a incidenti stradali".

Il caso Uber. L'obiettivo dell'intero progetto è risolvere uno dei limiti attuali delle tecnologie per la guida autonoma: quest'utlima non è abbastanza flessibile, non è in grado di gestire situazioni impreviste, inusuali o comunque poco conosciute. "In altre parole, i sistemi di guida sviluppati finora mancano di autonomia, intesa come capacità di affrontare e risolvere anche situazioni che non erano state considerate nella programmazione. Ci sono ormai numerosi esempi di auto a guida autonoma che occasionalmente si trovano incapaci di agire o di agire correttamente", affermano i ricercatori facendo riferimento, per esempio, a un incidente causato da uno dei veicoli testati da Uber: in quel caso, il mezzo, pur avendo individuato un ostacolo che non riusciva a classificare (un pedone che portava a mano una bicicletta), non ha deciso come agire per evitarlo. 

Gli sviluppi. Realizzato all'interno del progetto Horizon2020 e denominato “Dreams4Cars", il nuovo sistema cognitivo è stato implementato su due modelli reali per consentire al gruppo di ricerca di approfondirne le applicazioni e le potenzialità di mercato. I ricercatori puntano, infatti, ad attrarre l'interesse dell'industria automobilistica convinti che la loro tecnologia, una volta sottoposta a un'adeguata ingegnerizzazione, possa essere vendibile. "In un’auto prototipo, il software dell'agente che emula il comportamento di un guidatore umano e apprende come nel sonno, ha funzionato", afferma Mauro Da Lio, professore del Dipartimento di Ingegneria industriale dell’Ateneo di Trento e coordinatore del progetto. "Negli ultimi anni del progetto Dreams4Cars abbiamo elaborato un piano di trasferimento tecnologico da cui emerge che il carattere fortemente innovativo di Dreams4Cars ne rende la penetrazione nel mercato automotive non immediata. In ingegneria si tende infatti a preferire tecnologie consolidate, ma a rendere la nostra metodologia vincente potrebbe essere la richiesta di nuove idee che deriva dai limiti sempre più evidenti degli approcci tradizionali, rigidamente programmati, della guida autonoma". A tal proposito, l'ateneo trentino ha già compiuto un passo importante. Il progetto è stato ammesso a IP Booster, un programma della Commissione Europea volto a fornire servizi di consulenza a università e organizzazioni di ricerca nel campo della proprietà intellettuale per sviluppare strategie di valorizzazione delle tecnologie. "Nello specifico - sottolinea l'Università di Trento - sono stati richiesti due servizi ad alto valore aggiunto, relativi alla valutazione delle potenzialità dell’invenzione e del possibile posizionamento nel mercato, per poterla valorizzare al massimo, e la consulenza e il supporto nella negoziazione di accordi di trasferimento tecnologico, che sono alla base del potenziale utilizzo economico dei risultati della ricerca pubblica". 

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