Battery swapping, a volte certe idee ritornano
L’idea è semplice quanto suggestiva: perché investire miliardi per colonnine ultrarapide, o perdere ore a quelle standard, quando basterebbe sostituire le batterie come in un banale telecomando? Parliamo del cosiddetto "battery swapping", una soluzione di cui si è discusso a più riprese, fin dall’inizio della svolta elettrica, ma che finora non ha preso piede. Fallita in Israele, ripudiata da Elon Musk, che di scelte visionarie se ne intende, la soluzione resiste per ora in alcuni progetti di mobilità urbana, come l’eScooter125 del marchio Mó, lanciato dalla Seat, o quadricicli di nicchia, come l’italiana Birò, una microcar elettrica che fa proprio della batteria estraibile uno dei suoi punti di forza, fino alle concept come la Fiat Centoventi, dotata di accumulatori modulabili e divisi in cinque parti, di cui una sotto i sedili anteriori, che può essere estratta e trasportata a mano. L'estate scorsa anche il gruppo Renault ha rivelato che i tecnici del colosso francese stanno lavorando al concept, cioè alla possibilità di sostituire la batteria scarica di un’auto elettrica con un’altra già carica, sfruttando apposite infrastrutture. Ecco, naturalmente il tema, come sempre, è quello delle infrastrutture. Perché un conto è sfilare la batteria di una bici a pedalata assistita e caricarla nell’ingresso di casa, tutt’altro è rimuovere le celle di una vettura, da decine e magari un centinaio di kWh, e sostituire un blocco grande e pesante come l’intero motore di un’auto (o anche di più). Un’idea, che, al momento, resta valida soltanto in Cina.
Il Dragone ci prova. Così come concepito e ideato dai grandi costruttori di auto, il battery swapping è in realtà un processo del tutto automatizzato, che richiede stazioni ultramoderne, e il Paese che più di tutti sta credendo nella sostituzione degli accumulatori è proprio quello del Dragone. La Nio, per esempio, ha iniziato a installarle nel 2018 e ha raggiunto la cifra di 750 stazioni di cambio batteria in tutto il Paese, inagurando questa tecnologia anche in Norvegia (notoriamente, il mercato europeo con la più alta penetrazione di veicoli elettrici, cinesi in particolare). Pochi mesi fa, peraltro, l’azienda ha inaugurato a Pechino la sua prima stazione di seconda generazione, che consente fino a 312 cambi di accumulatori al giorno, con tempi inferiori ai cinque minuti per ogni sostituzione, e può ospitare fino a 13 pacchi batteria. La Baic, invece, prevede di aggiungere altre 100 stazioni di battery swapping alla sua rete già esistente, che al termine del 2020 contava già più di 200 infrastrutture. E ora arriva il turno della Catl, nome forse poco noto al grande pubblico, ma dietro al quale si nasconde il colosso che fornisce le sue batterie a diverse case automobilistiche, tra cui Tesla, Volkswagen, Fisker e, appunto, la Nio.
Il piano della Catl. Alcuni dettagli sui piani di sviluppo del battery swapping della Catl sono ancora poco chiari, ma si sa che l’azienda cinese ha firmato un accordo di partnership con la provincia di Guizhou, nel sud-ovest della Cina, per stabilire una rete di stazioni per la sostituzione rapida degli accumulatori. Nio, da parte sua, ha in programma di espandere il servizio in Germania e non nasconde l'ambizione di entrare nel mercato nordamericano. Negli Stati Uniti e in Canada, l’azienda cinese sta anche lavorando a fianco di Shell per stabilire una rete di stazioni di scambio comune. Altro protagonista di questo settore, da noi più noto per aver acquistato da anni un marchio come Volvo, è la Geely, che lo scorso ottobre ha annunciato l'intenzione di aprire 5.000 stazioni di battery swapping in tutta la Cina entro il 2025. Secondo la Casa, le sue stazioni supertecnologiche impiegheranno solo 59 secondi per sostituire una batteria scarica con una completamente carica e i pagamenti saranno automatici, il che significa che i conducenti non dovranno nemmeno abbandonare il proprio veicolo.
In Israele fu un fallimento. Tutto fantastico, in teoria. Ma una decina di anni fa, un tentativo a scala ridotta, vedi le proporzioni tra Israele e Cina, finì nel giro di due anni. L'israeliana Better Place, fondata da Shai Agassi, imprenditore che aveva fatto fortuna nella Silicon Valley, grazie a un accordo con il Gruppo Renault-Nissan per la diffusione delle auto elettriche, aveva messo in piedi un ambizioso progetto di sviluppo di una rete di stazioni di rifornimento dotate di infrastrutture per la ricarica, ma soprattutto di un ingegnoso sistema di sostituzione rapida delle batterie scariche con accumulatori pronti all'uso. Finito con mezzo miliardo di dollari di debiti e dopo aver venduto 750 Renault Fluence. L’idea, come dicevamo, era ottima sulla carta: auto meno costose, grazie al noleggio, e non acquisto, delle preziosissime batterie, tempi di ricarica eliminati. Eppure, questa tecnologia, che si sarebbe potuta espandere se fossero arrivati altri modelli, anche di altre Case, compatibili, si è dimostrata poco attrattiva, in particolare per le auto private. Mentre potrebbe rivelarsi ancora valida nel noleggio, o nelle flotte, comprese quelle dei taxi.
Un’idea bocciata da Elon. "Il battery swapping non piace". Semplice e diretto, nel suo stile. Musk, già nel 2015, al lancio della Model X, aveva ammesso che il programma di sostituzione "al volo" del pacco batteria sperimentato in California non aveva riscontrato grande interesse: "Offriamo questa possibilità tra Los Angeles e San Francisco, ma sui 200 inviti iniziali hanno voluto provare soltanto quattro o cinque persone, e solo una volta". La conclusione di Musk era stata tranchant: "Semplicemente, alle persone non interessa. I Supercharger sono sufficientemente veloci". Punti di vista, distanti anni luce, insomma. Intanto, la Cina ci ritenta.
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