Da un momento all'altro, il mondo fa clic. E l'era analogica comincia a diventare sempre più digitale. Qual è stata la genesi di questo cambio di costume?
Il digitale nasce da un bisogno. Quello di semplificare e cominciare a ragionare solo con due stati come 0-1, vero e falso… Il simbolo digitale è molto più facile da riconoscere, oltre a essere più resistente al rumore. Alle interferenze, insomma. Basta pensare ai vecchi telefoni che gracchiavano. È grazie a questa intuizione che un po' alla volta si cominciano a integrare tutte le forme di comunicazione: visiva, uditiva, fotografica, senza conversioni che alterino ulteriormente il rapporto segnale-disturbo. Ecco come si arriva all'iPhone. Dove tutte queste comunicazioni finiscono in un unico strumento.
Tra la fine degli anni 70 e i primi 80, l'elettronica entra nelle automobili. Che cosa ha spinto questo passaggio?
La stessa ragione che l'ha spinta nelle macchine nell'industria: la necessità di un maggior controllo, di una precisione superiore. Grazie a questi nuovi sensori, è stato possibile regolare con maggior puntualità anche i processi termici e meccanici dell'auto. A vantaggio di confort ed efficienza, abbattendo i costi di produzione. Insomma, il digitale ha permesso di fare tutte quelle cose che meccanicamente non si potevano più fare. Fino ad allora, molti meccanismi sopperivano alla capacità di fare un information processing adeguato. Ma a un certo punto queste cose sono state soppiantate dall'elettronica: l'unica alternativa per andare al di là di quello che risolvere. Poteva succedere vent'anni prima come vent'anni dopo, ma sarebbe successo in ogni caso. Ormai la strada era quella tracciata dalla scienza e dalle tecnologie esistenti. Alcune volte fatti politici, economici o situazioni globali, come il Covid, accelerano i processi, com'è successo con lo smart working in Italia, per esempio. Prima nessuno si poneva il problema del lavorare da casa, ma quando è diventato indispensabile ne abbiamo capito il valore. Anche i datori di lavoro si sono resi conto di come gli impiegati possano operare da remoto senza perdere in produttività. Così si è innescato un meccanismo che altrimenti avrebbe richiesto altri vent'anni.
Quali sono, secondo lei, le automobili simbolo di questa transizione?
Non sono un cultore dell'auto, quindi guardo questo mondo da una prospettiva esterna: la verità è che mi è sembrato un processo graduale, fatto di piccole innovazioni. Ma francamente sono rimasto sorpreso che ci sia voluto così tanto per cambiare il prodotto auto. Se penso alle calcolatrici da tavolo, prima meccaniche e quindi elettromeccaniche: appena è stato raggiunto un certo livello di costi e prestazioni, in due anni erano già tutte elettroniche. È evidente che l'auto ha inerzie molto diverse. La vera svolta è stata la Tesla. Vederla senza carrozzeria mi ha entusiasmato: avevo davanti un gioiello della semplificazione. E per di più totalmente elettrico (motore compreso). È allora che mi sono detto: questo è il futuro. Un progetto partito da un foglio bianco, di fronte al quale si sono detti «vogliamo un'auto interamente elettrica» e quindi si sono chiesti «come la facciamo?». Ecco cos'è la Tesla: Musk ha insegnato al mondo come si fa una vettura elettrica da zero, senza voler appioppare a tutti i costi un motore elettrico a una macchina fatta con una concezione elettromeccanica.