A proposito di corse: la Ferrari ha compiuto 75 anni il 12 marzo. Che ricordi ha del suo periodo a Maranello?
Sono arrivato alla Ferrari il 1° luglio del 1993 e ho trovato una Gestione sportiva in una situazione di grande pericolo ed è per questo che Luca Cordero di Montezemolo mi volle, con il supporto dell’avvocato Agnelli e del dottor Romiti, perché non era una decisione facile affidarsi a un francese che non aveva nessuna esperienza di Formula 1, basandosi sui successi ottenuti con la Peugeot nei rally, nei rallyraid e nel Campionato mondiale Sport-Prototipi. Trovai una situazione non bella: ho dovuto ristrutturare l’organizzazione, riportare tutto a Maranello, far lavorare bene la gente insieme, essere ambizioso nella scelta delle persone da assumere. Due anni dopo, siamo stati pronti per accogliere il miglior pilota dell’epoca e ancora non è stato abbastanza. Michael Schumacher arrivò nel 1996, nel ’97 perdemmo il titolo all’ultima gara, nel ’98 pure, nel ’99 ancora con Irvine, ma vincemmo finalmente il titolo Costruttori. Da lì abbiamo aperto un ciclo vincente, in cui per qualche anno la Ferrari e Michael sono stati imbattibili: è dunque ovvio che questo mi ha lasciato ricordi fantastici, ma sono stati anche anni difficili, perché rammento più le difficoltà dei successi. Le difficoltà ci hanno reso più forti e sono molto orgoglioso di vedere l’affetto che ancora esiste nei miei confronti in Italia. La Ferrari e l’Italia mi hanno consentito di scrivere veramente una pagina importante della storia dell’automobilismo, di cui la gente ancora si ricorda, nonostante abbia lasciato Maranello nel lontano 2009. E, probabilmente, questo ricordo è così forte perché, da allora, questo successo incredibile non si è più ripetuto: non solo da quando me ne sono andato via io, ma da quando un certo numero di persone ha lasciato la Ferrari.
C’è qualcosa di particolare del suo passato che ama ricordare?
Sto scrivendo un libro, che dovrebbe essere pubblicato a dine anno, un’autobiografia con alcuni temi che mi sono cari, accompagnata da un documentario. In ogni capitolo ci sono ricordi particolari. Se penso al mio periodo da copilota, quello che mi è rimasto più vivo riguarda la Vuelta America del Sud del 1978, un percorso di 30 mila chilometri in 30 giorni, fatto a fianco di Timo Mäkinen su una Mercedes (la Casa tedesca occupò le prime cinque posizioni in classifica e Todt fu quarto all’arrivo su una 450 SLC, ndr). All’epoca, il capo della Mercedes in Argentina era Fangio, quindi trascorremmo tutto quel periodo insieme e questo fu per me assolutamente affascinante. Poi, ricordo in particolare, una volta diventato il responsabile dello sport per la Peugeot, la prima vittoria al Rally dei 1.000 Laghi del 1984 con Vatanen: mi dissi che avevamo trionfato in almeno una gara, invece poi abbiamo vinto tutto, i titoli Piloti e Costruttori dell’85 e dell’86. Poi siamo passati ai rallyraid e abbiamo vinto tutto anche lì. Del periodo alla Ferrari, il ricordo più bello è quello della vittoria di Michael a Suzuka nel 2000, che ha riportato a Maranello un titolo Piloti che aspettava da 21 anni. Quanto al mio ruolo di amministratore delegato, per un appassionato di auto come me gestire l’azienda che produce quelle più belle al mondo era qualcosa che non avrei mai pensato di poter fare. Oggi sento la voglia di restituire qualcosa di quanto ho avuto nella mia vita con l’impegno prima nella Fia, ora nelle Nazioni Unite e con la creazione di un istituto di ricerca medica sul cervello e il midollo spinale a Parigi, dove operano più di 700 ricercatori. Questa, per me, è una cosa molto importante, insieme con una fondazione in Birmania della quale mi occupo con mia moglie Michelle Yeoh. Dopo aver vissuto in un modo, in un certo senso, “egoista”, cercando soprattutto il successo mio e delle mie squadre, oggi cerco così di restituire qualcosa.