Gli anni del passaggio di millennio sono stati determinanti per il cambio di paradigma degli interni delle auto. È tra lo scorcio dei "nineties" e i primi del XXI secolo che sono stati piantati i semi di tutto quanto sta succedendo, oggi, all'infotainment. E di quanto succederà in futuro. Temi che non potevamo non toccare – divagando tra un'epoca e l'altra, tra la storia universale e quella privata – con uno che è, per molti versi, l'infotainment fatto persona: il direttore artistico di Radio Deejay, Linus.

Linus

Una vita al microfono. Pasquale Di Molfetta, classe 1957, in arte Linus, è una delle figure più influenti nella storia delle radio private in Italia: approdato a Radio Deejay nel 1984, ha contribuito a plasmarne l'identità. Dal 1996 ne è direttore artistico.

Q 800: l'intervista a Linus

Video

alternative text

Identikit subito: Linus e le auto.
Sono sempre stato un ragazzo appassionato di Formula 1, lo sono ancora e sono orgogliosissimo della mia collezione di modellini, che anzi ho sistemato negli ultimi tempi, dopo tanti anni. E ogni tanto mi capita ancora di comprarne di nuovi.

Altra di riscaldamento, visto che hai tirato fuori la Formula 1: Lewis Hamilton o Max Verstappen?
A un certo punto speravo vincesse Verstappen, più per una questione d'interrompere troppa continuità perché non può vincere sempre lo stesso. Dopodiché Verstappen non è un campione di simpatia e allora ho sperato quasi vincesse Hamilton. Ma alla fine è andata com'è andata.

Entriamo nel vivo: come hai visto evolversi dagli anni 70 i sistemi d'intrattenimento in auto?
In quegli anni è molto cambiato il modo di essere presenti in auto: una volta il segnale era precario, quindi si cambiava continuamente stazione, finché scattava il gesto di stizza: mettere la musicassetta, il nostro grande nemico negli anni 70, perché per noi rappresentava una sconfitta. Significava che non "arrivavamo" abbastanza. Poi sono migliorate le autoradio, le emittenti, i sistemi di comunicazione e adesso tutto è digitale. Ma già il frontalino ebbe il merito di superare la "valigetta". Di quel periodo in particolare ricordo che le macchine hanno iniziato ad avere la radio incorporata nel cruscotto. È stato un piccolo step che sembrava impossibile e che invece oggi diamo per scontato. Poi è seguito il resto, il Dab e la possibilità di trasmettere dati, come il titolo della canzone o della trasmissione.

In termini di contenuti, com'è cambiato per la radio il modo di tenere compagnia a chi guida?
La radio ha tre funzioni: quella più banale, che è anche quella più messa in discussione dai servizi di streaming musicale, è quella di canale da cui ascoltare le canzoni. Poi c'è l'informazione e poi, ancora, c'è l'intrattenimento. E sono questi i due livelli che rendono le radio uniche e difficili da replicare per un algoritmo: nessun computer potrà rimpiazzare uno speaker o un giornalista a cui si è affezionati. Quando sono nate le radio private, eravamo davvero i fratelli rimbambiti della Rai, perché la parte informativa e culturale era suo appannaggio. Noi ragazzini facevamo quello che potevamo, ma avevamo pochi contenuti. Per fortuna, siamo cresciuti dal punto di vista della personalità e oggi ci sono molti personaggi di spicco nelle radio private: è l'unica dote che ci renderà indispensabili.

Di quel periodo ricordo che le macchine hanno iniziato ad avere la radio incorporata nel cruscotto. È stato un piccolo step che sembrava impossibile e che invece oggi diamo per scontato

Anche le auto sono evolute e stanno continuando a evolvere e a offrire nuovi contenuti, pure visivi. Credi che siano compatibili con la guida?
Se parliamo delle vetture a guida autonoma, che diventeranno una specie di salotto viaggiante, credo che il rischio sia che la radio perda la sua ragione di esistere, perché oggi la sua forza risiede nel fatto che ti permette di non distrarti dalla guida. Ma una volta che non avrai più questo bisogno, non la ascolterai. Certo sarà una bella sfida, che magari avremo il piacere di vivere: però credo che non sia dietro l'angolo, non tanto per la tecnologia, quanto per le infrastrutture.

A proposito di futuro: i podcast potrebbero essere una nuova forma d'intrattenimento a bordo?
Il podcast è il fratello della radio e sta alla radio come Netflix sta alla tv. Si tratta di prodotti che si consumano su supporti simili, con la differenza vera nel tempo e nel momento di fruizione. La radio è un flusso e quando è passato è passato, anche perché il suo compito è proprio quello di commentare il momento. Il podcast ti racconta comunque una storia, ma quando tu glielo chiedi. Sul fatto che possa diventare un fenomeno di successo nel nostro Paese, è una scommessa. Il mercato americano è esploso, però gli States sono molto diversi dall'Italia per situazioni geografiche: spazi enormi, strade infinite, località isolate e quindi molto predisposte a questo tipo di utilizzo. In più, per esperienza personale, soffro molto la differenza fra ospiti italiani e americani, perché loro vengono formati per stare davanti a una telecamera o a un microfono, quindi qualunque ospite tu possa avere, anche il semplice protagonista di un fatto di cronaca, sa entrare nello show. Da noi, invece, c'è ancora una forma di timidezza mascherata da snobismo, per cui gli ospiti sono sempre frenati a raccontare qualcosa che non sia la trama del loro film o il testo della loro canzone. Se aggiungi la dimensione del nostro mondo dello spettacolo, più circoscritto, e il fatto che loro hanno alle spalle Hollywood, l'Nba e così via, le interviste sono una cosa su cui ci sarebbe molto da migliorare. Ma manca un po' la materia prima.

Hai detto che le musicassette sono state il vostro grande nemico. Ne avete avuti altri nel corso del tempo e ne avete ancora?
Dopo le cassette è arrivata la tv commerciale: siamo passati in secondo piano, ma siamo sopravvissuti. Poi è stato il turno delle tv musicali, come MTV e Videomusic, che hanno rubato un po' di pubblico più giovane per un certo periodo, ma siamo sopravvissuti pure a quello. Quindi, negli anni di cui stiamo parlando, è stata la volta di internet: ci dicevano «adesso per la radio è finita», ma siamo ancora qua. Siamo sopravvissuti a YouTube, che è proprio del 2005, e a tante altre cose. Però oggi c'è la vera, grande minaccia: i servizi di streaming musicale. Io stesso mi trovo a usare Spotify o Apple Music, perché quell'algoritmo che pian piano capisce i tuoi gusti è quasi infallibile. La radio, per salvarsi, ha soltanto una strada: la personalità. La sua salvezza saranno quelli come me, o meglio, quelli che verranno dopo di me: quelli che non saranno replicabili da un algoritmo.

Domanda personale: come ti intrattieni quando sei alla guida?
Non ascolto la radio tutto il tempo. L'ascolto poco, perché altrimenti divento isterico, nel senso che da fratello maggiore e da perfezionista sono sempre critico nei confronti di tutto quello che esce da qui. E, quindi, ogni volta finisco per prendere il telefono e chiamare qualcuno per dire che quella cosa lì non andava bene, facciamola così, facciamola cosà. Poi, però, siccome so che soltanto chi non fa non sbaglia, cerco di essere al di sopra delle parti, anche perché sennò diventa un lavoro pure quello. Preferisco dedicarmi alle mie playlist, a qualcosa che mi rilassi e mi faccia entrare in quella dimensione onirica per cui ti chiedi «Ma siamo già a Modena? Ma sono passato da Parma oppure l'hanno cancellata dalle cartine?».

Parliamo, infine, di auto: che cosa ti piace oggi e che cosa sognavi, invece, quando eri più giovane?
Da buon maschio italiano sono cresciuto con la passione per le auto. Faccio parte di quella generazione che quando mette le gomme invernali va in acido perché i cerchi sono piccoli: io aspetto l'ultimo giorno utile per farle montare e il primo buono per rimettere i miei. Crescendo, ho avuto la fortuna di togliermi lo sfizio di avere delle macchine che una volta potevo solo sognare. La mia prima auto è stata una 500 che è durata un anno e che poi ho buttato via, perché era completamente marcia. Ma in generale mi sono emozionato più per certe macchine di livello intermedio, che non per modelli degli ultimi anni: quando ho comprato la mia prima Golf, nel 1982, era una GL. Avrei voluto una GTI, ma non avevo i soldi; comunque ero felicissimo, perché era la prima macchina nuova e la prima che avevo configurato come dicevo io. Ricordo anche la Volvo 740 che ho avuto subito dopo, una station bianca. Tra fine anni 80 e primi 90 era l'auto dei dj, perché dietro mettevi borse con i dischi a non finire. Poi sono stato innamorato di una Saab 900 Cabrio rossa che ho avuto negli anni 90: mi ha dato un sacco di guai, ma la ricordo sempre con grande affetto. Per finire, mi sono comprato la Porsche, che era un punto d'arrivo: «A quarant'anni mi faccio la Porsche», si dice. Io l'ho presa a cinquanta superati e adesso sono alla seconda, una 911 Targa. Però c'è una specie di legge del taglione, per cui la Porsche te la compri quando non hai più il fisico per salire e, soprattutto, per scendere. È bellissima, ma ce l'ho da un anno e mezzo e ho fatto 1.500 chilometri. Potrei venderla e dire che era di un vecchio...

Oggi la vera grande minaccia sono i servizi di streaming musicale. E la radio, per salvarsi, ha soltanto una strada: puntare sulla personalità

COMMENTI([NUM]) NESSUN COMMENTO

ultimo commento
ultimo intervento

Q 600 Linus - Dai frontalini ai podcast

Siamo spiacenti ma questo utente non è più abilitato all'invio di commenti.
Per eventuali chiarimenti la preghiamo di contattarci all'indirizzo web@edidomus.it
logo qpremium