Globalizzazione. Termine che si è affacciato prima nei libri di testo di economia e poi nell'opinione pubblica, attorno al 2000. Ma il movimento no global sceso in piazza a Seattle nel 1999 e a Genova nel 2001 preconizzava, criticandole, trasformazioni che avremmo visto con chiarezza soltanto nel decennio seguente. Nel bene e nel male, perché è così che è fatta la storia, come emerge anche dalle riflessioni di Marco Tronchetti Provera, vicepresidente esecutivo del gruppo Pirelli.

Marco Tronchetti Provera

Illustre industriale. Marco Tronchetti Provera, nato nel 1948 a Milano, è uno dei più noti capitani d'industria italiani: amministratore delegato del gruppo Pirelli dal 1992, è stato anche presidente di Telecom Italia dal 2001 al 2006.

Q 800: l'intervista a Marco Tronchetti Provera

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Quali sono i punti  di forza delle aziende italiane che, nel primo decennio del secolo, si sono affacciate sui mercati mondiali?
Il primo è legato alla capacità d'innovazione. L'Italia in molti settori ha talenti e competenze che riescono più che altrove a innovare e a trovare soluzioni avanzate. Il nostro è un Paese in cui non ci sono tanti brevetti, ma in compenso c'è tanto know-how, legato a questo mondo d'imprenditori, di piccole e medie imprese. E un'imprenditorialità così diffusa è legata a una capacità d'innovazione altrettanto diffusa.

Quando ha iniziato a capire che la globalizzazione sarebbe stata un'opportunità, se lo è stata?
È stata un'opportunità enorme per tutti e c'è da augurarsi che continui a esserlo. La sua gestione in Occidente ha avuto carenze, ma nell'insieme ha permesso di crescere e di avere centinaia di milioni di persone che sono entrate nell'area del benessere. Come processo storico è emerso con la crescita della Cina, che negli anni 2000 è diventata esplosiva e ha trascinato l'intera parte orientale del mondo. E tutto è iniziato quando il Paese si è aperto con le riforme economiche di Deng Xiaoping: è lì che ha cambiato velocità, aprendo un mercato enorme.

Qual è stato, invece, il limite della globalizzazione?
La redistribuzione: da un lato il fenomeno della globalizzazione ha certamente aperto un avvicinamento al benessere a centinaia di milioni di persone, dall'altro non ha avuto una suddivisione equilibrata dei suoi proventi nel mondo occidentale. Per cui le aspettative degli appartenenti alle classi medie, che poi sono quelle che determinano l'effettivo successo dei modelli economici, si sono ridotte, invece che aumentare, sia per se stessi sia per i propri figli. Negli anni 50 e 60 c'è stato un fenomeno esplosivo di crescita di queste aspettative, che poi è diventato quasi piatto e che negli ultimi quindici anni, quantomeno in Occidente, si è trasformato in un'aspettativa non positiva.

Anche nell'auto si parla da 15 anni dell'arrivo della Cina. È una minaccia, in vista dell'elettrificazione massiccia?
Per prima cosa, la Cina è per l'Europa il più grande mercato. Lo è anche per le case automobilistiche ed è ancora quello che cresce di più. In questa fase la Cina sta diventando più competitiva perché l'Europa, con il passaggio accelerato all'elettrificazione, le dà l'opportunità di esserlo. La filiera che il nostro continente aveva costruito per i motori a combustione interna, che era ed è un vantaggio competitivo, con l'elettrificazione viene meno. La semplicità dello sviluppo di un motore elettrico cambia i parametri e ci toglie una parte della competitività che avevamo costruito nei decenni.

La globalizzazione ha portato milioni di persone nell’area del benessere. Ma in Occidente la redistribuzione dei suoi proventi non è stata equilibrata

Lei crede che la deindustrializzazione di quegli anni sia stata inevitabile?
L'Italia ha avuto anni complessi, in cui è stato difficile avere aziende di dimensioni competitive. Sono cresciute quelle piccole e medie, ma non c'è stata un'attenzione alla dimensione, soprattutto in alcuni settori. Anzi, è stata vista come un elemento negativo. Credo però che la cosa possa essere superata nel mondo digitale, dove tutto ricomincia da capo. Anche per i giovani. Il digitale entra dappertutto: nelle imprese, nei servizi, nella pubblica amministrazione e ha bisogno di talenti giovani, perché è fatto di competenze che si stanno creando adesso: i corsi universitari e l'approccio della scuola alla digitalizzazione è dell'ultimo decennio. Anche meno, se si guarda ai data analyst o ai data engineer. Però, è un'enorme opportunità e ben si adatta al talento naturale italiano. Noi abbiamo bravissimi giovani, ne portiamo a bordo ogni anno decine, tra i 25 e i 30 anni, che danno un grosso contributo a chi ha esperienza, perché dispongono di strumenti nuovi e offrono un potenziale enorme di crescita.

Arriviamo ai giorni nostri: che cosa deve fare l'industria italiana per affrontare al meglio la svolta elettrica?
Tutti, nel settore, anche i grandi brand italiani, stanno sviluppando motori elettrici come i migliori competitor. Però c'è ancora spazio per quelli termici: l'ibrido vive di combustione interna e il motore a scoppio, in certi casi, ha già oggi un impatto estremamente ridotto. Credo che l'Italia possa ancora giocare una partita sull'elettrico, sull'ibrido e sulla combustione interna, grazie alle enormi competenze di cui dispone. Abbiamo un posto unico al mondo che è la Motor Valley, ci sono scuole e università straordinarie: se facciamo leva su questo, continueremo ad avere quel qualcosa in più che distingue l'industria dell'auto italiana.

Oggi i componentisti sono nel mezzo di una duplice sfida: l'elettrificazione e l'arrivo di nuovi competitor, che hanno un vantaggio in termini di costi. Come affrontarla?
Se lo guardo dall'ottica Pirelli, abbiamo guardato all'elettrificazione come a un'opportunità. Abbiamo costruito un modello sull'alto di gamma dedicato alle EV, che hanno un peso maggiore per via delle batterie, ma devono avere pneumatici più leggeri per offrire una migliore resistenza al rotolamento. Questi pneumatici devono inoltre sopportare un'accelerazione molto più accentuata. Un'auto che faceva lo 0-100 in cinque o sei secondi, oggi con l'elettrico è scesa a tre o quattro. Quindi, tutte le strutture e i componenti sono sottoposti a stress che, senza tecnologie appropriate, non offrono un comportamento all'altezza. Abbiamo identificato i prodotti destinati all'elettrico come Elect: se venissero sostituiti con pneumatici che non hanno una tecnologia atta a sostenere certe accelerazioni, durata e performance non sarebbero adeguate. E ci aspettiamo una crescita di quota di mercato nell'alto di gamma proprio grazie alle nostre tecnologie per l'elettrico. In altri mondi della componentistica è più complesso, perché hanno ancora una parte legata ai motori termici, all'incremento della loro efficienza e allo sviluppo dell'idrogeno. Molti si sono già attrezzati per il cambiamento, altri difficilmente lo potranno fare: quindi bisogna anche riqualificare la forza lavoro per mestieri diversi. Ma alcuni non ci saranno più.

Non possiamo non parlare del divieto proposto per il 2035 per i motori termici. Quanto è ineluttabile l'elettrico e quanto invece serve una maggiore neutralità tecnologica per la riduzione della CO2?
Lei ha utilizzato un termine giusto dicendo neutralità: bisogna infatti guardare in maniera neutrale allo sviluppo delle tecnologie, perché, se se ne fa una questione meramente ideologica, si rischia di non approfittare di certe opportunità, che invece ci sono e che possono creare sviluppo di tecnologie competitive e la chance, almeno per alcune aziende, di evolversi in una direzione competitiva. Io starei attento e continuerei a chiedere ai decisori europei di valutare bene l'impatto energetico e le emissioni di CO2 delle differenti alternative a disposizione viste in prospettiva, non con una fotografia dell'istante. È chiaro che l'elettrico oggi ha un suo vantaggio, però bisogna vedere il costo energetico e le emissioni di anidride carbonica nel tempo e guardare alle evoluzioni dell'idrogeno e del motore a combustione interna, per prendere decisioni che siano davvero nell'interesse di tutti i cittadini: c'è un costo di sovvenzione di certe tecnologie che, se diventa un investimento per il miglioramento di altre, probabilmente ha un bilancio finale più favorevole per i consumatori e anche per l'impatto ambientale. Quindi, in definitiva, penso che verrà fatta una serie di approfondimenti e che la radicalizzazione con cui si guarda a questi temi andrà attenuandosi.

Alleggeriamo, in conclusione, con un aneddoto legato a Quattroruote?
Quattroruote mi ha fatto sognare da ragazzo, perché andavo a vedere i prezzi delle auto nuove e i valori di quelle molto belle, ma usate: era l'unico riferimento serio. E quando vedevo che mi avvicinavo a un obiettivo raggiungibile, lo scoprivo sempre grazie a Quattroruote, dove leggevo anche le prestazioni rilevate dei vari modelli. Quindi, direi che mi ha accompagnato nel tentativo di avere delle macchine sempre più belle, che è qualcosa che fa parte delle mie passioni.

Il bando ai motori termici nel 2035? Se se ne fa una questione ideologica, si rischia di non approfittare di certe opportunità. Che invece ci sono e possono sviluppare tecnologie competitive

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