Lei crede che la deindustrializzazione di quegli anni sia stata inevitabile?
L'Italia ha avuto anni complessi, in cui è stato difficile avere aziende di dimensioni competitive. Sono cresciute quelle piccole e medie, ma non c'è stata un'attenzione alla dimensione, soprattutto in alcuni settori. Anzi, è stata vista come un elemento negativo. Credo però che la cosa possa essere superata nel mondo digitale, dove tutto ricomincia da capo. Anche per i giovani. Il digitale entra dappertutto: nelle imprese, nei servizi, nella pubblica amministrazione e ha bisogno di talenti giovani, perché è fatto di competenze che si stanno creando adesso: i corsi universitari e l'approccio della scuola alla digitalizzazione è dell'ultimo decennio. Anche meno, se si guarda ai data analyst o ai data engineer. Però, è un'enorme opportunità e ben si adatta al talento naturale italiano. Noi abbiamo bravissimi giovani, ne portiamo a bordo ogni anno decine, tra i 25 e i 30 anni, che danno un grosso contributo a chi ha esperienza, perché dispongono di strumenti nuovi e offrono un potenziale enorme di crescita.
Arriviamo ai giorni nostri: che cosa deve fare l'industria italiana per affrontare al meglio la svolta elettrica?
Tutti, nel settore, anche i grandi brand italiani, stanno sviluppando motori elettrici come i migliori competitor. Però c'è ancora spazio per quelli termici: l'ibrido vive di combustione interna e il motore a scoppio, in certi casi, ha già oggi un impatto estremamente ridotto. Credo che l'Italia possa ancora giocare una partita sull'elettrico, sull'ibrido e sulla combustione interna, grazie alle enormi competenze di cui dispone. Abbiamo un posto unico al mondo che è la Motor Valley, ci sono scuole e università straordinarie: se facciamo leva su questo, continueremo ad avere quel qualcosa in più che distingue l'industria dell'auto italiana.
Oggi i componentisti sono nel mezzo di una duplice sfida: l'elettrificazione e l'arrivo di nuovi competitor, che hanno un vantaggio in termini di costi. Come affrontarla?
Se lo guardo dall'ottica Pirelli, abbiamo guardato all'elettrificazione come a un'opportunità. Abbiamo costruito un modello sull'alto di gamma dedicato alle EV, che hanno un peso maggiore per via delle batterie, ma devono avere pneumatici più leggeri per offrire una migliore resistenza al rotolamento. Questi pneumatici devono inoltre sopportare un'accelerazione molto più accentuata. Un'auto che faceva lo 0-100 in cinque o sei secondi, oggi con l'elettrico è scesa a tre o quattro. Quindi, tutte le strutture e i componenti sono sottoposti a stress che, senza tecnologie appropriate, non offrono un comportamento all'altezza. Abbiamo identificato i prodotti destinati all'elettrico come Elect: se venissero sostituiti con pneumatici che non hanno una tecnologia atta a sostenere certe accelerazioni, durata e performance non sarebbero adeguate. E ci aspettiamo una crescita di quota di mercato nell'alto di gamma proprio grazie alle nostre tecnologie per l'elettrico. In altri mondi della componentistica è più complesso, perché hanno ancora una parte legata ai motori termici, all'incremento della loro efficienza e allo sviluppo dell'idrogeno. Molti si sono già attrezzati per il cambiamento, altri difficilmente lo potranno fare: quindi bisogna anche riqualificare la forza lavoro per mestieri diversi. Ma alcuni non ci saranno più.