Più ci s'immerge nella storia fantastica della Bugatti, più ci si rende conto di quanto poco ne sappiamo». Così scriveva, quasi mezzo secolo fa, Hugh Graham Conway, ingegnere aeronautico di fama e tra i più attenti biografi del marchio. Ma gli enigmi e le sorprese aleggiano ancora, 125 anni dopo la nascita della Tipo 1, tra eventi, raduni, pellegrinaggi e nuovi, monumentali volumi, che negli anni si sono aggiunti a quelli del solerte Conway. Manca solo una serie televisiva. Che qualcuno, comunque, ha già in mente.
Che dire, poi, della febbre che scatena i collezionisti – dalle aste all'asfalto delle gare – o della rinascita, finalmente in grande stile, della Bugatti formato Volkswagen? Così anche noi siamo partiti alla volta di Molsheim a caccia di sorprese, cominciando da quella del figlio più giovane e sconosciuto del mitico Ettore. Il rampollo oggi ha 78 anni e risponde al nome di Michel Bugatti. Ma eravamo curiosi di conoscere anche sua figlia Caroline, che gestisce un circuito di gara in Alsazia. E cammin facendo ci siamo imbattuti nel fratello di lei, Emmanuel, che si guadagna da vivere tenendo in ordine le aiuole di Port Grimaud, sulla Costa Azzurra. E forse non soltanto quelle. Avete udito bene. Un nipote di Ettore Bugatti che pianta le begonie e gira su qualcosa che assomiglia a un camioncino degli operatori ecologici. Hugh Conway aveva proprio ragione.

Ritorno al Castello

Festa aziendale. Settembre 1930, sulla scala del castello Bugatti di Molsheim. Si festeggia il 300° chassis della Tipo 46. Al centro, Ettore Bugatti con le figlie L'Ebé (a sinistra) e Lydia (a destra). Al suo fianco, con il gilè scuro, il pilota della Casa, René Dreyfus.

Una grande storia. Procediamo con ordine, però, ricordando prima di tutto chi era Ettore Bugatti: un genio venuto da una famiglia di geni. Suo padre Carlo oggi sarebbe un designer di grido o un archistar. Ha la vena artistica e le mani d'oro, i suoi arredi sono inconfondibili, preziosi, complessi, meravigliosamente costruiti. Nel gusto dell'epoca, ovvio, che non era sobrio. Una sorella di Carlo sposa Luigi Segantini, genio ancora più alto, quello del Divisionismo, il maestro delle montagne. E proprio lo zio pittore sceglie il nome del fratello minore di Ettore, Rembrandt, e lo indirizzerà alla scultura. Il ragazzo, morto suicida a 32 anni, diventerà uno dei massimi plasmatori di animali. I suoi cavalli, elefanti, pantere e serpenti oggi valgono… quasi come una Bugatti.

Ritorno al Castello

Dalle auto ai treni. Michel Bugatti, il figlio più giovane di Ettore, posa accanto a una Tipo 40 del 1926. Sullo sfondo s'intravede la sagoma della automotrice ferroviaria Autorail, del 1933: Bugatti la sviluppò anche per piazzare i motori della ciclopica Royale, che nessuno aveva voluto. L'Autorail, con quattro propulsori da 200 cavalli l'uno, superava i 190 chilometri all'ora ed era il treno più veloce dell'epoca. Ne furono costruiti 88 esemplari e restò in servizio fino al 1958.

Anche Ettore dovrebbe andare a una scuola d'arte. Ma non ha la stoffa, si ribella, preferisce la meccanica. A 17 anni convince il padre a lasciarlo entrare da apprendista alla Prinetti e Stucchi. Nell'officina milanese è in progetto una vettura a tre ruote, che farà la sua comparsa nel 1898. Oggi è considerata la prima Bugatti della storia.
Dalla Prinetti e Stucchi alla ditta dei fratelli Gulinelli, che a Ferrara finanziano il prototipo della Tipo 2, il passo è breve. Ma, per vedere una sua auto prodotta in serie, Bugatti dovrà lasciare l'Italia e spostarsi alla corte del barone de Dietrich, in Alsazia, allora parte della Germania. Dalle sue officine usciranno le Tipo 3 e 4, così come il primo modello da corsa.

Ritorno al Castello

Giovane talento. Ettore Bugatti a 21 anni: è arrivato da poco a Niederbronn-les Bains, in Alsazia, dove il barone de Dietrich costruirà le sue prime automobili di serie. Ma si rivela un accordo di breve durata. Nel 1904 nasce il sodalizio con l'amico Émile Mathis, che durerà fino al 1906. Poi un periodo alla Deutz di Colonia e finalmente, nel 1909, con il fido meccanico Friederich, inaugura i primi capannoni a Molsheim.

Siamo soltanto nel 1902, e quante cose sono già successe... Eppure il giovane Ettore deve chiedere al padre di firmare in sua vece il contratto con de Dietrich. Lui non può farlo, è ancora minorenne. È chiaro che la strada che porterà alle Bugatti Tank, alle imbattibili Tipo 35, alle monumentali Royale, è appena cominciata. Settantacinque modelli e tremila vittorie, senza parlare dei treni superveloci e degli aerei, non stanno in queste pagine. Ma anche se l'arrivo di Michel, il figlio dell'ultimo momento, non è neppure all'orizzonte, il destino si sta componendo per riservargli un posto nella saga dei Bugatti.

Ritorno al Castello

Padre e figlio. Ettore e il giovane Jean nel 1924, al Grand Prix di Lione. Sono a bordo di una Bugatti Tipo 35.

Dalla prima moglie, Barbara Mascherpa Bolzoni, Ettore ebbe quattro figli: L'Ebé (1903), Lydia (1907), Jean (1909) e Roland (1922). Fotografati nel parco del castello, in groppa a un pony o sulle auto in miniatura, sono gli enfant Bugatti che il mondo conosce. Gli anni 20 saranno trionfali. La decade successiva vedrà alti e bassi paurosi, ma la Tipo 57 – che segna il passaggio da Ettore al figlio maggiore – è ancora una delle auto più eleganti del mondo. In famiglia tutto fila liscio fino al 1939. Ma alla vigilia della guerra, Jean – il principe ereditario che aveva nel sangue anche il talento – muore provando una vettura. Un colpo irreparabile per il fondatore, che nel '44 perde anche la moglie Barbara. Il loro matrimonio, peraltro, era già infelice da tempo. Chiediamo lumi al figlio Michel: è giunto il momento di ascoltarlo.

Ritorno al Castello

Celebre scultore. Rembrandt, fratello di Ettore. Affascinato dagli animali, solitario e sensibile, morì suicida a 32 anni.

Monsieur Bugatti, sono emozionato. Non riesco a credere di trovarmi davanti al figlio di Ettore. E al nipote del fratello scultore, il sublime Rembrandt.
E del nonno Carlo, che a Milano e Parigi faceva mobili da sogno. E ancora – sia pure d'acquisto – di un certo Segantini…
Ci creda, è tutto vero. Figlio, nipote e pronipote. Soltanto che sono venuto al mondo un po' all'ultimo momento. Alla fine degli anni 30, mio padre aveva incontrato una giovane mannequin: si chiamava Geneviève Delcuze, era bellissima e aveva 39 anni meno di lui. Mia sorella Thérèse nacque nel '42, mentre la famiglia ufficiale, pur separata, esisteva ancora. Io arrivai nel '45, quando Ettore era già vedovo e poteva risposarsi. Non era vecchio, stava bene, aveva ancora dei progetti. Ma due anni e un mese dopo la mia venuta al mondo, papà era sottoterra.

Ritorno al Castello

Mini e maxi. I fratelli Jean e Roland, quest'ultimo su una Tipo 52 elettrica, in miniatura. Fatta su misura per lui, divenne una trovata pubblicitaria: ne furono costruite 90.

Che cosa accadde alla famiglia,con la morte di Ettore?
Io ero troppo piccolo per ricordare. Abitavamo a Parigi e da un anno mio padre era impegnato nella causa contro lo Stato per cercare di riprendersi la Bugatti. L'azienda gli era stata confiscata con l'accusa – poi annullata – di collaborazionismo. Improvvisamente si ammalò, prese freddo in un viaggio tra Molsheim e Parigi. Non c'erano le medicine giuste, la polmonite si aggravò e in pochi giorni morì in ospedale.

E i primi ricordi visivi, quando arrivano?
Mentre non ho alcuna memoria di quei giorni, ne ho invece di qualche tempo dopo, nella villa di Beaulieu. Si chiamava la Petite Afrique ed erano in realtà tre case in stile moresco, costruite fuori dal paese. Io scorrazzavo sotto le palme con la mia piccola Bugatti 52 elettrica e il giardiniere mi rincorreva quando finivo nelle aiuole.

Ritorno al Castello

Genius loci. Un evento di presentazione al castello che Bugatti affittava (e poi comprò) a Molsheim. Oggi è la sede della Casa.

E i suoi fratelli? Il più giovane aveva 23 anni più di lei, la più anziana 42...
Più che fratelli erano delle specie di zii. Poi, come spesso accade in questi casi, i figli di secondo letto avevano sempre qualcosa da farsi perdonare. Ma ho bei ricordi di me ragazzo con Lydia e, soprattutto, con Roland. Andavo in vacanza da lui, a Saint-Tropez, negli anni in cui era ancora un villaggio di pescatori. Incontravo Brigitte Bardot e Alain Delon che camminavano sul pontile.

E sua sorella L'Ebé? Di lei non ha parlato.
L'Ebé era un tipo… speciale. Frequentava il bel mondo e passava da una villa a un castello, sempre ospite. Un giorno ci invita, io e mia moglie: partiamo dalla Bretagna e facciamo 300 chilometri per andare a trovarla. Siamo lì, sotto il portico di uno di questi castelli, e lei ci viene incontro dicendo: «Ma sapete che mi stavo chiedendo se ho davvero voglia di vedervi?».

Ritorno al Castello

Seconde nozze. Geneviève Delcuze (1920-2014), seconda moglie di Ettore e madre di Thérèse e Michel. I coniugi avevano 39 anni di differenza.

Torniamo a Roland: anche il suo tentativo di rilancio e la cessione della società, nel 1963, sono un vago ricordo?
Non mi rendevo conto del passato che stavamo lasciando e di che cosa significava rinunciare perfino ai diritti sul nostro nome. Il mio patrigno, René Bolloré, che era un industriale, assunse la tutela perché eravamo minorenni. Ci voleva bene e fece le cose che credeva giuste.

Da Bugatti a Bolloré. Come orfano di padre, poteva andarle peggio...
Abbiamo perso le nostre radici antiche, ma siamo ugualmente cresciuti nell'agiatezza. Avevamo un intero palazzo a Neuilly, il quartiere più borghese di Parigi. A sei anni cominciai il collegio maschile a Saint-Malo: la domenica, se i miei non venivano a trovarmi, andavo a mangiare al Grand Hotel, da solo, servito da due camerieri. Poi l'Ecole des Roche, ancora oggi una delle più rinomate di Francia. Ma non ero uno studente modello. Ho cambiato spesso, preso lezioni private e, infine, ho aperto un piccolo cantiere nautico in Normandia.

Ritorno al Castello

Veloce come un treno. Una affiche di lancio della Autorail del 1933, sorta di TGV in anticipo sui tempi. Montava i motori delle auto.

E lo ha chiamato Cantiere Bugatti?
Ovviamente. In questo sentivo di somigliare a mio padre. Anche lui era un autodidatta. Costruì delle pilotine di legno con un motore monocilindrico semplice ed efficiente. Inventò una barca a vela senz'albero, con una struttura a piramide e la tela nel mezzo. Un disegno mai visto all'epoca, che mi ricorda le superfici alari delle barche di oggi.

Sua mamma le parlava di Ettore?
Soltanto di rado e in dosi omeopatiche. Oltre al trauma della morte improvvisa, qualcos'altro le doveva pesare sul cuore. Il desiderio di storia paterna, che come vede ogni tanto emerge, è cresciuto ascoltando i racconti della sua segretaria, degli ex operai. Non quelli dei miei familiari.

Ritorno al Castello

Cuore verde. Emmanuel Bugatti, figlio di Michel e nipote di Ettore. I fiori sono la sua passione. Lavora al comune di Port Grimaud.

Nel 1987 lei fu chiamato da Romano Artioli alla Bugatti di Campogalliano. Pensò a un appuntamento con il destino?
Fui contento di poter dare una mano, ma ero solo un consulente. A loro – che con la storia Bugatti non c'entravano nulla – serviva qualcuno che gli ripassasse la lezione, tenesse i collegamenti con la cultura del passato. Lo feci così bene che, quando arrivarono i disegni della EB110 – il primo modello di Gandini –, il progetto fu fermato. Era una vettura tutta a spigoli e trapezi, tagliente come un coltello. Dissi che avrebbe potuto essere una Lotus o una Lamborghini. Una Bugatti, mai. Artioli mi ascoltò e tutto ripartì dai disegni della 211 e di altri studi del dopoguerra. Sono fiero di quei consigli, perché alla fine la macchina – oltre che andare benissimo – aveva anche dentro qualcosa delle vere Bugatti.
Mentre la vita "normale" di Michel Bugatti entra nel registratore, arrivano Emmanuel e Caroline, i due figli. Il primo, il giardiniere-operatore ecologico, ci accoglie con un gran sorriso. Sulla cinquantina, scapolo, massiccio, ha l'aria soave di un uomo di provincia, e anche l'eloquio. Da giovane ha fatto il pasticcere e parla con un certo orgoglio del servizio militare nella Marine Nationale. Caroline, caschetto biondo, aria più grintosa, gestisce con il marito Cyrill l'Anneau du Rhin. È un circuito di quattro chilometri tra Mulhouse e Molsheim, su cui si tengono competizioni e raduni. Lei è direttore commerciale, ma passa molto tempo a bordo pista.
«È il mio modo personale di partecipare alla saga», racconta. «Mio marito, quando ci siamo conosciuti, era uno dei più grandi esperti di Harley Davidson in Francia. Oggi mette le sue mani d'oro sulle nostre due Bugatti e fa davvero miracoli. La 35 l'abbiamo comprata che era un relitto, anche perché altrimenti non avremmo potuto permettercela. E oggi la faccio correre in pista.

Ritorno al Castello

Ultima generazione. I pronipoti di Ettore al 40° Festival Bugatti di Molsheim, lo scorso settembre. Sono i figli di Caroline e della cugina Genoveva, che è nata in Spagna.

Però ho visto più foto di lei a cavallo che al volante...
Sono cresciuta con l'amore per i cavalli. Un rapporto speciale, che parte dal presupposto che a un cavallo non si comanda. Si domanda. Non si punisce mai l'animale, si sgrida il cavaliere. Se le cose vanno storte, la colpa è quasi sempre sua.

Scommetto che ha in casa anche uno dei meravigliosi cavalli scolpiti dal suo prozio, Rembrandt Bugatti...
Magari! Ci vogliono 200 mila euro per comprarne uno all'asta. Ma qualche anno fa sono riuscita a convincere il Musée d'Orsay a fare dei calchi di una giumenta e del suo puledro. E alla fine uno è arrivato anche a me. Rembrandt mi affascina. Andava allo zoo, anche per non pensare agli orrori della Grande Guerra, con la matita e la plastilina. E lì fissava le bestie nelle pose più naturali o bizzarre, sempre in movimento, senza mai un errore.

Ritorno al Castello

Passioni di famiglia. Caroline Bugatti in una sala del Museo della Chartreuse di Molsheim, che dedica una sezione alla storia di famiglia. Alla sua sinistra, due sculture dello zio Rembrandt: una giumenta con puledro e una pantera. Caroline possiede anche un disegno dell'artista, a cui si sente molto legata, e una poltrona disegnata dal bisnonno Carlo Bugatti.

Che cosa pensa delle Bugatti moderne?
Che sono il giusto parallelo, spinto al limite, quasi inaccessibile, di quelle che costruiva il nonno. Non ringiovaniscono la marca, come dice qualcuno, ma la proiettano nel futuro. Ci resto un po' male, però, quando sento due ragazzi che osservano la mia piccola Tipo 43 parcheggiata in strada e dicono, «Guarda! Ha lo stesso nome della Chiron!».