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Dallara
Ha rivoluzionato il modo di concepire il motorsport e cambiato volto alle sportive. Ora dice la sua sui grandi temi dell'automobilismo
Più che un'azienda, una fabbrica di sogni. Ma anche un posto dove si educano menti e si costruiscono competenze, nel cuore dell'Emilia. Tutto questo è Dallara, punto fermo di un mondo dell'auto che si interroga di continuo sul proprio futuro. Chi ha creato quest'isola felice, non è un semplice imprenditore. Tecnico, educatore e anche visionario, Giampaolo Dallara ha attraversato quasi settant'anni di storia automobilistica. Lasciando tracce tangibili ovunque: in pista, in strada, nella formazione dei giovani, nella costruzione paziente di un'azienda a cui ha saputo dare un futuro grazie alla scelta di Andrea Pontremoli come amministratore delegato. E a Varano de' Melegari (PR) ha creato un ecosistema. Con lui, la memoria incrocia il futuro. E l'errore, come vedremo, è tutt'altro che un inciampo.
Errore, sfida, calcolo, sicurezza. Tutte parole che tornano sempre quando si parla di lei...
Ne ho fatto una regola di vita. Il mio primo giorno a Maranello, Enzo Ferrari mi accolse in una sala riunioni spoglia di trofei. Sulle pareti, solo bacheche con valvole rotte, ingranaggi danneggiati, pezzi fallati. Era un messaggio chiaro: qui l'errore è contemplato, ma non deve ripetersi. Io ne ho collezionati molti, sin dai primi passi. Quando alla Lamborghini abbiamo cominciato con la Miura, ci siamo accorti che la trasmissione era troppo rumorosa: praticamente invendibile. Dovevamo rifare tutto. E l'abbiamo fatto. La cultura dell'errore è parte del metodo. Ma ci vuole anche umiltà: saper prendere esempio da chi è più bravo, quando serve. Chapman era un genio della semplicità. Ho imparato e copiato molto da lui, e lo dico con orgoglio.
Nasce il mito Miura. Nel 1963 l'ingegner Dallara approda alla Lamborghini: in questa foto è davanti a un telaio Miura assieme a Bob Wallace con, al centro, il disegnatore Vic Berris.
Viviamo in un'epoca in cui la tecnologia sembra poter annullare l'errore. Ma se non si sbaglia più, si scopre ancora?
Sbagliare oggi è più difficile, ma ancora possibile. Serve volerlo. Serve non avere paura di cercare una strada nuova. Alla Dallara abbiamo istituito una figura d'importanza cruciale: il failure manager. È una persona che si occupa solo di questo: analizza ogni errore, misura i tempi di reazione, quanto si impiega a risolvere il problema; e trova soluzioni, sia temporanee sia definitive. Non è controllo: è cultura. È consapevolezza del fatto che la crescita non nasce dalla perfezione, ma dall'esperienza, anche dolorosa.
In America lei è particolarmente venerato: con le sue monoposto ha cambiato la percezione del rischio in pista. Che cosa abbiamo imparato, nel frattempo, sulla sicurezza stradale?
Siamo partiti da zero. Ricordo le prime vetture che ho guidato: nessuno specchietto laterale, nessuna cintura, piantone rigido, serbatoio davanti alle gambe. Oggi, per fortuna, tutto è cambiato. Ma non solo grazie alla tecnologia: è diversa la mentalità. Oggi il mondo automotive si misura con l'Euro NCAP, con il punteggio massimo di cinque stelle come riferimento. C'è stata una rivoluzione culturale, non solo tecnica. Però dobbiamo ancora migliorare. La distrazione da smartphone è una delle principali cause di incidenti stradali... non va bene. Le auto moderne possono e devono aiutarci in questo senso. Ci sono frenata automatica d'emergenza, assistenza alla guida, riconoscimento della distrazione. La sicurezza non è un costo, è un dovere. Serve investire di più.
Ha collaborato con i più grandi marchi di auto a livello globale. Che cosa cercano da una realtà come Dallara?
Semplice: quello che loro non presidiano. Le grandi case automobilistiche sanno fare prodotti perfetti per il grande pubblico. Hanno una conoscenza straordinaria sull'aerodinamica funzionale, sui flussi d'aria per il confort, sulla climatizzazione, sull'acustica eccetera. Ma quando si entra nella nicchia racing, dove servono risposte immediate, strutture leggere, conoscenza dei materiali avanzati; e soprattutto esperienza sul campo: lì entriamo in gioco noi. L'80% del nostro lavoro in galleria del vento riguarda proprio progetti sportivi di costruttori generalisti. Lavoriamo bene insieme. È una sinergia, non una competizione.
Il personaggio. Nato, il 16 novembre del 1936 a Varano de' Melegari (PR), dove ha poi voluto sviluppare la sua azienda, Giampaolo Dallara si è laureato in ingegneria aeronautica al Politecnico di Milano. Ha cominciato la sua carriera, giovanissimo, alla Ferrari, prima di passare alla Maserati e poi alla Lamborghini. Ha progettato icone assolute dell'automobilismo, come le Lancia Stratos e Rally 037, la Lamborghini Miura e tantissimi altri modelli sportivi. La massima espressione del suo talento va ricercata nel mondo delle corse, dall'Indycar americana alla Formula 1 passando per la F.2 e per innumerevoli altre categorie.
Transizione: dove abbiamo sbagliato approccio?
Nell'imposizione. Si è deciso di trasformare l'auto in un capro espiatorio, dimenticando che rappresenta solo una parte dell'inquinamento globale. La mobilità sostenibile si costruisce con pragmatismo, non con ideologia. In Cina hanno fatto scelte chiare: filiera interna, volumi, visione. Da noi manca una strategia energetica. Senza energia pulita, la mobilità elettrica è una contraddizione. L'elettrico ha senso, ma solo se integrato in un sistema coerente, efficiente e accessibile.
Certe auto stanno diventando asettiche, poco gratificanti. Per contro i cinesi stanno dimostrando di muoversi bene. Possibile recuperare con la passione?
L'auto è cultura, storia, identità: serve ritrovare un equilibrio tra tecnologia e piacere. L'ossessione per i gadget ha portato a modelli in sovrappeso e complicati. Quando parlo di sobrietà, penso a vetture leggere, agili, con meno fronzoli. Per esempio, oggi non esistono più auto sotto i 1.000 chilogrammi. Eppure basterebbe poco. In questo le kei car giapponesi sono un riferimento: piccole, leggere, pratiche. Non è il modello in sé a dover essere copiato, ma l'idea che la mobilità urbana richiede mezzi coerenti con l'ambiente in cui si muovono.
Enzo Ferrari assieme a un giovane Giampaolo Dallara.
Giovani e Italia: che cosa possiamo fare per non perdere i talenti?
Educarli, formarli, trattenerli. Le università italiane preparano molto bene. Alcuni dei nostri migliori ingegneri vengono da Palermo, da Siracusa, da Napoli. Non solo dai poli tradizionali del Nord. Ma serve anche un ponte con il mondo del lavoro. Noi abbiamo attivato centri di formazione post-diploma e post-laurea a Fornovo. Collaboriamo con le università, mettiamo a disposizione i nostri laboratori, i nostri tecnici. Il risultato? Non abbiamo problemi di personale. E molti ragazzi che vanno all'estero, poi tornano. Perché qui trovano un ambiente che li valorizza.
Di quali strumenti dovrebbe dotarsi un governo per ripensare la mobilità?
Bisogna partire da un dato: il problema non è solo la macchina, ma l'energia. Se non produciamo energia pulita, non possiamo parlare di sostenibilità. In Italia circa il 50% dell'elettricità proviene da rinnovabili, ma serve uno sforzo enorme per decarbonizzare anche il riscaldamento, l'industria, i trasporti. Servono normative coerenti. Non ha senso bloccare in città una piccola Euro 6 e permettere l'accesso a una Suv da due tonnellate solo perché elettrica. Serve promuovere vetture leggere, compatte, razionali. Non solo a beneficio dell'ambiente, ma anche nell'ottica di migliorare il traffico nei centri cittadini.
Giampaolo Dallara con Andrea Pontremoli a Solomeo (PG), dove Brunello Cucinelli (al centro) ha fondato il suo impero tessile: una tappa de "Il viaggio", tour celebrativo per il 50° della Dallara ('22).
La Dallara Stradale: una dichiarazione silenziosa, ma potentissima. Che cosa ha imparato da quell'esperienza?
Un mondo. Fare un'auto per tutti, anche in serie limitata, significa cambiare mentalità. La Stradale doveva essere prestazionale, ma anche intuitiva, affidabile, facile. Doveva piacere al pilota, ma anche alla compagna del pilota. Abbiamo imparato come semplificare la produzione, come garantire 100 mila chilometri senza necessità di manutenzione pesante, come scegliere fornitori affidabili anche per piccoli volumi produttivi. Abbiamo capito cosa significhi progettare tenendo conto dell'uso reale. Oggi siamo più consapevoli.
Guida autonoma: a che punto siamo?
Tecnologicamente, ci siamo vicini. Ma il problema non è solo di carattere tecnico. Un'automobile a guida autonoma non può funzionare in un contesto disordinato, con regole disattese. Serve sicuramente un'infrastruttura dedicata, ma pure cultura, compatibilità tecnologica. Ci arriveremo. Forse non con le auto private, ma con servizi. In futuro, i ragazzi che da Varano de' Melegari andranno a studiare a Parma, probabilmente lo faranno su navette senza conducente.
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