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Walter de Silva
Il futuro della mobilità cittadina passa per veicoli piccoli ed efficienti. Il grande designer interpreta l'idea per noi
Aggiornato il 12/09/2025. Bruxelles e il settore automotive si stanno confrontando sulla possibilità di introdurre una normativa - a oggi inesistente - che favorisca la produzione e la circolazione in Europa delle cosiddette E-Car, vetture "piccole ed economiche" plasmate sul modello delle kei car giapponesi. Sin dal 2020, Quattroruote parla di questa opportunità per la mobilità cittadina, declinabile su vari livelli: vi riproponiamo uno degli articoli più interessanti che abbiamo pubblicato sul tema.
L'identikit: veicolo piccolo, elettrificato, dedicato al commuting urbano, con i costi e la massa di un quadriciclo, ma la versatilità e l'abitabilità di un'autovettura. I privilegi: agevolazioni e incentivi di varia natura. Il timbro di autenticazione: governo della Repubblica italiana. Insomma, potrebbe davvero nascere, con il patrocinio più alto e sicuro, quello dello Stato, una nuova categoria di veicoli per la città, di cui da tanto tempo si parla, che avrebbe forse la capacità di rilanciare il mercato e di sparigliare le carte di una transizione che appare sempre più impantanata.
Ingombri. Per de Silva, un punto chiave dev'essere il rapporto tra misure esterne, che devono restare ultra compatte, e spazio interno, che va massimizzato grazie al cofano, a sbalzi minimi e a un abitacolo razionale.
Leggerezza. Un altro nodo centrale è tenere il peso sotto controllo: dimensioni ridotte (le kei car giapponesi non superano i 350 cm), materiali leggeri (come i compositi), batterie di taglio piccolo (di più è inutile).
Modularità. Può valere per le funzioni e i posti, con pianali variabili, così come per le batterie: a un taglio urbano da 20 kWh, potrebbe esserne aggiunto un secondo di analoga capacità per la gita fuoriporta.
Sicurezza... La riduzione del peso della vettura avrebbe riflessi positivi anche sugli effetti di un eventuale impatto.
Pure attiva. Dagli Adas connessi, tra cui il rilevamento dei pedoni, ai servizi di connettività: proprio come su un'auto "vera".
Tema pressante. «L'ideale è che siano vetture piccole, per occupare meno spazio, e sostenibili. Ci troviamo in effetti davanti a una straordinaria leva per spingere la svolta elettrica, lasciando perdere pesanti e costose Suv per concentrarsi invece su auto urbane ed economiche». Questa frase non si legge nello studio con cui analisti del ministero del l'Economia e delle Finanze suggeriscono la creazione di una nuova categoria omologativa, ma nel numero di maggio 2020 di Quattroruote. Ora, chiedersi se l'autore dello studio, Mirko Menghini, legga la nostra rivista vorrebbe dire banalizzare la questione. Di fatto, il tema di nuovi strumenti di mobilità cittadina – dai tempi del Covid in poi – è stato ripetutamente sollevato da molteplici parti. Non più di 90 giorni dopo quell'articolo fu Walter de Silva – che si è prestato a interpretare per noi visivamente il tema – a rilanciare la palla, in un'intervista rilasciata ancora una volta al nostro giornale (vedere il fascicolo del luglio 2020), nella quale si faceva promotore di un'idea di circolazione urbana a velocità ridotta le cui protagoniste, accanto ai cosiddetti utenti deboli della strada (pedoni, bici ecc.), dovevano essere minicar a trazione elettrica. Poi, nei mesi successivi, schegge di pensiero, dichiarazioni sparse. Fino alla lucida teorizzazione da parte del numero uno del gruppo Renault e presidente di turno dell'Acea, Luca de Meo, della necessità di replicare in Europa una formula simile a quella delle kei car in Giappone: una categoria di mini-auto identificata da precise caratteristiche e incentivata da una serie di agevolazioni economiche. Ovvio che Quattroruote, non immemore dell'originaria intuizione del 2020, abbia salutato con grande favore la proposta di de Meo, riprendendo in più occasioni le sue parole. Nel fascicolo di ottobre 2024 le abbiamo ancora ricordate nell'articolo "Così la mini auto può essere per tutti", nel quale ci siamo procurati una kei car giapponese della Suzuki, la Hustler, non omologata da noi, e l'abbiamo portata in giro per le strade di Milano per dimostrare quanto adatta sarebbe al nostro panorama metropolitano. Ma se oggi è un documento di indirizzo politico del ministero dell'Economia e delle Finanze a sostenere ciò che fino a ieri poteva suonare come una discussione accademica interna al mondo automotive, beh, allora tutto cambia. E una luce nuova, una luce di fattibilità, irraggia l'argomento. D'accordo, si tratta pur sempre di uno studio. E, come tale, non è scontato che si traduca in azione di governo. Ma, considerato che le premesse e l'obiettivo stessi dell'analisi in questione sono mirati a definire un quadro di possibili interventi di politica economica del dicastero, è lecito sperare di essere vicini a un'operazione concreta.
Ripensare l'auto. Vediamo allora, con l'aiuto di De Silva, quali sarebbero il perimetro e le caratteristiche dei veicoli che potrebbero nascere se il suggerimento dei tecnici del Mef si tramutasse in un indirizzo di politica economica del governo. E anche perché l'azione da essi suggerita avrebbe ripercussioni positive che andrebbero ben oltre il merito di smuovere lo stagnante mercato dell'auto.
L'ex capo dello stile del gruppo Volkswagen lavora da tempo su quei concetti. «L'auto, simbolo di libertà e progresso nel '900, deve necessariamente adattarsi alle esigenze di un mondo in rapida evoluzione. Ma la transizione non può risolversi semplicemente nel mettere la batteria al posto del serbatoio di benzina. Si tratta anche di ripensare il concetto di automobile, specie laddove lo spazio è più limitato, ossia nelle città, con problemi sempre maggiori di traffico e conseguenti limitazioni alla circolazione», spiega il designer lombardo. Da qui la necessità di veicoli più compatti, sia come mezzi di mobilità privata sia condivisa, cioè in car sharing. De Silva immagina un paesaggio urbano più vivibile e sostenibile, «molto diverso da quello odierno, popolato da anonime e inutili Suv». La riduzione delle dimensioni, per il designer, è il primo passo verso questo scenario, ma la questione non è banale e richiede di chiamare a raccolta il meglio dell'«intelligenza automotive» per risolvere in modo ottimale un'equazione i cui fattori sono dimensioni, sicurezza, costi.
Poiché si parla non di quadricicli ma di automobili, o di qualcosa di intermedio che coniughi la semplicità costruttiva dei primi con la consistenza delle seconde, i sistemi di sicurezza attiva e passiva delle macchine sono ovviamente un must, magari un po' semplificati per via delle velocità limitate e della leggerezza. Quest'ultima è un postulato da cui derivano diversi corollari positivi: una macchina piccola e leggera è più facile da muovere e, quindi, può permettersi una batteria di dimensioni minori. Che, a sua volta, contribuisce a ridurre la massa complessiva. E, soprattutto, le emissioni di CO2. Ma quelle, direte voi, sono già pari a zero. Sì, se misurate allo scarico. Se, invece, consideriamo l'intero ciclo di vita del veicolo, come suggerisce il Mef e auspica De Silva, allora dobbiamo ricordare che la produzione di accumulatori è molto energivora e se quell'energia non è ricavata da fonti rinnovabili, bensì da prodotti fossili, l'anidride carbonica generata nel processo aumenta in proporzione diretta al crescere della capacità della batteria.
Circuito virtuoso. Mantenere quel valore contenuto è la chiave per aiutare davvero l'ambiente. Anche 20 kWh possono bastare per spostare un mezzo come quello descritto sopra, assicurandogli un'autonomia compatibile con i trasferimenti quotidiani in ambito urbano o suburbano. Con il contenimento dei costi che deriverebbe da batterie piccole, tecniche costruttive semplificate, parti intercambiabili e agevolazioni pubbliche, sarebbe lecito sperare in volumi significativi. Che porterebbero con sé economie di scala, prezzi ancora più contenuti e uno shock positivo sul mercato. Soprattutto se le minicar saranno «divertenti, interessanti, simpatiche, attraenti, potranno intercettare una domanda latente, un pensiero trasversale, un desiderio inespresso», dice De Silva. Il quale, però, avverte che «dobbiamo metterci in testa che a un certo punto per cambiare le cose bisognerà riscrivere le regole del gioco».
La proposta dei tecnici del Mef sembra un primo passo in tale direzione. L'Italia così sarebbe anche la capofila di una rivoluzione che va sviluppata su scala europea. E il Vecchio Continente di una scossa avrebbe un gran bisogno. Partire dal piccolo è, storicamente, una buona idea.
63,6% auto tradizionali
36,4% kei car
Nati negli anni 50, i veicoli denominati kei car ancora oggi, dopo oltre mezzo secolo, sono una quota chiave del mercato nipponico. Nell'ultimo anno fiscale (si chiude a marzo) questi veicoli compatti hanno costituito oltre un terzo della domanda interna. In cifre assolute, 1.740.000 unità su un totale di 4.780.000 vetture nuove. Con canoni fissati per legge su taglia e motore, sono stati sempre sostenuti da forti agevolazioni fiscali (e in città come Tokyo esentano il proprietario dall'obbligo di avere il box). Le kei car, come tutte le auto, sono cresciute di dimensioni nel tempo (e le norme si sono adeguate), ma restano ultra compatte: sotto i 3,50 metri. Marchi come Honda (sopra, la bestseller N Box) e Suzuki sono diventati maestri nel massimizzarne l'abitabilità.
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