
Suzuki Hustler 9.500 euro
Kei car
In Europa, sempre meno persone sono in grado di acquistare un'utilitaria. In Giappone, invece, le "piccolissime" trainano il mercato
Aggiornato il 12/09/2025. Bruxelles e il settore automotive si stanno confrontando sulla possibilità di introdurre una normativa - a oggi inesistente - che favorisca la produzione e la circolazione in Europa delle cosiddette E-Car, vetture "piccole ed economiche" plasmate sul modello delle kei car giapponesi. Sin dal 2020, Quattroruote parla di questa opportunità per la mobilità cittadina, declinabile su vari livelli: vi riproponiamo uno degli articoli più interessanti che abbiamo pubblicato sul tema.
A maggio 2023, l'Associazione dei costruttori automobilistici europei (Acea) ha pubblicato uno studio sul cambiamento della composizione del mercato continentale delle automobili nuove. Nel corso del periodo preso in esame (2011-2022), dalle risultanze del dossier emerge un dato su tutti: la contrazione – spaventosa – dei segmenti più accessibili del mercato. Sentite qua: a fronte di un calo generalizzato pari al -17,3% (con vendite nel Vecchio Continente che sono passate da 11,23 milioni di unità nel 2011 a 9,29 nel 2022), la somma dei segmenti A e B è crollata da 3,86 milioni di esemplari a 2,06 (-46,6%). Detta in termini di quote, se tredici anni fa più di un'auto su tre commercializzata in Europa era una citycar o una piccola (34,4% del totale), nell'ultimo anno preso in esame dallo studio il valore era sceso a poco più di un quinto (22,2%).
Da sinistra: Mitsubishi eK, Daihatsu Tanto e Honda N-Box (la bestseller).
Car culture e... portafogli. Quello che dalle nostre parti è un dato incontrovertibile, non è però segno di un destino che accomuna le vetture di quei segmenti anche in altre regioni del mondo. Un caso eclatante, in questo senso, è rappresentato dal Giappone, dove la popolarità delle kei car non accenna a diminuire, anzi: nel corso degli ultimi dodici mesi, nel Sol Levante le registrazioni dei "mini-veicoli" sono cresciute del 6,5% a 1,74 milioni di unità. Detta in altri termini, hanno coperto da sole il 36,5% del mercato, per un totale di 4,78 milioni di pezzi, valore che si attesta comunque al 28,1% se si escludono dal computo i mini-veicoli commerciali.
Suzuki e Nissan sono due dei cinque marchi più popolari del segmento.
Il fenomeno, tuttavia, è qualcosa che va oltre il successo di vendite e sconfina nel campo della cultura popolare: categoria dell'immaginario collettivo prima ancora che del mercato automobilistico, le kei car permeano onnipresenti manga e anime con la stessa facilità con cui popolano i piani alti delle classifiche di vendita (la bestseller, in Giappone, è proprio una di loro: la Honda N-Box). Ma le ragioni dietro questo favore così trasversale sono molto concrete. E vanno cercate, guarda caso, nelle tasche. Prendiamo, a titolo d'esempio, i listini della Suzuki: in Giappone, la vetturetta più conveniente è la Alto, che costa 1.064.800 yen (circa 6.700 euro al cambio attuale). La più sfiziosa ed equipaggiata Hustler parte da 1.518.000 yen (circa 9.500 euro), ma per arrivare a una classica utilitaria come la Swift, entry level della gamma automobilistica standard bisogna mettere in conto un esborso superiore di circa il 13% (1.727.000 yen, circa 10.900 euro).
Al netto del cambio, oggi estremamente favorevole, con la valuta nipponica e dei listini locali non aggravati da costi di trasporto e altre spese accessorie, quello che conta sottolineare è altro: complice la loro semplicità costruttiva, le kei car convengono già dall'acquisto: sono loro gli unici modelli con listini al di sotto del milione di yen.
Tendenza pop. In Giappone le kei car rappresentano un vero e proprio fenomeno culturale: non è raro trovarle in manga (fumetti) e anime (cartoni). Spesso s'ispirano alle piccole auto italiane, proprio come questa Autobianchi A112 ritratta da Akira Toriyama in "Dr. Slump", edito da Star Comics. A.L.
Alla base dell'andamento diametralmente opposto tra le "mini" made in Japan e le piccole nostrane c'è anche un diverso approccio rispetto alla tradizione costruttiva e progettuale di certi modelli. La filosofia delle kei car degli esordi (che nella loro prima forma compiutamente classica, con il 360 cm3 quattro tempi, vedono la luce nel 1955) è sorprendentemente simile a quella dell'utilitaria europea concepita tra il dopoguerra e il boom economico: pochi fronzoli, grande razionalità, consumi bassi. Ma mentre le nostre campionesse sono andate incontro a un processo inflazionistico che ha interessato dimensioni, peso e contenuti, in Giappone la motorizzazione di massa è stata accompagnata da una cornice legislativa e fiscale che ne ha tutelato il perimetro. Via via adeguandolo alle mutate esigenze dei tempi, ma con passi graduali e ponderati: ancora oggi, una kei car non può superare i 3,40 metri di lunghezza e gli 1,48 di larghezza, né montare un motore di cilindrata superiore ai 660 cm3.
Come eravamo. La Fiat 500 originale (1957) era lunga 2,97 metri, due centimetri in meno di una sua collega giap da motorizzazione di massa: la Subaru 360 (1968). Poi, però, le utilitarie europee hanno preso il largo in fatto di dimensioni, mentre le kei car sono rimaste piccole (e semplici).
Benefici a tutto tondo. Parametri il cui rispetto – e qui si spiega la seconda parte della convenienza delle kei car – dà accesso a una lunga serie di benefici sulla cui rilevanza si era soffermato lo scorso novembre Luca de Meo. Il ceo della Renault (in veste di presidente dell'Acea), in un manifesto programmatico indirizzato alle istituzioni europee, aveva citato proprio il caso giapponese come esemplificativo di quanto le automobili più accessibili possano essere sostenute da politiche adeguate.
Non può essere un confronto diretto: il cambio favorevole e l'assenza di costi di trasporto fanno vincere facile la Hustler sulle europee (la Ami, un quadriciclo leggero, non è una vera rivale). In patria costa comunque il 13% in meno della Suzuki Swift.
Tanto per cominciare, le "mini-vetture" pagano una tassa ambientale ridotta: sulle auto normali va dallo 0 al 3% del prezzo di listino, secondo le emissioni, mentre nel loro caso raggiunge al massimo il 2%. Secondo aspetto: la tassa di proprietà; per le kei car è al massimo di 10.800 yen l'anno (circa 68 euro), mentre per le auto si parte da 25.000 yen (157 euro, sotto i 1.000 cm3), per salire fino a 110.000 (692 euro, oltre i 6.000 cm3). Numero tre: anche sulla tassa sul peso c'è differenza, quantificabile in un risparmio del 20% a favore delle kei car. Quattro: per comprare una vettura tradizionale bisogna dimostrare di possedere o essere affittuari di un posto auto o di un box: per una kei car tutto questo non è necessario. Ancora un punto a favore delle kei car – il quinto – è rappresentato dal vantaggio sulle polizze assicurative: su un contratto di 24 mesi, il risparmio medio viaggia attorno al 16-17%. E poi, per finire: il pedaggio autostradale, in virtù del minor peso delle "mini-vetture", e dunque della minore usura che arrecano all'infrastruttura, corrisponde all'80% della tariffa chilometrica imposta alle automobili. Così per un "classico" Tokyo-Nagoya, tragitto da poco meno di 350 chilometri, ci vogliono all'incirca 5.890 yen (37 euro) invece di 7.320 (45 euro).
Lunghezza. Dai 2,80 metri del 1949 si è passati agli attuali 3,40.
Larghezza. In questo caso il limite massimo è di 1,48 metri.
Cilindrata. "Extra small" anche il motore: la cubatura massima è 660 cm3.
Potenza. Dal 1998 è stata limitata a un massimo di 64 cavalli.
Le vedremo mai in europa? Resta, a questo punto, da rispondere a un'ultima domanda: le vedremo mai da noi? Difficile, per non dire francamente impossibile, almeno sul breve termine. Le "automobili leggere" per il Giappone nascono con la guida a destra e per spostare il piantone dello sterzo bisognerebbe disassare il motore (all'interno di un cofano dove gli organi meccanici sono piuttosto compressi, tra l'altro), finendo per riprogettare l'intero avantreno, con costi immaginabili. Senza contare gli adeguamenti necessari in fatto di sicurezza passiva, a partire dal ripensamento del montante centrale, che sarebbe indispensabile per superare i nostri crash test. Insomma, se in Europa l'esigenza di un trait d'union fra quadricicli leggeri e auto propriamente dette dovesse iniziare a farsi più avvertita, potrebbe essere il caso di seguire l'esortazione di Luca de Meo: meglio iniziare a farcele da soli.
Cittadina. Il terreno d'elezione della Suzuki Hustler sono le vie trafficate dei centri urbani.
Uno dei modelli che più ha colpito l'immaginario collettivo in Europa dopo che il segmento delle kei car è tornato alla ribalta è la Suzuki Hustler, che abbiamo avuto modo di assaggiare sulle strade di Yokohama lo scorso ottobre e di cui la filiale italiana del costruttore di Hamamatsu ha portato nel nostro Paese un esemplare. Occasione irripetibile per averla qui in redazione e fare un ripasso delle sue doti sulle nostre strade. La Hustler, nella gamma delle "keijidosha" (in patria le chiamano anche così) della Casa è senza dubbio la più affine ai nostri gusti occidentali: con le sue forme da mini-crossover ricorda quasi una Jimny (che da noi dal 2025 non sarà più commercializzata, neppure come autocarro, e che invece in Giappone esiste sia come automobile sia come kei car) con l'abitacolo più lungo.
E, in effetti, gli interni sono un grande punto di forza: la disponibilità di spazio è sorprendente, soprattutto per chi siede dietro, se si considerano le dimensioni. E il posto guida ha un'ergonomia simile a quella di una citycar occidentale. Lo stesso dicasi per il powertrain: il suo 660 cm3 tre cilindri benzina mild hybrid non fa fatica a spingere gli 820 chilogrammi del corpo vettura. Un valore che rende superflua qualsiasi forma di sovralimentazione, che anzi avrebbe aggiunto complicazioni e chili di troppo. La trasmissione, invece, ha un sapore tutto giapponese: con il Cvt che la equipaggia, il motore fa sentire tutta la ruvidezza tipica della sua architettura, al salire dei giri. Ma la Hustler ti ripaga con una maneggevolezza che la rende imbattibile: con un'impronta a terra di cinque metri quadrati e un raggio di sterzata di appena 4,50 metri, è un furetto imprendibile nelle vie delle nostre città.
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