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Auto elettriche
Quando si possiede una vettura a batteria l’autonomia è certamente importante. Ma ciò che più conta è poterla ripristinare facilmente e – in viaggio - nel minor tempo possibile. Vediamo tutto quello che c’è da sapere sulle modalità per fare il pieno di energia
L’ansia da autonomia è una sensazione ben nota a chi guida abitualmente un’auto elettrica. Non tanto per la distanza che si può percorrere con la riserva di energia della batteria, quanto per la disponibilità dei punti di ricarica e del tempo richiesto per il rifornimento di corrente. Tempo che può variare da qualche decina di minuti fino a oltre due giorni, in funzione della potenza elettrica che si può prelevare dalla rete e dalla possibilità della vettura di accettarla. E anche quando l’attesa non è un problema, ovvero nelle ricariche notturne in garage, può essere complicato districarsi tra norme, tariffe e tipi di presa di corrente. Perché una cosa deve essere ben chiara: prima di comprare un’elettrica bisogna attrezzarsi per rifornirla a casa, che è di gran lunga la soluzione più pratica e conveniente. Ecco in dettaglio tutti gli aspetti della ricarica delle auto a batteria.
L’ABC. Partiamo dai concetti di base. Una batteria è caratterizzata soprattutto dall’energia che è in grado di accumulare, espressa in chilowattora (kWh), che corrisponde alla capienza del serbatoio delle auto normali. Per caricarla, si dovrà impiegare una data potenza elettrica (in kW) per un certo tempo (in ore): moltiplicando i due fattori si otterrà l’energia in kWh.
Da qui discende la prima regola fondamentale: a pari chilowattora da caricare, disponendo di maggior potenza si può ridurre il tempo necessario per caricare la batteria; viceversa, l’attesa per il pieno sarà più lunga. In prima approssimazione, il calcolo è semplice: basta dividere i chilowattora da rifornire nella batteria per la potenza a disposizione e si ottengono le ore necessarie. Per esempio, un accumulatore da 50 kWh completamente scarico, se ricaricato con una wallbox da 3,7 kW richiederà 50/3,7 = 13,5 ore, ovvero 13 ore e 30 minuti. Se la potenza a disposizione è doppia, l’attesa si dimezza: con 7,4 kW la ricarica durerà 6 ore e 45 minuti.
Per uguagliare la durata di un rifornimento di benzina o di gasolio, che richiede al massimo due minuti, la suddetta batteria da 50 kW andrebbe teoricamente caricata con 1.500 kW: teoricamente, perché anche disponendo di tale (elevatissima) potenza, l’accumulatore non sarebbe in grado di accettarla. Questo è un altro concetto fondamentale, che è bene tenere sempre in mente: la potenza massima di ricarica che una batteria può sopportare dipende soprattutto dalla sua taglia e dalla possibilità di raffreddarla, ma non si può alzare a piacere.
Da alternata a continua. Un altro elemento importante da considerare, per districarsi nel mondo della ricarica, è che la batteria eroga corrente continua, come le pile, quindi col + e -, e con questa va caricata. Visto che la corrente disponibile nelle case e nelle rimesse è alternata, serve un apparecchio che la converta in continua. Si tratta del caricabatteria, una sorta di versione maxi di quello dei cellulari, presente a bordo di tutte le elettriche e le ibride plug-in. Un dato fondamentale di questo dispositivo è la potenza massima che è in grado di gestire, perché di fatto condiziona la durata del rifornimento. Se, per esempio, ci si collega a una colonnina pubblica, che di solito eroga fino a 22 kW, la ricarica potrà avvenire a questa potenza solo se il caricabatteria dell’auto è di pari taglia. In caso contrario, il rifornimento verrà fatto alla potenza massima gestita dal dispositivo, che può essere inferiore, per esempio 7,4 o anche solo 3,7 kW. Tale dato è indicato nelle schede tecniche dell’auto e pure in quelle delle nostre prova su strada.
Le colonnine fast e quelle Hpc, invece, erogano corrente continua, che quindi raggiunge direttamente la batteria senza passare per il collo di bottiglia del convertitore alternata/continua a bordo dell’auto. Così la ricarica può avvenire a maggior potenza (teoricamente oggi si può arrivare a 350 kW), ma qui, come spiegato prima, entra in gioco la capacità dell’accumulatore di accettare tali potenze.
P = V x I
Più corrente, più calore. Facciamo un passo indietro. La potenza in Watt (formula qui sopra) è data dal prodotto tra la tensione in volt e l’intensità di corrente in ampere. Quest’ultima rappresenta la circolazione della carica elettrica: a parità di altre condizioni, al suo aumento corrisponde un incremento del riscaldamento dei conduttori e, nel caso della ricarica, pure della batteria. Non si può quindi aumentare a piacere la potenza della ricarica, perché oltre un certo limite l’accumulatore si danneggia. Inoltre, quando ci si avvicina alla piena carica, l’intensità di corrente si riduce naturalmente e questo è il motivo per cui in viaggio non conviene andare oltre l’80% della "capienza". Infatti, l’attesa per "riempire" il restante 20% sarebbe assai lunga, visto che in tale fase la potenza di ricarica cala drasticamente.
Occhio alla media. Da queste ultime considerazioni discende anche un altro fatto. Quando si parla di ricarica a corrente continua ad alta potenza, il dato che le Case indicano è la potenza massima raggiungibile. Si tratta in qualche caso di valori molto elevati, fino a 270 kW. Ma più del valore di picco, conta la potenza media tenuta nel corso della ricarica, perché è questa che determina la durata dell’operazione. Il diagramma qui sotto mostra il comportamento in ricarica di due vetture: una raggiunge quasi subito il valore di picco, ma già quando viene superato il 40% dello stato di carica la potenza inizia a calare per poi ridursi rapidamente; l’altra mantiene pressoché costante la carica fino all’80%. La seconda ha dunque un sistema di gestione della batteria migliore, che comprende un efficace impianto di raffreddamento.
Dalla teoria alla pratica. Trattandosi di elettricità, la ricarica è regolata dalle norme del Comitato elettrotecnico internazionale, che comprendono quattro modalità diverse.
La spina 3A è riservata alla ricarica di motoveicoli e quadricicli
Modo 1, non per le auto. La prima, detta Modo 1, è il semplice collegamento del veicolo elettrico a una presa di corrente domestica, in ambito privato. È riservata ai mezzi leggeri, come le biciclette, i motoveicoli o i quadricicli (che però vanno collegati con una spina specifica, detta 3A). Non è consentito per le automobili.
Per la ricarica con le prese domestiche si deve utilizzare un cavo speciale
Modo 2, basta una presa di corrente. Il Modo 2 utilizza di solito le normali prese domestiche, ma richiede un cavo speciale, dotato di una scatola di controllo (control box) che verifica la messa a terra dell’impianto elettrico e monitora la temperatura dei cavi e pure della spina. Le norme consentono di prelevare dalle prese fino a 16 ampere, in funzione del tipo di connettore, ma nel caso della spina Schuko (quella "tedesca"), pur essendo progettata per tale intensità di corrente, vista la lunga durata della ricarica e quindi il conseguente accumulo di calore dovuto al passaggio della corrente, la potenza è limitata a 2,3 kW (corrispondenti a 10 ampere). Nel caso in cui il cavo Modo 2 sia dotato della classica spina "italiana" a tre poli allineati da 10 ampere, la potenza scende a soli 1,8 kW (8 ampere). Una batteria da 50 kWh viene così teoricamente caricata in 50/2,3 = 21 ore e 44 minuti nel primo caso e 50/1,8 = 27 ore e 46 minuti nel secondo.
Da notare che qualche costruttore fornisce i cavi Modo 2 con sezioni intercambiabili per il collegamento alla presa di corrente. In tal modo, oltre che alla classica Schuko, ci si può collegare a una presa industriale monofase da 16 ampere (di colore blu) e prelevare una potenza di 3,7 kW, o a una trifase, sempre da 16 ampere (quella rossa) e in tal caso la potenza sale a 11 kW (sempre che il caricabatteria dell’auto sia in grado di accettarla) senza dover installare wallbox dedicate. Questa soluzione è utile soprattutto a chi dispone già di tali prese, come le officine artigianali o le aziende manifatturiere.
In questa immagine, un cavo Modo 2 con spine di collegamento alla presa di corrente intercambiabili: la blu consente di collegarsi alle prese industriali monofase, mentre la rossa è dedicata a quelle trifase con potenze fino a 11 kW
Modo 3, qui si fa sul serio. Le wallbox o le colonnine a corrente alternata rappresentano il Modo 3 di ricarica, che può gestire correnti fino a 64 ampere in trifase, corrispondenti a 44 kW; il collegamento si perfeziona con un cavo con connettori specifici, detti Tipo 2 o Mennekes, dal nome del produttore, e, in certi modelli giapponesi datati, solo dal lato vettura Tipo 1 o Yazaki.
Un connettore Tipo 2 o Mennekes
Nel cavo, oltre ai conduttori per trasportare la corrente, ce ne sono altri due, uno per la comunicazione dati tra vettura e colonnina e l’altro per accertarsi del collegamento tra di esse e della continuità del conduttore di protezione (la "terra"). Di fatto, a parte qualche Renault, la massima potenza che le elettriche sono in grado di accettare è 22 kW in corrente trifase e 7,4 in monofase (corrispondenti a una corrente di 32 ampere in entrambi i casi). Da notare che, oltre al caricabatteria integrato nella vettura, un possibile collo di bottiglia è costituito dal cavo di collegamento: se, per esempio, la vettura è dotata di uno trifase da 11 kW, nel caso venga collegato a una wallbox monofase da 7,4 kW non potrà prelevare tale potenza, ma solo la metà, ovvero 3,7 kW, perché il cavo sopporta solo 16 ampere per fase, mentre i 7,4 kW a 230 volt comportano una corrente di 32 ampere.
Le wallbox utilizzate in ambito domestico possono essere dotate della funzione power management per modulare la potenza erogata alla vettura in modo da non far intervenire le protezioni di sovraccarico del contatore
Ripartizione intelligente. Per le installazioni domestiche, le wallbox, oltre che per la potenza che sono in grado di gestire (3,7, 7,4, 11 o 22 kW), differiscono per le capacità di gestione. Ci sono dispositivi in grado di essere monitorati da remoto, grazie a un modulo di comunicazione LAN o 4G (che quindi sfruttano rispettivamente una rete locale o quella cellulare) e altri che possono interfacciarsi con il contatore di energia e modulare la potenza erogata alla vettura in funzione di quella assorbita dagli altri apparecchi elettrici dell’abitazione (funzione power management), in modo da sfruttare al massimo la potenza contrattualmente disponibile senza far intervenire le protezioni di sovracorrente. In tal modo, in molti casi non è necessario innalzare la potenza disponibile, che comporterebbe un aumento di costi. A questo riguardo, va segnalato che dal luglio del 2021 e fino alla fine del 2023 è in corso una sperimentazione per consentire il prelievo di una potenza fino a 6 kW in fascia F3 (ovvero di notte e di domenica e nei festivi) senza costi aggiuntivi. Il requisito è l’installazione di una wallbox intelligente, scelta tra quelle elencate nel sito del GSE (Gestore Servizi Energetici). Maggiori informazioni qui.
Nei condomini è più complicato. L’installazione di una wallbox (che va sempre fatta da un tecnico qualificato) non comporta problemi se viene effettuata nella rimessa di un’abitazione privata monofamiliare, mentre nel caso di un garage condominiale si possono verificare casi diversi. Il primo, e più semplice, è quello in cui il box è collegato allo stesso contatore dell’abitazione: così si può beneficiare della medesima tariffa agevolata e basta informare l’amministratore di condominio del montaggio del dispositivo di ricarica. In caso contrario, va richiesto un contatore dedicato, al quale però verrà applicata la tariffa altri usi, con costi fissi e prezzi dell’energia meno convenienti di quelli dei contratti domestici (residenziali e non). In alternativa, si può sfruttare il contatore condominiale: ogni singola utenza avrà un subcontatore per la contabilizzazione dell’energia prelevata e su di essa il condominio non può guadagnare. In altre parole, la corrente per la ricarica di un’auto elettrica avrà lo stesso prezzo di quella utilizzata per l’illuminazione condominiale. La potenza necessaria non sarà la somma delle singole utenze, perché si presume che esse non saranno mai utilizzate tutte contemporaneamente.
Modo 4, con la continua è un altro mondo. ll Modo 4 di ricarica rappresenta la tecnologia che permette di ridurre al massimo i tempi dell’operazione, perché si riferisce alle colonnine a corrente continua, che, come detto, by-passano il caricabatteria interno e vanno direttamente alla batteria. Le colonnine sono facilmente riconoscibili perché sono più grandi di quelle a corrente alternata e sono dotate di cavo integrato, un po’ come succede con il tubo delle pompe di benzina. Cambia anche il connettore: al posto della spina Tipo 2 o Mennekes, c’è la CCS Combo 2, in pratica una Mennekes con l’aggiunta alla base di due terminali che portano la corrente continua. Inoltre, quasi tutte le colonnine Modo 4 sono dotate anche di una spina per lo standard giapponese CHAdeMO, utilizzato per alcuni vecchi modelli del Sol Levante. Le stazioni di ricarica possono essere rapide, con potenza di 50 kW, o Hpc (High power charge) in grado di erogare fino a 150 kW a 400 volt e 350 kW a 800 volt. Queste ultime sono più rare, ma garantiscono la ricarica più rapida: anche solo cinque minuti per ripristinare 100 km di autonomia, purché l’auto venga informata dell’intenzione di ricaricare presso una stazione ad alta potenza immettendola come destinazione nel navigatore. In tal modo, infatti, la batteria viene portata alla temperatura più adatta ad accettare e a mantenere il più possibile costante l’elevata intensità di corrente che la ricarica Hpc comporta, il che richiede anche che il cavo di ricarica venga raffreddato a liquido.
Se è lenta rende meno. A prescindere dal modo di ricarica, c’è sempre uno scostamento tra il consumo di energia indicato dal computer di bordo e quello rilevato leggendo il contatore della colonnina. Al netto dell’errore dello strumento della vettura, i motivi di tale scostamento sono sostanzialmente due. Il primo è la naturale dispersione di energia legato all’effetto Joule, ovvero al riscaldamento dei conduttori proporzionale all’intensità della corrente. Il secondo è la necessità di alimentare nel corso della ricarica sia le varie centraline che sovraintendono all’operazione sia l’impianto di raffreddamento della batteria. Ciò fa sì che si parli di rendimento della ricarica stessa, espresso come il rapporto tra l’energia che effettivamente raggiunge l’accumulatore e quella prelevata dalla colonnina o dalla wallbox domestica. Da questo punto di vista, più la ricarica è lenta meno è efficiente, perché le centraline vanno alimentate per un tempo più lungo.
Il test. In una prova che abbiamo effettuato tempo fa su un’Audi e-tron 55 quattro, (cui si riferisce il diagramma sopra), il rendimento della ricarica ha raggiunto il 95% con la corrente trifase da 11 kW, è sceso al 90% con la monofase da 7,4 kW, per arrivare all’86% con il collegamento a 2,3 kW alla presa domestica. In tutti e tre i casi, l’energia da caricare nella batteria era pari a 83,6 kWh, ma quella prelevata dalla rete è passata da 87,74 a 92,28 e poi 96,10 kWh, con una dissipazione rispettivamente di 4,14, 8,68 e 12,50 kWh. Da ciò si deduce che la ricarica Modo 2 oltre che molto lenta (nel caso della e-tron dura 45 ore) è pure inefficiente e va considerata come un sistema da utilizzare solo in caso manchino alternative più valide.
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