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Industria e Finanza

Caso Volkswagen

Ora si parla di CO2: volontà di trasparenza o chiamata di correo?

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Quanto sta avvenendo in queste ore segna un cambio di passo nella vicenda (l’avevo scritto ieri, peraltro, nei commenti della prima notizia). Intanto la Volkswagen – che prima aveva ammesso la propria truffa – ora respinge le accuse, assai circostanziate, dell’Epa, che ieri ha messo sotto indice i 3.0 V6 TDI più recenti. Ma soprattutto dirama un comunicato centrato su non meglio precisate “irregolarità” dei livelli di CO2 e dice, stando sul vago, che “it was established that the CO2 levels and thus the fuel consumption figures for some models were set too low during the CO2 certification process”. Non si accenna a defeat device o a dispositivi più o meno truffaldini: si dice soltanto che in sede di omologazione i livelli di CO2, e quindi i consumi (le due cose coincidono), di alcuni modelli sono risultati troppo bassi (ma non si dice rispetto a cosa).

La mossa può essere interpretata in due modi. Potrebbe essere un nuovo passo verso la “purificazione” urbi et orbi dell’azienda, come sembrerebbe dalle parole del boss Müller. Oppure, e questo sarebbe davvero un colpo di scena, potrebbe segnare il punto di svolta nella – chiamiamola così – strategia processuale dei tedeschi, puntando la prua verso un preciso obiettivo: spostare l’attenzione dall’ormai accertata truffa dei NOx al nodo della certificazione. La CO2 - che venga misurata in laboratorio o su strada - è infatti l’istanza dirimente per definizione, in quest’industria: su di essa si basano le tassazioni di vari Paesi europei, è direttamente connessa ai consumi (ricordiamo che le percorrenze dichiarate si ricavano dai dati del diossido di carbonio), non distingue fra benzina, diesel o ibride ed è utilizzata dall’Unione europea, soltanto per citare esempi vicini a noi, per imporre target medi di gruppo da raggiungere.

L’atto dei tedeschi, sia chiaro, impone un pedaggio carissimo (la stessa Casa parla di altri due miliardi di euro e 800mila auto coinvolte, per non parlare della multa che l’UE ha facoltà di comminare); però focalizza il dibattito su un tema che l’opinione pubblica conosce assai meglio dei misteriosi NOx e che soprattutto riguarda aspetti assai più tangibili, ovvero le impressionanti discrepanze fra consumi dichiarati e reali verificabili da tutti gli automobilisti (e da noi sottolineate ogni mese).

Autodafé o furbo contrattacco, è troppo presto per dire se la scelta della VW funzionerà davvero. Anche se, a ben vedere, un primo risultato l’ha ottenuto: la vicenda arriverà quanto prima sui tavoli dell’Unione europea, se è vero, come ha detto la portavoce della commissaria al mercato interno Lucia Caudet, che la questione sarà al centro della prossima riunione con le autorità di omologazione dei 28 Paesi.

In ogni caso, se l’iniziativa avesse davvero l’effetto di imporre un ripensamento sul modo in cui la CO2 viene calcolata, nessun costruttore potrà dirsi tranquillo, essendo tutti ben consapevoli di quanto ridicole siano ora le procedure di verifica: è un enorme problema normativo che andiamo denunciando da anni, che riguarda l’intero comparto automotive e che andrà risolto nonostante le resistenze delle tante lobby coinvolte. Questo, sia chiaro, non alleggerisce di una virgola la posizione della Volkswagen rispetto al Dieselgate: la Casa ha compiuto un reato mentendo sulle caratteristiche d'omologazione (in punto di diritto, poco importa quale sia stata l’istanza da cui è scaturita la colpa) e di questo dovrà rispondere, a prescindere dalle personali convinzioni e antipatie che sembrano travolgere l’opinione pubblica.

Gian Luca Pellegrini

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