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Maserati
Il Tridente è finito nel tritacarne delle speculazioni sul suo possibile futuro. Gli scenari sono diversi e vedono il possibile intervento di cinesi e perfino tedeschi, ma l’opzione forse migliore è nella vicina Maranello. Per ora, però, non c'è nulla di concreto
Ufficialmente la Maserati non è in vendita, ma le recenti dichiarazioni dei vertici di Stellantis hanno scatenato una ridda di ipotesi e speculazioni sul futuro del Tridente e soprattutto sulla permanenza del marchio emiliano nell’ampio (forse troppo) portafoglio del gruppo automobilistico. Tutto è partito dalle dichiarazioni del direttore finanziario Natalie Knight: "Per ora siamo impegnati a creare quanto più valore possibile per il marchio", ma in futuro "ci potrebbe essere una valutazione su quale sia la migliore Casa per Maserati”. A dare ancor più fiato alle trombe ci ha poi pensato l’amministratore delegato Carlos Tavares, sottolineando la possibilità di chiudere o dismettere "marchi che non rendono". E, purtroppo, il Tridente è proprio in questa situazione. Sul tavolo, almeno per ora, non c’è nulla di concreto, ma è già possibile fare dei ragionamenti su quali siano le migliori alternative o i possibili scenari. In tal senso le ipotesi sono sostanzialmente due: una guarda alla Via della Seta, ossia ai costruttori cinesi, l’altra alla Via Emilia, con una piccola deviazione verso la Germania.
La situazione. Il presupposto di qualsiasi ragionamento è comunque l’attuale situazione di forti difficoltà commerciali e finanziarie della Maserati. I numeri sono incontrovertibili. Nel primo semestre, la Casa emiliana ha visto le consegne più che dimezzarsi, scendendo da 15.300 a 6.500 unità e i ricavi crollare da 1,3 miliardi a 631 milioni, mentre il risultato operativo è passato da un utile di 121 milioni a una perdita di 82 milioni e il margine dal 9,2% al -13%. Si tratta di risultati "deludenti" per i vertici aziendali, ma alla fin fine non tanto sorprendenti considerata l'evoluzione della gamma. Maserati ha cessato la produzione della Ghibli e della Quattroporte alla fine del 2023 e della Levante alla fine di marzo e ora conta sostanzialmente solo sulla Grecale e su tre prodotti di nicchia come GranTurismo, GranCabrio ed MC20. Inoltre, non si vedono dietro l’angolo delle aggiunte di rilievo. L’anno prossimo arriverà sul mercato la variante a batteria della MC20 (la Folgore), ma l'impatto sulle vendite sarà limitato, mentre l’erede della Quattroporte, inizialmente prevista per il 2025, arriverà solo nel 2027 o nel 2028. In ritardo è anche la nuova Levante: il lancio era previsto per l'anno prossimo, ma è stato posticipato al 2027 e non è escluso un nuovo slittamento fino al 2029. Insomma, troppo poco per rilanciare il brand, mantenerlo sui volumi del 2022 e il 2023 (le vendite si sono comunque attestate intorno alle 26 mila unità) e magari spingerlo vicino agli obiettivi, forse troppo ambiziosi, di un tempo: Sergio Marchionne voleva raggiungere la soglia delle 50 mila vendite, ma stiamo parlando di diversi anni fa (e di un diverso contesto). Nel 2020, poi, il numero uno dell’allora Fiat Chrysler, Mike Manley, si era spinto a indicare il target delle 75.000 unità per il 2025, con varianti elettriche per ogni modello in gamma.
Maserati Grecale. La Suv media è ormai l'unico modello non di nicchia nella gamma prodotto del Tridente.
L'opzione cinese. Sono passati quattro anni e la situazione si è del tutto ribaltata, rafforzando i timori sulle capacità di Stellantis di gestire marchi di lusso a causa di una strategia troppo impostata sull’attenzione ai costi, ai risparmi e alle sinergie, laddove l’alto di gamma richiede, invece, una maggior focalizzazione su qualità e soluzioni tecnologiche sì costose, ma coerenti con le richieste di clienti disposti a spendere di più solo a determinate condizioni. Tra l’altro, anche il marchio DS si trova in una situazione delicata con vendite da mesi in caduta libera: nel primo semestre, i volumi europei risultano in calo del 24% circa a 21.454 unità. Dunque, per Maserati si aprono diversi scenari, uno dei quali vede l’ipotesi che alla porta di Stellantis bussi qualche costruttore cinese dalle grandi disponibilità finanziarie. Diversi sono i marchi del Dragone intenzionati a sbarcare in Europa, ma tutti, chi più o chi meno, scontano una grande problematica: la scarsa reputazione tra i consumatori europei. Maserati, al contrario di altri brand ormai defunti come Autobianchi o Innocenti, farebbe decisamente comodo, ancor di più a quelle Case desiderose di lanciare il guanto di sfida ai tedeschi nelle fasce alte del mercato. Tuttavia, al di là di qualsiasi ipotesi sui valori della vendita, c’è un aspetto di natura politica da tenere in seria considerazione. La cessione all’estero di un simbolo del Made in Italy rischia di aprire un nuovo terreno di scontro tra Stellantis e il governo italiano, rendendo ancor più tesi rapporti spesso improntati all’acredine e sempre sull’orlo di deflagrare. Del resto, basta il recente annuncio sulla cessione della maggioranza di Comau: anche se l’acquirente, One Equity Partners, proviene dagli Stati Uniti, a Palazzo Chigi hanno già iniziato a valutare l’esercizio del Golden Power, il che rischia di bloccare l’intera operazione o comunque di porre in essere dei paletti insuperabili.
Attrazioni cinesi. Il governo ha pensato di far rinasce i marchi Autobianchi e Innocenti per attrarre costruttori cinesi, ma il brand Maserati ha di sicuro un maggior appeal, in particolare all'estero.
L'alternativa emiliano-tedesca. Dunque la Via della Seta non pare una strada priva di ostacoli. Del resto, ci sono anche delle alternative e tutte guardano alla Via Emilia. Per esempio, c'è chi guarda alla Lamborghini e quindi ai tedeschi dell’Audi, ma è veramente difficile pensare che a Wolfsburg diano il via libera a un’operazione del genere alla luce delle attuali difficoltà patite da Ingolstadt nel suo processo di transizione. E questo senza dimenticare come gli attuali vertici aziendali capitanati da Oliver Blume si siano ormai messi alle spalle la campagna di acquisizioni perseguita in passato da Ferdinand Piëch. Certo, se Piëch fosse ancora in vita e sulla tolda del comando, la questione sarebbe stata già chiusa: si sarebbe presentato alla porta di Tavares con una proposta dettagliata come fece, tra l’altro, con Marchionne per cercare di esaudire il sogno di rilevare l’Alfa Romeo. Certo, ci sarebbe anche Porsche, ma la Casa di Zuffenhausen è in ben altre "faccende affaccendata" a causa, come Audi, di un processo di elettrificazione sempre più complesso e tortuoso. D'altro canto, i tedeschi sono tirati in ballo proprio per aver rilanciato altri due simboli della Motor Valley (Lamborghini e Ducati) e per aver dato prova delle loro capacità nell’alto di gamma. Tuttavia, tra i dire e il fare c’è sempre di mezzo il mare ed eventuali pressioni sembrano destinate ad arenarsi di fronte alle porte sbarrate di Wolfsburg. Se proprio si volesse fare "fanta-finanza", ci sarebbero anche Mercedes e BMW, ma anche in questo caso è difficile pensare a un possibile intervento, salvo, ovviamente, eventuali sorprese a oggi del tutto imprevedibili. A Stoccarda hanno ormai abbandonato la strada della proliferazione dei marchi (lo dimostra la storia della Smart), mentre a Monaco sono concentrati sui loro attuali brand da ormai venti anni, ossia dall’acquisizione della Rolls-Royce (la Mini è stata, invece, rilevata nel lontano 1994).
Lamborghini. La Casa del Toro ha beneficiato grandemente del sostegno ricevuto dal gruppo Volkswagen, imboccando una strada di rilanci che oggi sta portando a continui record commerciali e finanziari. Nella foto la sede di Sant'Agata Bolognese.
L’opzione preferita. L’alternativa preferibile, anche dal punto di vista politico, rimane sempre sulla Via Emilia e si trova a pochi chilometri dal quartier generale della Maserati a Modena. Si tratta della Ferrari, una soluzione auspicata, se non agognata, dai sindacalisti, dai massimi rappresentanti delle istituzioni locali e anche dagli esperti del settore che Quattroruote ha sentito in questi ultimi giorni. Bastano le parole del sindaco di Modena, Massimo Mezzetti: "Maserati è un patrimonio di questa città che difenderemo con le unghie e con i denti. Non sappiamo cosa intenda fare Stellantis e sarà bene che, al di là di annunci che abbiamo letto, ci faccia vedere le carte con chiarezza e trasparenza. L’opzione di una vendita a Ferrari potrebbe essere un buon progetto, ma tutto va valutato in modo chiaro". In particolare sul fronte della salvaguardia dei posti di lavoro e della difesa di un marchio storico. Lo stesso auspicano i rappresentanti dei lavoratori. Alessandro Bonfatti della Fim-Cisl Emilia Centrale, si è rivolto al governo per chiedere la creazione di un polo del lusso tramite una "soluzione italiana" e questa non può essere che un’unione con Ferrari. Per Alberto Zanetti della Uilm Modena, "l’auspicio è che, in caso di vendita, l’azienda vada a ditte serie e non a fondi di investimento stranieri. Dal canto suo, Ferrari non ha mai né confermato né smentito l’interesse". Insomma, tutti guardano, in un modo o in un altro, a Maranello.
Ferrari. La sede del Cavallino Rampante dista poco meno di 20 chilometri dal quartier generale della Maserati a Modena. Nella foto una vista della fabbrica di Maranello
La forza del Cavallino. D’altro canto che il Cavallino Rampante sia l’opzione migliore in assoluto lo dicono la storia e i numeri. La Ferrari ha gestito il Tridente per un decennio, per la precisione dal 1997, quando ne acquista il 50% dalla Fiat. È sotto gli uomini della Rossa, allora guidati da Luca Cordero di Montezemolo, che la Maserati rinasce. Nel 1998 arriva sul mercato la 3200 GT, quattro anni dopo debuttano la Coupé e la Sypder e nel 2003 è la volta della Quattroporte. Inoltre, la Ferrari sfrutta i suoi motori, soprattutto gli otto cilindri, per ridare al Tridente quel tocco di sportività che ha sempre contraddistinto il marchio emiliano e lo riporta anche nelle competizioni sportive. Nel 2007, però, Maserati ritorna in pancia alla Fiat, ma i legami di fornitura con il Cavallino Rampante vengono rotti solo tra il 2021 e il 2022. In sintesi, a Maranello conoscono bene il Tridente e soprattutto sanno bene, forse più di chiunque altro, come si compete nell’alto di gamma. Quanto ai numeri, c'è ben poco da dire: la Ferrari è una macchina da soldi senza precedenti nella storia dell'auto. Nel primo trimestre (i dati del secondo saranno pubblicati l’1 agosto), le principali voci del conto economico sono cresciute a doppia cifra nonostante un lieve calo delle consegne: il fatturato è cresciuto dell’11% a 1,58 miliardi, il margine operativo lordo del 12,7% a 605 milioni (l'incidenza sui ricavi è salita dal 37,6% al 38,2%), l'utile operativo del 15% a 442 milioni (il margine è passato dal 26,9% al 27,9%) e l'utile netto, salito del 19% a 352 milioni. Le attività industriali della Ferrari, infatti, hanno generato cassa per 321 milioni di euro, in aumento rispetto ai 269 milioni del pari periodo del 2023, nonostante investimenti per 195 milioni. Inoltre, la posizione finanziaria netta è passata da un indebitamento di 99 milioni al 31 dicembre dell'anno scorso a un saldo positivo per 38 milioni e la liquidità disponibile da 1,72 miliardi a 1,966 miliardi. A Maranello hanno dunque "spalle grosse" e soprattutto tecnologie e piattaforme, il che non guasta assolutamente. La Ferrari ha investito nell’ibrido (la prima Phev, la SF90 Stradale, è del 2019), sta investendo nell’elettrico (la prima Bev sarà svelata l’anno prossimo) ed è perfino sbarcata nel mondo dei Suv con la Purosangue. Insomma avrebbe tutto ciò che serve per rilanciare per rilanciare Maserati, non da ultimo il sostegno di istituzioni, sindacati o lavoratori. Aspetto quest’ultimo da non sottovalutare anche davanti a offerte monstre. Tutti questi fattori rafforzando le speranze che il nuovo matrimonio tra Modena e Maranello non rimanga solo un sogno di mezza estate.
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