Innocenti
Dalla Lambretta alla Mini - FOTO GALLERY
Esattamente vent’anni fa, nell’ottobre 1997, la Innocenti lasciò definitivamente i listini, scomparendo dal circolo dei costruttori ed entrando una volta per tutte nella storia. La sua avventura nel settore dell’automobile è stata una delle più corte in assoluto, 37 anni appena (esistono singoli modelli che sono campati di più) ma dal punto di vista industriale il cammino della Casa di Lambrate, alla periferia sud di Milano, era iniziato molto prima e aveva avuto numerosi sviluppi, coinvolgendo settori che con l’automobile (e il trasporto in generale) non avevano nulla a che vedere.
Dai tubi agli scooter. Alla base della parabola dell’azienda il suo fondatore, Ferdinando Innocenti, toscano di Pescia, classe 1891, di modeste origini. Dal padre, fabbro, mutua la passione per la lavorazione del ferro e ne fa la sua attività, arrivando a costruire una fabbrica che porta il suo nome e che (prima a Roma, successivamente a Lambrate) si dedica alla costruzione di cannotti di acciaio con giunti particolarmente facili da montare e smontare – i famosi tubi Innocenti, ancor oggi in uso – che favoriranno il boom dell’edilizia nel Ventennio. Gran tessitore di rapporti, schivo, preciso sino all’ossessione (la leggenda vuole che i suoi appuntamenti fossero scadenzati al minuto, e che non concedesse all’interlocutore più di 30 secondi di ritardo) nel 1947 cavalca l’onda della ricostruzione opponendo alla Vespa della Piaggio la Lambretta, scooter che sarà costruito finanche in 100mila unità all’anno a metà degli anni ’50. In quel periodo, l’intuizione di Ferdinando che aprirà la strada all’automobile: l’apertura di un impianto siderurgico in Venezuela per l’estrazione di pirite che, al netto di enormi investimenti, metterà nelle casse dell’azienda il denaro necessario per lanciarsi anche nel campo dell’automobile.
L’accordo con gli inglesi. Al tempo in Italia giocano tre attori, sulla scena nazionale: la Fiat, che fa i numeri, l’Alfa Romeo, che è dello Stato e la Lancia, che è in perenni difficoltà finanziarie. Non disponendo di mezzi e di tecnologie per inventarsi un’auto partendo dal foglio bianco, Innocenti sigla un contratto con l’inglese Austin per costruire su licenza due modelli: la A40, disegnata da Pininfarina e dunque di gusto italiano, e la Spider, che viceversa impiega gruppi meccanici della Austin-Healey Sprite su una carrozzeria ridisegnata per la Ghia da un giovane Tom Tjiarda. È l’autunno 1960, e gli inizi sono promettenti, sia pure non travolgenti. Seguono, tra il 1963 e il 1964, le versioni italiane della BMC 1100/1300 poi – finalmente – alla fine del 1965 arriva la Mini e la Innocenti si trova in poco tempo tra il secondo e il terzo posto tra i costruttori italiani.
Le difficoltà. Nel 1966 Ferdinando muore, e nel 1971 il figlio Luigi cede l’azienda alla British Leyland. In anni di enormi difficoltà per l’industria inglese il matrimonio dura poco, e già nel 1976 l’Innocenti passa all’industriale italo-argentino Alejandro De Tomaso. Alla vigilia della cessione nasce l’unico modello in larga parte autonomo del marchio, la Mini 90/120, che riveste con una moderna carrozzeria disegnata da Bertone i gruppi meccanici made in England, poi rimpiazzati a partire dal 1982 da vari tre (e due) cilindri di origine Daihatsu. Durante la discussa gestione De Tomaso (nel corso della quale molti fondi pubblici affluiscono nelle casse dell’Innocenti ma poco di nuovo esce in termini di prodotto) Lambrate si apre a diverse produzioni: assembla infatti la scocca della Biturbo (De Tomaso è proprietario anche della Maserati) e persino di una Chrysler, la TC.
Il declino. Nel 1990 tutto il capitale passa alla Fiat. Le Small, ultime derivazioni dell’originaria Mini «quadrata», escono dalla catena di montaggio il 31 marzo 1993, giorno in cui la fabbrica di Lambrate chiude i battenti. Per alcuni anni Innocenti viene impiegato (non senza una logica) come marchio low-cost del Gruppo, dedito alla commercializzazione di modelli non più in produzione in Europa e in arrivo dal Brasile, come la Mille (ex Uno) o la Elba (ex Duna Weekend). Non manca una rimarcatura Innocenti del Piaggio Porter, paradossale considerando quanto al tempo Lambretta e Vespa se le dessero di santa ragione. A intervalli regolari, c’è chi cita un imminente ritorno del marchio milanese come alternativa italiana alla Dacia. Più che un progetto, un’ipotesi: quel che è certo è che, oggi come oggi, l’Innocenti è stata una (bella) pagina di storia italiana.