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F.1, Ferrari
Stilettata di Elkann: "I piloti pensino a guidare"

Davide Reinato
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F.1, Ferrari - Stilettata di Elkann: "I piloti pensino a guidare"

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F.1, Ferrari - Stilettata di Elkann: "I piloti pensino a guidare"

All’indomani del GP del Brasile, conclusosi con un doppio ritiro per il Cavallino, il presidente della Ferrari ha becchettato i suoi piloti: “Si concentrino a guidare e a parlare meno”. Un’affermazione tagliente che tradisce tutta la frustrazione per una stagione decisamente sotto le attese. John Elkann ha voluto riconoscere il lavoro del team, affermando: “In Formula 1, da una parte abbiamo i meccanici che hanno fatto il loro lavoro, tra pole e pit stop. Gli ingegneri lo stesso, con la macchina che è evidentemente migliorata. Il resto non è stato all’altezza”. Del resto, dopo l’ennesima gara da incubo, Elkann ricorda che “abbiamo ancora qualche gara e non è impossibile arrivare al secondo posto” nel Costruttori: un obiettivo minimo a questo punto, ma utile per salvare l’onore.

Lo scivolone. La doppia battuta a vuoto del GP del Brasile ha avuto conseguenze pesanti sulla classifica iridata. La Scuderia di Maranello è passata dal secondo al quarto posto nel Mondiale Costruttori: in un colpo solo è stata scavalcata sia dalla Mercedes che dalla Red Bull. Il doppio zero di Interlagos, a fronte dei 30 punti incamerati dalla Mercedes, ha fatto precipitare la Ferrari a -36 dalla squadra di Brackley. Ora la Mercedes occupa la seconda piazza con 398 punti, seguita dalla Red Bull a 366, mentre la Ferrari insegue con 362. Solo poche gare fa il Cavallino Rampante sembrava in vantaggio per il ruolo di vicecampione dietro alla imprendibile McLaren (già matematicamente campione del mondo), ma la trasferta brasiliana ha ribaltato la situazione. Recuperare questo gap nelle ultime prove rimaste appare un’impresa difficile, ma non impossibile: servirà un immediato cambio di passo da parte di tutta la squadra, in particolare dei piloti come auspicato da Elkann, e sperare in qualche sfortuna altrui.

Una crisi quasi inspiegabile. Questa lotta per il secondo posto – obiettivo di ripiego per una squadra del calibro della Ferrari – mette in luce la crisi di competitività che affligge il team ormai da troppo tempo. Il Cavallino non conquista un titolo mondiale di Formula 1 dal 2007, anno dell’ultimo alloro Piloti con Kimi Räikkönen (a cui seguì l’ultimo titolo Costruttori nel 2008). Da allora sono trascorsi 18 anni senza che a Maranello si festeggiasse più un campionato del mondo piloti, un’eternità per la scuderia più blasonata del Circus. In questo periodo si sono alternate stagioni di alti e bassi, diversi cambi al timone (dai team principal agli stessi presidenti) e vari campioni alla guida, ma il filo conduttore è stato l’assenza del risultato finale. Alcuni anni hanno visto la Ferrari vicina al bersaglio: come dimenticare i mondiali sfumati nel 2010 e 2012 con Alonso, o nel 2017 e 2018 con Vettel, ma il trofeo più ambito è sempre mancato. La stagione 2025, non ancora conclusa, doveva rappresentare un passo avanti nel nuovo corso gestionale - sotto la guida del team principal Frédéric Vasseur - e tecnico, ma finora ha consegnato alla Ferrari soltanto degli exploit. Il crollo di Interlagos, con entrambe le monoposto fuori dai giochi, amplifica il senso di occasione persa e di urgenza di un cambio di rotta, come sottolineato dal presidente.

Hamilton nel mirino. Se in casa Ferrari il momento è teso, lo è ancor di più per Lewis Hamilton, protagonista di una gara brasiliana disastrosa. Il sette volte campione del mondo, approdato a Maranello per portare esperienza e mentalità vincente, ha vissuto a Interlagos una giornata nera che ha dato adito alle critiche di Elkann. Tutto è iniziato con una partenza pessima: Hamilton ha avuto un avvio difficile e alla prima curva è rimasto coinvolto in un contatto con Carlos Sainz. Poche tornate dopo, nel tentativo di rimontare, l’inglese si è reso protagonista di un incidente con il rookie argentino Franco Colapinto, tamponando la vettura di quest’ultimo. L’impatto ha causato danni irreparabili alla sua Ferrari, costringendolo poco più avanti al ritiro.  Hamilton a fine corsa ha definito l’esito “devastante”: difficile dargli torto, considerando che il doppio ritiro, come detto, ha tolto alla Ferrari punti preziosi nella rincorsa alla piazza d’onore nel mondiale. Ma le sue parole amare nel post gara sono suonate quasi come un’ammissione d’impotenza, qualcosa che in Ferrari evidentemente non è stato gradito ai massimi livelli. Leclerc, dal canto suo, è stato eliminato da un crash innescato da Antonelli e Piastri senza colpe dirette, ma il bilancio resta di zero punti. Ecco perché Elkann ha voluto richiamare all’ordine i suoi alfieri: da un campione navigato come Hamilton ci si aspetta la capacità di trascinare la squadra fuori dalle difficoltà, non errori da rookie come quelli visti ieri. Hamilton rimane uno dei piloti più esperti e titolati in griglia, ma dovrà ritrovare lucidità e consistenza se vuole contribuire a rilanciare la Ferrari. Le sue difficoltà di adattamento alla nuova realtà di Maranello sollevano interrogativi: è solo questione di tempo e di feeling con la monoposto, o il sette volte iridato sta pagando il prezzo di un ambiente Ferrari storicamente pressante e imprevedibile? Di sicuro, il presidente Elkann con le sue dichiarazioni gli ha lanciato un segnale forte. Non dimentichiamo, anche se è ancora molto presto per dirlo, che la Rossa ha nel suo vivaio un certo Ollie Bearman che sta crescendo in fretta e scalpita per avere la sua occasione in un top team. 

Non è (solo) colpa dei piloti. Da tempo ci si interroga qual è il vero problema della Ferrari: tecnico, logistico, operativo? O un mix delle tre? Domande a cui è veramente difficile dare una risposta. A questo proposito, appena qualche mese fa, Flavio Briatore ha dato una sua interpretazione sostenendo che il problema della Ferrari non è soltanto logistico, bensì politico e sistemico. In un’intervista ha sottolineato che “i problemi della Ferrari vanno più in profondità del singolo ingegnere o del pilota” e che “non basta cambiare un team principal o un reparto tecnico se non si mette in ordine l’architettura decisionale, la coesione interna e le priorità aziendali”. Questo punto merita una riflessione: la Ferrari oggi appare come una grande barca che lotta non solo contro i rivali in pista, ma contro se stessa, ossia con meccanismi interni, catene di comando e processi decisionali che forse non sono più in sintonia con la velocità e l’efficacia richieste dalla moderna Formula 1. Quando Briatore parla di “questione politica”, intende dire che la Ferrari, a differenza di squadre che hanno costruito il proprio successo attorno a un nucleo forte di potere tecnico-sportivo (come Red Bull Racing o Mercedes), pare trovarsi immersa in un ambiente dove le priorità, le risorse e le responsabilità non sono chiare e univoche. Ciò si traduce in una perdita di efficacia: ritardi nelle decisioni chiave, contrasti tra reparti, difficoltà a stabilire una gerarchia tecnica netta, tutti elementi che agiscono come un freno invisibile. Ecco perché richiamare soltanto i piloti racconta solo una parte della storia. Dietro al recente fiasco brasiliano, alla perdita del secondo posto nel Mondiale Costruttori e al digiuno di titoli che si protrae dal 2007, potrebbe esserci appunto un problema di governance: una struttura interna che vive troppo la sua tradizione, la sua aura storica, e non abbastanza la sperimentazione rapida, il cambiamento continuo e la leadership forte e univoca che oggi fanno la differenza.