Il mondo dei rally era in ansia già da troppo tempo, ma questa mattina Roberto Bobo Cambiaghi è arrivato al traguardo di una vita incredibile, vissuta sempre al massimo e conclusa tristemente in un letto dopo una lunga sofferenza. Chi è appassionato di corse in automobile lo ricorda sfacciato campione, capace di mascherare le molte imprese dietro un sorriso più grande delle vetture che guidava. Ha vinto molto, battuto spesso piloti più celebrati di lui, ma sempre accompagnando ogni cavalcata con la bonaria strafottenza di chi, con il volante, giocava piuttosto che lavorare. Caso unico di vincitore sempre festeggiato dai battuti, perché il talento era sempre pareggiato da una simpatia contagiosa. Ultimo, tra i professionisti della leggendaria squadra Fiat di metà anni 70, a gareggiare con i bermuda addosso, anziché la più opportuna tuta ignifuga. Ma lui è fatto così, dicevano i suoi capi, e abbozzavano, pur non gradendo.
Il titolo tricolore. Campione italiano nel 1975 con la Fiat 124 Abarth Rally (divisa con Emanuele Sanfront), pur correndo metà stagione come pilota non professionista, è entrato nel cuore degli appassionati perché non si tirava mai indietro nell’accontentarli, fosse soltanto col firmare un autografo, entrare in una foto ricordo oppure prodursi in una sbandata un po’ inutile per mandare tutti in sollucchero.
Bravo in tutto. Grande con il volante, ha poi dato sfogo a tante altre sue passioni toccando sempre vette assolute, perché ogni cosa gli riusciva puntualmente bene. Con la musica, per esempio. Ci dava dentro con l’organo, dopo aver suonato in gioventù anche per il Clan di Celentano. Gli piaceva anche cantare, e il suo modello era Paolo Conte. Ha composto persino per molte trasmissioni della Rai. Poi il bridge (di cui è stato campione a livello internazionale), gli aerei, i cavalli, il bob, la pesca, il golf. Troppe cose, per un solo uomo. Purtroppo, il solito implacabile brutto male lo ha fermato alla soglia dei 70 anni, che avrebbe compiuto nel gennaio dell’anno prossimo, rubando quel sorriso che gli era rimasto stampato in viso anche negli ultimi, dolorosissimi, mesi.
Carlo Cavicchi
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