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Ferrari
330 P4: quando la velocità diventa arte

Andrea Stassano
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Ferrari - 330 P4: quando la velocità diventa arte

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Ferrari - 330 P4: quando la velocità diventa arte

Bellezza e velocità possono andare a braccetto su un’auto da corsa? In certi casi sì. In altri, ben più rari, si arriva all’opera d’arte. Che travalica il tempo. È il caso della Ferrari 330 P4, il prototipo realizzato per le gare di durata della stagione 1967 – 55 anni fa, giusti giusti –, nel quale i tecnici del Cavallino sono riusciti a combinare la purezza assoluta delle linee, l’eleganza essenziale tipica di alcune auto da corsa, con prestazioni di altissimo livello (la P4 fu protagonista del famoso arrivo in parata alla 24 Ore di Daytona 1967 e si aggiudicò il Campionato mondiale prototipi di quell’anno: si legga anche il nostro articolo Q Premium).

Clan ristretto. Universalmente riconosciuta come una delle Rosse racing più affascinanti (e pregiate) di tutti i tempi – del cui ristretto clan fanno parte anche la 250 GTO, la 250 GT SWB, la 512S e, passando alla Formula 1, la 312 B e la 312 B3 –, la 330 P4 appare piuttosto piccola rispetto alle vetture endurance di oggi. Pochi mesi fa ho avuto la fortuna di ammirarla dal vivo, in occasione della presentazione della Daytona SP3, che alla P4 si ispira, in una sorta di “ponte” tra le due epoche. Ebbene, sono le misure a parlare: la 330 P4 è alta appena un metro, è lunga 4,19 e ha un passo di 2,4 metri. Sarà anche piccola, ma è bella da togliere il fiato. Una dote che, a onor del vero, la P4 ha in parte ereditato dalla P3 del 1966: già fascinosa, ma imperfetta nell’affidabilità e con il peccato originale di non essere in grado di contrastare le GT 40 del colosso americano Ford nelle grandi gare di durata. Così, a Maranello, nell’autunno 1966 lo staff guidato da Mauro Forghieri si mette d’impegno per realizzare una vettura più competitiva: la 330 P4, appunto.

Frontale da urlo. Rispetto alla P3, la P4 cambia soprattutto nel muso: la presa d’aria inferiore risulta più sottile e la parte centrale della carrozzeria più bassa di prima, esaltando ulteriormente gli alti e sinuosi parafanghi. Una modifica pensata in realtà per cercare di migliorare la profilatura aerodinamica della vettura, al fine di recuperare velocità anche dalle forme, in quanto il V12 4.0 di Maranello, ampiamente rivisto e portato da 420 a 450 cavalli grazie all’adozione della distribuzione a tre valvole per cilindro, resta comunque svantaggiato in potenza pura contro i V8 di 7.0 litri delle berlinette Ford. Sulla P4, all’esterno – un lavoro realizzato dall'abile Carrozzeria Drogo di Modena – sono state modificate anche le carenature di plexiglas dei fari, ora più eleganti, mentre le linee delle fiancate, quelle del parabrezza e dei vetri laterali, riprendono i temi già espressi dalla P3. Nella coda, poi, si segnala più che altro la diversa grigliatura centrale d’aerazione posta sopra al cofano motore, abbassata in conseguenza delle modifiche tecniche, con nuove testate caratterizzate da tromboncini di aspirazione ricurvi, a differenza di quelli classici verticali. E poi ci sono i nuovi cerchi a stella della Campagnolo, che diventeranno un marchio di fabbrica di tante vetture del Cavallino successive. Il “gioiello” pesa a secco 792 chili e può raggiungere, a seconda dei rapporti, i 320 km/h.

Cambia sotto. In realtà, è sottopelle che la 330 P4 si aggiorna di più, al di là del motore. Le carreggiate vengono ampliate in conseguenza dell’adozione di nuovi e più larghi pneumatici Firestone (al posto dei Dunlop), i freni posteriori entrobordo passano sulle ruote, per migliorarne l’accessibilità e il raffreddamento. L’intero pacchetto tecnico modifica molto la vettura, ne aumenta l’“impronta a terra”, rendendo il prototipo ancora più acquattato, quasi fosse un felino pronto a scattare. Anche se poi, nell’immaginario collettivo, restano più forti i tratti di quel muso basso, di quei parafanghi sinuosi impreziositi da calotte dei fari da sogno. Sì, l’eleganza senza tempo esiste anche nelle corse. E ancora oggi possiamo rimanerne abbagliati.