L'automotive scrive a Draghi: salviamo i motori termici
Elettrico acerbo. Le associazioni di categoria poi evidenziano come l'elettrico sia considerato una tecnologia ancora acerba per una serie di fattori, fra i quali l'autonomia limitata e l'assenza di un'adeguata rete infrastrutturale. "La complessità delle sfide e delle rivoluzioni che derivano dalla transizione energetica, ci porta a ribadire con forza l’impossibilità di considerare tutto risolvibile con il contributo di un’unica tecnologia, tra l’altro ancora in evoluzione dal punto di vista dello sviluppo e non ancora matura a livello di ecosistema di mercato in quasi nessun Paese europeo".
I rischi per l'occupazione. Infine, si pone l'accento su un aspetto altrettanto cruciale: i rischi sul piano occupazionale ed economico del phase-out, la messa al bando dei motori a combustione interna nel 2035. A tal proposito si cita uno studio della Clepa, associazione dei componentisti automotive europei, secondo la quale l'Italia rischia di perdere, da qui al 2040, circa 73.000 posti di lavoro, di cui 67.000 già nel periodo 2025-2030. Perdite che le nuove professionalità legate allo sviluppo della mobilità elettrica non riusciranno a compensare.
Criteri di valutazione. Sulla base di queste considerazioni le rappresentanze ritengono fallace lo studio di impatto effettuato dalla Commissione europea nel pacchetto “fit for 55” e propongono, per valtutare i reali effetti sul trasporto "l’adozione del Life Cycle Assessment (LCA), includendo nell’analisi i processi di fabbricazione e di fine vita del veicolo e dei singoli carburanti, o quantomeno dell’approccio well-to-wheel, per la valutazione del risparmio delle emissioni di CO2 e dei diversi vettori energetici, fino all’implementazione di meccanismi molto validi e volontari come il 'crediting system' che tengono conto dei benefici ambientali addizionali dei fuel rinnovabili e low carbon", si legge nella lettera. Tutte soluzioni che se adottate nella regolamentazione europea favorirebbero lo sviluppo dei carburanti "puliti".
Anche Federmeccanica e sindacati. Un'iniziativa simile è stata intrapresa in queste ore da Federmeccanica e dai sindacati Fim, Fiom e Uilm: anch'essi hanno preso carta e penna per chiedere al governo un incontro urgente al fine di discutere le iniziative necessarie per difendere il settore automotive dalle conseguenze dei cambiamenti in atto e "salvaguardare e promuovere" l’occupazione e il tessuto industriale. Si pone l'accento, in particolare, sul peso del settore per l'intera economia nazionale: un fatturato di 93 miliardi di euro, pari al 5,6% del Pil, oltre 2 mila imprese e 180 mila lavoratori nella fabbricazione di autoveicoli, veicoli commerciali, industriali, rimorchi e semirimorchi oltre a 31 miliardi di esportazioni, ossia il 7% dell’export metalmeccanico.
Roberto Barone