Cop28
Il 2023 è l'anno più caldo di sempre
Il mondo va ancora a carbone. Anzi, lo sfruttamento del fossile aumenta e ci sono Paesi come India e Cina che non vogliono (o "non possono") tornare indietro. L’atmosfera alla Cop 28, la conferenza per il clima in corso a Dubai, è incandescente proprio come il clima. Il 2023 si sta confermando l’anno più caldo di sempre e senza degli interventi netti sarà difficile tornare indietro. Lo si vede dai numeri.
Temperature in salita. Alla Cop 21 di Parigi del 2015 si era trovato l’accordo per contenere l’aumento della temperatura media globale entro i 2 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali (1850-1900), con i più ottimisti che pensavano addirittura di limitarsi a un massimo +1,5 °C. Numeri che potremmo superare a breve. Secondo l’ultimo bollettino del Copernicus Climate Change (C3S), il servizio di monitoraggio del clima finanziato dall’Ue che raccoglie misurazioni eseguite da miliardi di fonti terrestri, marine e spaziali, il 2023 è stato l’anno più caldo da quando abbiamo iniziato a misurare la "temperatura" del pianeta: siamo già a +1,46 °C rispetto alla media preindustriale e a +0,13 °C rispetto alla media del 2016. Con i suoi 14,22 °C di media, lo scorso novembre è stato il sesto mese consecutivo a battere i record, con un aumento di 0,32 °C sul primato precedente del 2020. "Il 2023 ha ora sei mesi e due stagioni da record. Questo novembre straordinario fa sì che il 2023 sarà l'anno più caldo mai registrato nella storia" ha detto Samantha Burgess, vicecapo del Dipartimento per i cambiamenti climatici di Copernicus.
Solo sette anni. Guardando al futuro (prossimo) c'è una possibilità del 50% che la temperatura globale aumenti in modo costante di oltre 1,5 °C in soli sette anni, come nota un rapporto stilato dal Global Carbon project, organizzazione che riunisce oltre 90 università e istituti di ricerca di tutto il mondo e che negli anni si è distinta per la sua affidabilità. "Il superamento dell'obiettivo di 1,5 °C previsto dall'Accordo di Parigi sembra ormai inevitabile e i leader riuniti alla Cop28 dovranno concordare rapidi tagli alle emissioni di combustibili fossili anche per mantenere in vita l'obiettivo dei 2 °C", ha detto Pierre Friedlingstein, il professore che ha guidato lo studio.
Emissioni in salita. Mettere d’accordo 197 delegazioni non è facile e infatti le emissioni globali di carbonio da petrolio, gas e carbone continuano ad aumentare. Quest’anno sono salite dell'1,1% rispetto al 2022 raggiungendo 36,8 miliardi di tonnellate e si stima che le emissioni totali di CO2 arriveranno a 40,9 miliardi di tonnellate nel 2023 con India e Cina in aumento (segnano esorbitanti +8,2% e +4% rispetto al 2022), e Ue e Usa in diminuzione (-7,4% e -3%). Il colpevole dell’incremento è (e rimane) il carbone, che rappresenta il 41% delle emissioni globali (il petrolio è a quota 32%), e che vede un aumento nell’utilizzo proprio in India e Cina (da noi è stato sostituito dal gas). Entrambi i Paesi, in modo diverso, hanno affermato che la riduzione delle emissioni, in particolare quelle legate al carbone, potrebbe avvenire ma a patto di non inficiare lo sviluppo delle due nazioni.
Ritorno alle caverne. Insomma, questa Cop28 che si chiuderà il 12 dicembre ha poche luci e tante ombre e sull’evento aleggia ancora quell’audio "rubato" in cui l’emiratino Sultan Al Jaber, presidente della delegazione organizzatrice dell'evento (e numero uno di Adnoc, la compagnia petrolifera statale), si scagliava con poca grazia contro l'eliminazione dei combustibili fossili. "Nessuna scienza dimostra che un'uscita dai combustibili fossili è necessaria per limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi centigradi sopra i livelli preindustriali", ha detto Al Jaber nell’audio pubblicato il 3 dicembre dal Guardian con il Centre for Climate Reporting. Seguire quella strada, secondo l’emiratino, non permetterebbe di perseguire uno sviluppo sostenibile "a meno che qualcuno non voglia riportare il mondo indietro all'era delle caverne".