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Dino 206 GT
Quella Ferrari in incognito che puntava a nuovi mercati

Marco Visani
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Dino 206 GT - Quella Ferrari in incognito che puntava a nuovi mercati

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Enzo e Dino Ferrari. Il figlio del Drake morì nel 1956, a soli 24 anni, per una malattia congenita

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La ASA 1000 GT del 1962 fu un progetto Ferrari venduto da un marchio satellite

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La 186 GT del 1963/1964 è un’Innocenti mai nata. Il suo V6 di 1.8 litri era di origine Ferrari

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La Spider di Pininfarina (novembre 1966) è la prima delle due Fiat a portare il nome Dino

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Nel marzo 1967 si aggiunge alla gamma Fiat la Dino Coupé, opera di Bertone

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Il prototipo Dino del 1965: rispetto alla versione definitiva sono uguali solo i parafanghi

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Ecco la Dino 206 GT del novembre 1967, la prima Dino di produzione: 2 litri, 180 CV

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Anche nella vista posteriore la carrozzeria di Aldo Brovarone è molto riuscita

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Nel 1969 la 246 GT sostituisce la 206 GT: motore 2.4, passo lungo e carrozzeria di acciaio

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La 246 GTS del 1972, con carrozzeria targa, è l’ultima a uscire di produzione nel 1974

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L’altra Dino: la 308 GT4 con motore 8 cilindri e una spigolosa carrozzeria di Bertone

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Nel 1975 alla 308 GT4 si affianca la 208 GT4 con cilindrata abbassata a 2.000

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La Lancia Stratos (1973-1975) riprende, quasi inalterato, il V6 2.4 litri della Dino 246 GT

Cinquant’anni fa, sotto le volte di Torino Esposizioni, veniva presentata al Salone dell’Automobile (aperto dall’ 1 all’11 Novembre 1967) la Dino 206 GT. Si tratta di un modello epocale perché segna il debutto di un nuovo marchio italiano dietro cui in realtà si cela la Ferrari. La quale sceglie di nascondersi dietro a un brand satellite non solo (e non tanto) per omaggiare il figlio di Enzo Ferrari, Alfredo detto Dino, scomparso prematuramente nel 1956, ma soprattutto per non esporsi direttamente nel momento in cui non solo passa dai classici dodici a un piccolo sei cilindri (di appena due litri), ma principalmente abbandona il motore anteriore per trasferirlo in posizione centrale posteriore. Il che è coerente con quel che la stessa Ferrari, copiando le inglesi, fa da oramai sei stagioni in F.1 e anche con la moda tecnica che vuole questa disposizione meccanica prevalente anche sulle granturismo (Lamborghini Miura docet), ma cozza con la famosa boutade del Drake di Maranello secondo cui i buoi (cioè il motore) devono stare sempre davanti al carro.

I precedenti. In realtà, di Ferrari in incognito ne erano già esistite un paio: una era la Asa 1000 GT, una piccola quattro cilindri monoalbero di appena un litro di cilindrata (ma con ben 91 CV) costruita tra il 1962 e il 1967 in 120 esemplari: pur 100% Ferrari nella progettazione, portava un marchio "di comodo" ed era costruita a Lambrate. La stessa città in cui, per pura coincidenza, aveva sede l’Innocenti, marchio con cui la Ferrari collaborò per la 186 GT, una bella coupé rimasta allo stadio di protototipo e motorizzata con un V6 1.8 litri da 154 CV di origine Ferrari.

Le origini. Il nome Dino, sempre associato al marchio Ferrari, viene impiegato su varie vetture monoposto, Sport e Prototipi a cominciare dalla 156 F.2 del 1956. Questo perché era stato proprio Dino Ferrari a progettare l’originale motore con sei cilindri a V dall’insolita apertura tra le bancate di 65 gradi (contro i 60 abituali), più adatta a contenere i carburatori al centro della V. La trasformazione in vettura di piccola serie avviene attraverso numerosi step evolutivi, con prototipi che Pininfarina presenta a partire dal Salone di Parigi del 1965.

L’alleanza con la Fiat. Alla base della decisione di entrare in un mercato più basso di quello abituale, un nuovo regolamento Fia che nel 1964 stabilisce che, a partire dal 1967, per correre in F.2 bisogna montare un motore omologato per un'auto di serie e già costruito in almeno 500 esemplari. A Maranello non hanno né i mezzi né l’intenzione (per non abbassare la qualità) di mettere in produzione un numero così elevato di propulsori. Enzo Ferrari negozia allora un accordo con la Fiat di Gianni Agnelli. La Ferrari firma il progetto di un motore, derivato dalla serie Dino, che la Fiat stessa costruirà, nel modernissimo stabilimento di Rivalta (Torino), e lo monterà su un nuovo modello con due carrozzerie: una spider disegnata da Pininfarina e una coupé di Bertone.

La Dino-Dino. Questo singolare intreccio complica le cose anche dal punto di vista della comprensione: esistono, quindi (dal 1966) due Fiat Dino, a motore anteriore, poi nel 1967 arriva la Dino (inteso questa volta come marchio) 206 GT, che monta lo stesso motore della cugina Fiat, ma con 20 CV in più, per un totale di 180. Lo stile della nuova nata, opera di un Aldo Brovarone in particolare stato di grazia, è uno dei più belli mai definiti dalla Pininfarina. Motore a parte, tra la Dino-Dino e la Fiat Dino non c’è un solo bullone in comune: le Fiat sono a struttura portante, hanno la carrozzeria di acciaio e il ponte posteriore rigido con balestre, mentre la Dino è di alluminio e ha le sospensioni a quattro ruote indipendenti. Il dépliant della Casa ne presenta in modo inequivocabile la natura border line: "Minuscola, scattante, sicura… quasi una Ferrari". Anche cara, come una Ferrari: costa infatti 4,95 milioni di lire, contro i 3,65 della Fiat.

L’evoluzione. Nell'aprile 1969, dopo appena 153 esemplari prodotti, la 206 GT lascia il posto alla 246 GT (2.4 litri, 195 CV). Esteticamente cambia pochissimo, anche se in realtà ha il passo allungato di 6 cm e, cofano anteriore a parte, è ora tutta di acciaio. Sarà l’auto di Tony Curtis in "Attenti a quei due". A gennaio e a luglio 1971 ulteriori piccoli affinamenti danno origine alle serie L e M; nel 1972 alla coupé si affianca la 246 GTS con carrozzeria targa, che continuerà sino a luglio 1974 (la coupé era uscita di produzione già a gennaio dello stesso anno). Mentre il motore della 246 GT/GTS viene ripreso sulla Lancia Stratos, la Dino continua la sua corsa con la 308 GT4 disegnata da Bertone, con un motore V8 di tre litri che poi, per ragioni fiscali, verrà ridotto a 2.000 dando origine, nel 1975, alla 208 GT4. I due modelli continueranno, in parallelo, sino al 1980. Ma dal 1976, per assecondare le richieste del mercato americano, la Dino viene declassata a modello e sulla carrozzeria compaiono cavallini rampanti e scritte Ferrari.

Il futuro. Negli ultimi tempi quello di un possibile ritorno della Dino (verosimilmente, come mezzo secolo fa, sotto forma di brand autonomo) è un tormentone ricorrente, la cui veridicità è tutta da verificare, ma che ha fondate ragioni di autenticità: in questi anni tutti i marchi premium e luxury stanno allargando verso il basso la propria soglia d’accesso per aumentare il fatturato e nella galassia FCA ci sono le tecnologie (segnatamente, il V6 biturbo dell’Alfa Romeo Giulia Quadrifoglio) per motorizzare una baby Ferrari che potrebbe costare meno di 130 mila euro, andando quindi a competere direttamente con la Porsche 911 e collocandosi ben al di sotto dei quasi 200 mila euro oggi necessari per acquistare una Portofino, ovvero la più piccola delle Ferrari attualmente a listino.