Anniversari
La Fiat 600 compie 70 anni
La storia, si sa, la scrivono i vincitori. Ma chi sono, poi, questi vincitori? Non sempre i migliori, né tantomeno i primi della classe. Come dimostrano le cronache e pure la Fiat 600. Che ai suoi tempi fece il “boom”, in tutti i sensi (di vendite e pure quello economico del dopoguerra), ma che poi scomparì dai radar degli appassionati.
Correva l’anno 1955. Il salone di Ginevra, che compiva 25 edizioni, apriva i battenti il 10 marzo. E anche quell’anno, l’appuntamento imperdibile che avrebbe visto i debutti di icone stellari del motorismo (come Miura, Dino e Jaguar E-Type), era pronto per lanciare la nuova eroina nell’iperspazio delle quattro ruote: la 600, appunto.
Nella piccola di casa, in meno di 3 metri e mezzo di lunghezza (3.215 mm, per la precisione), la Fiat aveva messo dentro il fior fiore degli ingredienti motoristici di auto ben più blasonate: sospensioni indipendenti, scocca portante (cosa che se in Lancia era l’abc, sulle Alfa era arrivata solo con un’auto di classe superiore come la 1900) e, soprattutto, il cambio sincronizzato (tranne la prima marcia). Che fu poi il vero passepartout che le permise di fare breccia nel cuore delle guidatrici di mezzo mondo.
La nostra prova del 1956, di 680,1 chilometri, ne evidenziò i pregi: prezzo basso (d’acquisto e manutenzione), abitabilità soddisfacente, maneggevolezza e confort, tenuta di strada e motore “riuscito sotto ogni punto di vista” (nato 633 cc e diventato, con la “D”, 767). Insomma, sulla carta, e non solo su quella, la 600 era una macchina vincente. Del resto, nel suo periodo lo è stata davvero. Pensata per tutti, diventò quella giusta per le “signore” (mamme incluse). E non solo in Italia: come dimostra la pubblicità americana che a lui vendeva la 122 Spider e a lei questa berlinetta. Quando nel 1960 arrivò la “D”, la 600 era già in zona 900.000 unità prodotte.
Eppure oggi, incontrare una 600, anche ai raduni, è un fatto da segnare sul calendario. Ma perché? Perché col tempo passò dall’essere una “vorrei, ma non posso” al “potendo, non la vorrei più”. Insomma, pagò il suo essere scelta obbligata per una classe disposta a spendere sì, ma non a dilapidare. E fu così che, appena portafogli e autosaloni promisero un pelo di più (tipo la 850, con quel suo look da berlina tre volumi, ma considera che bisognò aspettare quasi 10 anni), la 600 fu presto dimenticata. Almeno dalla clientela italiana.
Ma non da quella internazionale che, sotto le (mica tanto) mentite spoglie della Seat (prodotta fino ai primi anni 70) e soprattutto della serba Zastava (che, con il motore 850, arrivò alle soglie del 2000), continuò a comprarla per generazioni di automobilisti. Almeno quest’attestato al merito delle sue indiscusse qualità, le ha fatto vincere un premio. Di (magra) consolazione.