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Salone di New York
All'ombra di Trump

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Salone di New York - All'ombra di Trump

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Salone di New York - All'ombra di Trump

Si apre oggi al pubblico, nell’abituale cornice del Javits Center affacciato sull’Hudson e dopo l’anteprima per gli operatori, l’edizione 2025 del New York Auto Show, tradizionale appuntamento primaverile del mercato nordamericano. Al di là delle novità di prodotto, che comunque sollecitano qualche interessante considerazione su cui dopo si tornerà, è la prima manifestazione di settore che si svolge dopo i colpi di maglio assestati da Donald Trump all’automotive (c’è stato Detroit, ok, ma ai primi di gennaio il presidente doveva ancora insediarsi). Ed è superfluo dire che fra gli stand - pochi, New York ha sempre avuto dimensioni contenute - a tenere banco sono le azioni di un governo che al grido di Make America Great Again sta sconvolgendo l’industria con annunci di dazi a catinelle verso tutto e tutti (il 3 aprile è entrato in vigore il regime del 25% sulle importazioni, comprese quelle da Canada e Messico). La verità è che nessuno capisce bene che cosa accadrà, perché la tattica di Trump è di attaccare e poi sedersi al tavolo dei negoziati, che appunto prendono abbrivio ora: nell’incertezza, gli analisti hanno già rivisto al ribasso le stime di chiusura del mercato 2025, immaginando che i dazi comporteranno un aumento dei prezzi di listino che si rifletteranno sulle immatricolazioni (Goldman Sachs prevede vendite per 15,4 milioni di unità, che si confronterebbero con i 16,25 milioni del 2024).

Comunque. Si diceva del prodotto. Nonostante  l’America First e tutto quello che a esso è collegato, di macchine di cittadinanza Usa propriamente detta al NYAS ce ne sono poche: parlando delle Big Three, o di quello che ne rimane, Ford ha un grande stand ma nessuna novità, lo stesso vale per GM (che rimane leader del mercato) e Stellantis (c’è anche una Topolino, ed è curioso, ché non vi è intenzione di esportarla qui). Dunque, la cronaca del Salone è dominata dalle Case che pur straniere già hanno una definita impronta industriale sul suolo americano e che intendono irrobustirla (quindi le mosse di Trump qualche risultato lo stanno portando). Il gruppo Hyundai - che ha due stabilimenti sul suolo americano - è pronto a far partire un piano di investimenti da 20 miliardi di dollari negli Stati Uniti, e alla kermesse newyorchese mette sugli scudi Kia EV4 e K4 hatchback, Genesis (in procinto di lanciare l’offensiva in Europa, peraltro) con la concept C Gran Equator e Hyundai Palisade. Stessa logica per la Subaru, che a Lafayette, in Indiana, ha uno stabilimento da 400 mila pezzi l’anno destinato a produrre le nuove Outback e Trailseeker. Honda prevede di spostare in Indiana, entro il 2027, l'assemblaggio della Civic e pure il colosso Toyota - che negli States costruisce da tempo immemore - ha in mente di concentrare in America la produzione della prossima Rav4, al momento sparsa di qua e di là dei confini della nazione. 

Poche vetture di lusso, a parte la presenza di Maserati e qualche exotic portata dai concessionari del posto, e soprattutto - Hyundai a parte, che però si muove su logiche globali - non si sente più parlare di elettrico: Trump ha già promesso di far saltare il credito di 7.500 dollari e si preannunciano tempi grami per le Bev nei 49 Stati che non sono la California (il governatore Gavin Newson non ha alcuna intenzione di cedere la relativa, ma efficace, indipendenza normativa che Sacramento ha saputo conquistarsi negli anni). Tesla, come nella migliore tradizione, al New York Auto Show non c'è.