Cerca

Eventi

24 Ore di Le Mans
Le Mans, la notte dei sensi

1 / 4

24 Ore di Le Mans - Le Mans, la notte dei sensi

2 / 4

24 Ore di Le Mans - Le Mans, la notte dei sensi

3 / 4

24 Ore di Le Mans - Le Mans, la notte dei sensi

4 / 4

24 Ore di Le Mans - Le Mans, la notte dei sensi

Sono le 22 quando il sole si tuffa dietro l’orizzonte, lasciando una scia d’oro liquido sopra la Sarthe. Ma la trasformazione è cominciata prima, quando i Kool & the Gang hanno intonato Celebration e il circuito ha cambiato volto. Negli hospitality si brinda ancora, tra piatti a metà e conversazioni interrotte dal rombo dei motori al passaggio. Sulla corsia dei paddock scorre una corrente continua di passi, selfie, sorrisi tesi. Perché la notte sta arrivando. E a Le Mans, la notte pesa. Otto ore di buio. Otto gironi tra sogno e paura. Non lunghe come a Daytona, ma più crude, più vere, più profonde. Nel village la festa continua: panini, birra, musica, luci. L’oggetto più ambito? Anche quest’anno il modellino della Ferrari 499P, regina del 2024, firmato Lockmarck.

Alle 23 sale in consolle The Avener. La folla si lascia andare, mani in alto, occhi chiusi. Nei box, invece, il ritmo è scandito dai cric, dalle radio, dai battiti sotto le tute. A mezzanotte, il rituale: fuochi d’artificio, droni, laser. Per venti minuti il cielo si incendia. Tutti con il naso all’insù. Tutti bambini. Intanto, ai varchi, si rafforzano i controlli. Non succede mai nulla, ma prevenire è meglio che curare. Poi torna il buio vero. I gentleman driver lasciano il volante. I pro prendono posto. I tecnici cercano un po’ di riposo tra uno stint e l’altro. Anche chi si crede un robot è pur sempre umano: bisogna risparmiare le energie, siamo solo a metà gara: ancora 12 ore! Alle 2:30, dal motorhome Kessel, escono piatti fumanti di spaghetti aglio, olio e peperoncino. Un gesto semplice, un regalo del team manager a un amico. E per un attimo, l’hospitality profuma d’Italia.

Cammino. Senza meta, ma con gli occhi pieni. Accanto al ponte Dunlop, tra i cespugli, qualcuno dorme, vinto dall’alcol. I più previdenti sono nelle tende, nei sacchi a pelo. Qualche meccanico trova pace su una brandina, un altro su una sedia da campeggio. Qualche pilota si chiude in se stesso, cercando di domare i pensieri. Ma nessuno dorme davvero. Il volante è una preghiera. La visiera, un filtro tra fede e paura. Ogni curva è una confessione. Ogni rettilineo, un respiro trattenuto. Le luci delle Hypercar tagliano l’oscurità come lame. La BMW #20 ha un brivido, un’escursione, poi riparte. E nella mia testa risuonano le parole di un tecnico: “Le Mans non mette alla prova i motori. Mette alla prova gli uomini”. Ha ragione. Alle 5:59 il sole torna. Il cielo si tinge di rosa, poi di luce. I corvi lasciano spazio  qualche gabbiano. La nebbia si dissolve come le paure di chi sta al muretto o dentro un abitacolo. La notte è finita. Mi abbandono su un divano. Due ore, forse tre. Non bastano. Ma per questa volta, sì. La Ferrari è ancora in testa. E da italiano spero che questo sogno continui anche al risveglio. E duri fino alle 16. Perché Le Mans non è solo una corsa. È una vita vissuta in un giorno. È un patto silenzioso tra chi resta sveglio insieme, tra chi condivide il freddo, il buio, l’attesa, lo stupore. È un’emozione che ti entra dentro e lì resta. Non per qualche ora. Per sempre.