La ricerca. Nella primavera del 2014, l’International council for clean transportation (un organismo no profit con varie sedi nel mondo) avvia una ricerca per dimostrare come i veicoli europei Euro 6 siano più inquinanti di quelli in regola con gli standard degli Usa, notoriamente più restrittivi. L'incarico viene affidato a due enti europei e all'Università della West Virginia.
I primi sospetti. A maggio, l'ateneo segnala all’Epa le discrepanze rilevate su una Volkswagen Jetta del 2012 e su una Passat del 2013, entrambe con il motore 2.0 TDI: le vetture superano il test di omologazione, ma in condizioni di guida reali rivelano emissioni di NOx di molto superiori a quelle rilevate sul banco a rulli. La terza vettura provata, una BMW X5, non presenta problemi. Tra il dicembre 2014 e la primavera del 2015, messo di fronte alle irregolarità, il gruppo annuncia due richiami negli Usa. Ma il California Air Resource Board (Carb) vuole vederci chiaro e continua le prove con i dispositivi Pems, condividendo i risultati con l'Epa.
La denuncia dell'Epa. Il 18 settembre 2015, dopo mesi di test, l'Epa scoperchia il caso emettendo un avviso di violazione delle norme sulla qualità dell'aria: nel mirino ci sono la Volkswagen AG, l'Audi AG e la divisione americana del gruppo. L'accusa riguarda i motori 4 cilindri a gasolio della famiglia EA 189 montati sui modelli del periodo 2009-2015. Secondo i due enti, sui propulsori è presente un software per far riconoscere all'auto il ciclo di omologazione e attivare una calibrazione ad hoc per ridurre le emissioni di NOx durante i test. Su strada, il software si disattiva, generando valori "fino a 40 volte superiori al consentito". Il primo motore sotto inchiesta è il 2.0 TDI.
Winterkorn si scusa. Il 20 settembre, la Volkswagen dichiara che sospenderà la vendita negli Usa dei modelli con il motore incriminato. Il giorno successivo, l'ad del gruppo, Martin Winterkorn, si scusa per "aver tradito la fiducia dei consumatori", offrendo "la massima collaborazione e trasparenza". Secondo indiscrezioni, l'Epa prospetta già una multa astronomica. Quasi immediatamente, le azioni di Volkswagen AG e di Porsche Holding SE crollano di un buon 20%: in pochi giorni, i titoli perdono un terzo del valore originario.
L'ammissione. Il 22 settembre, la Volkswagen dichiara che i veicoli dotati di defeat device sono 11 milioni in tutto il mondo. Wolfsburg accantona 6,5 miliardi di euro per sostenere le spese di multe e sanzioni. Il dipartimento di Giustizia Usa apre un'indagine penale a carico del gruppo. In borsa, il contagio si estende ad altri costruttori: a Milano il titolo FCA viene sospeso per eccesso di ribasso, a Parigi PSA perde l’8%. Il caos mediatico spinge FCA Usa a emettere un comunicato in cui fa sapere di "non utilizzare dispositivi simili" a quelli contestati alla Volkswagen.
La caduta dell'ad. Il 23 settembre, Winterkorn si dimette "accettando le responsabilità per le irregolarità riscontrate nei motori diesel". È la fine di una stagione durata otto anni. Tuttavia, nel fare un passo indietro, l'ad rivendica di aver "agito nell'interesse dell'azienda”, negando “qualsiasi comportamento scorretto". L'azienda prospetta provvedimenti contro i dipendenti coinvolti nel caso.
La febbre in Europa. Sull'onda delle vicende Usa, in Europa si moltiplicano le richieste di verifiche e di controlli. In Italia indaga la procura di Torino, mentre il ministro delle Infrastrutture Graziano Del Rio annuncia "controlli a campione su mille auto di tutte le marche", ma sempre in laboratorio.
Arriva Müller. Il 25 settembre 2015, il gruppo Volkswagen nomina il nuovo ad: è Matthias Müller, numero uno della Porsche dal 2010 con un lungo passato in Audi, di cui è stato anche coordinatore delle linee di prodotto. Una volta insediatosi, il nuovo ceo sostituisce numerose figure apicali: in breve tempo, nel top management cambiano sette poltrone su dieci.
La "mattanza" dei manager. A saltare è tutto il vertice tecnico: Ulrich Hackenberg (a capo della Ricerca e Sviluppo dell'Audi, già responsabile tecnico del gruppo), Wolfgang Hatz (responsabile dello sviluppo dei motori fino al 2012) e Heinz-Jakob Neusser.
I motori sotto accusa. I veicoli coinvolti sono 11 milioni, di cui 8,5 circolanti in Europa e omologati Euro 5: cinque milioni sono Volkswagen (tra questi Golf VI, Passat VII e Tiguan prima serie), ai quali si aggiungono 2,1 milioni di Audi, 1,2 milioni di Skoda e 700 mila Seat. Il resto appartiene alla gamma commerciale. Oltre al 2.0 TDI della famiglia EA 189, il dettaglio comprende i motori 1.2 TDI, 1.6 TDI e il 3.0 V6 TDI, chiamato in causa dall'Epa, per cui i tedeschi non hanno mai ammesso una responsabilità, difendendo le “protezioni motore”. Negli Usa, i 2.0 coinvolti sono 475 mila, montati su Volkswagen Beetle (my 2013-2015), Golf (2010-2015), Jetta (2009-2015) e Audi A3 (2010-2013 e 2015). I 3.0 V6 TDI sono 85 mila: i modelli interessati sono la Touareg (2009-2016), la Cayenne (2013-2016) e diverse Audi (i my 2014-2016 di A6 e A7 quattro, A8 e A8L, Q5, ai quali si aggiungono le Q7 my 2009-2016).
Le prove di Quattroruote. Al netto della truffa ammessa, le risultanze del dieselgate, scoperto in virtù delle discrepanze fra i valori d'omologazione e quelli d'uso reali, dimostrano ciò che Quattroruote va denunciando da anni: i dati dichiarati sono lontanissimi dalla realtà. Nell'edizione speciale sul dieselgate, allegata al numero di ottobre 2015, la nostra rivista ha pubblicato tutte le prove delle auto del gruppo Volkswagen equipaggiate con il 2.0 TDI e testate a partire dal 2009: lo scarto medio tra la CO2 dichiarata e quella rilevata da noi è del 40%.
I richiami in Europa. Il percorso del dieselgate prende una doppia piega, una negli Usa (molto più complessa per il braccio di ferro con l'Epa e il Carb) e un'altra in Europa. Nel vecchio continente, i richiami vengono approvati in meno di due mesi dalla Kba, l'autorità tedesca dei trasporti: il via libera arriva a metà dicembre. Il piano prevede modifiche valide in tutti i 28 Paesi dell'Unione Europea, da avviare nel giro di poche settimane. Per i motori 1.2 e 2.0 TDI è previsto solo un intervento software, mentre i 1.6 necessitano dell'installazione del flow transformer, un piccolo filtro aggiuntivo da collocare all'ingresso del condotto dell'aria.
Il bilancio degli interventi. Il 2 febbraio 2016, il gruppo annuncia l'avvio dei richiami europei: si parte dal pick-up Amarok con il 2.0 TDI, seguito dalla Passat e dagli altri modelli con lo stesso propulsore. Il piano indica anche i correttivi per gli 1.2 (a partire dalla fine del secondo trimestre) e per gli 1.6 (dal terzo trimestre del 2016). Nei mesi successivi, Wolfsburg ha fatto slittare la roadmap, posticipando la conclusione della campagna europea alla fine del 2017.
Le cause di Braunschweig. Nella città tedesca, dove il tribunale si era già attivato aprendo un'inchiesta penale per evasione fiscale, sono state depositate quasi 380 cause di proprietari e investitori. Il processo si è aperto a maggio 2016: la procura intende proporre una multa commisurata ai profitti generati dalla vendita globale di 11 milioni di vetture con i defeat device. Secondo le prime stime, la multa tedesca potrebbe ammontare a "diverse centinaia di milioni di euro". A Braunschweigh sono stati indagati anche Winterkorn e il capo del marchio Volkswagen Herbert Diess.
Battaglia negli Usa. La soluzione arriva a giugno 2016, grazie al piano concordato con il dipartimento di Giustizia: l'intesa prevede una spesa di 14,7 miliardi di dollari (13 miliardi di euro) a carico del gruppo, di cui dieci riservati ai 475 mila automobilisti che hanno acquistato una vettura con il 2.0 TDI. Fino al settembre 2018, i proprietari potranno riconsegnare le auto al costruttore, terminare i leasing senza penali o dare il via libera alle modifiche. In più, riceveranno un rimborso tra i 5.100 e i 10.000 dollari (4.500-8.900 euro) in base al valore e all'età del veicolo. La Volkswagen dovrà versare anche 1,8 miliardi di euro in un fondo per la diffusione dei veicoli elettrici, mentre altri 2,4 saranno destinati alla mitigazione dei danni ambientali. Infine, il gruppo dovrà concordare ulteriori compensazioni con 44 Stati Usa: il primo indennizzo, 86 milioni destinati alla California, è approvato a settembre. Solo negli Usa il gruppo dovrà pagare in tutto 14,6 miliardi di euro.
La bocciatura dei 3.0 V6 TDI. Il piano americano non comprende le Volkswagen, le Audi e le Porsche con il 3.0 TDI, per cui serve una trattativa separata. A luglio 2016, Il Carb boccia i richiami suggeriti dal costruttore: secondo l'ente regolatore le misure sono "incomplete, inadeguate e incapaci di soddisfare i requisiti legali per il ripristino dei veicoli". Il Carb rimanda la decisione a dicembre: se non si troverà una soluzione, la Volkswagen dovrà procedere con il buy-back dei veicoli.
Gli Usa coinvolgono anche Müller. A luglio 2016, i procuratori generali del Maryland, del New York e del Massachusetts annunciano una causa civile per i defeat device e la "violazione delle leggi ambientali". I documenti inoltrati dagli Stati coinvolgono direttamente Winterkorn e lo stesso Müller: secondo i procuratori, l'attuale ceo (allora in Audi) sarebbe stato al corrente della situazione dei 3.0 TDI "sin dal 2006", un'ipotesi che secondo la Volkswagen "non regge alla prova dei fatti".
Il caso coreano. Nel frattempo, la Volkswagen deve affrontare gli effetti del dieselgate in altri Paesi. Uno dei fronti più caldi è quello della Corea del Sud, dove il ministero dell'Ambiente ha già iniziato a cancellare le certificazioni di numerosi modelli. Alla fine di giugno, le autorità locali arrestano un dirigente Volkswagen, accusandolo di aver "violato le leggi ambientali" e di aver "prodotto documenti fasulli". In agosto, il governo revoca l'omologazione di quasi tutte le vetture del gruppo. Oltre a pagare una multa di 14,2 milioni di euro, il gruppo è costretto a riavviare le pratiche per riottenere le certificazioni.
Il primo imputato. Agli inizi di settembre, l'indagine penale avviata sul dieselgate dal dipartimento di Giustizia Usa porta a un primo imputato: è James Liang, un ingegnere della Volkswagen che sarebbe stato coinvolto nello sviluppo dei defeat device, sia in Germania sia negli States. L'uomo, accusato di "truffa ai danni delle autorità e della clientela americana", rischia fino a cinque anni di carcere.
Ancora avvocati. A settembre 2016 Blackrock, il fondo di investimento, azionista del gruppo VW con il 3,35%, chiede un risarcimento di due miliardi di euro per i danni causati dal dieselgate, in particolare per il crollo azionario di settembre (in parte recuperato). Poco prima avevano fatto lo stesso la Baviera (nel capitale del gruppo con 58 mila azioni), che ha chiesto un risarcimento di 700 mila euro, e l'Assia che lamenta danni per la caduta in borsa del titolo Volkswagen, quantificati in 3,9 milioni di euro.
L’accordo per i 3.0 V6 TDI. A dicembre 2016 il gruppo Volkswagen, il dipartimento di Giustizia americano, l'Epa e il Carb raggiungono l'accordo per gli 83 mila motori 3.0 V6 TDI circolanti negli Usa (montati su Touareg, Cayenne e su diverse Audi). Sono previsti indennizzi, richiami e buy-back per almeno 1,2 miliardi di euro.
L’arresto. A gennaio del 2017 l’Fbi arresta Oliver Schmidt, direttore della conformità tecnica Volkswagen tra il 2014 e il marzo 2015: l’accusa è di cospirazione e frode. Dichiaratosi colpevole nell’agosto successivo, sarà condannato dal tribunale di Detroit a 7 anni di carcere e a una multa di 400 mila dollari.
La multa. A gennaio del 2017, la Volkswagen si accorda con il dipartimento di Giustizia Usa per chiudere le pendenze del dieselgate: la multa è di 4,3 miliardi. L'intesa non comprende le responsabilità penali individuali nella vicenda.
Problemi per FCA. Sempre a gennaio 2017, l’Epa contesta ad FCA la violazione del Clean air act e l’uso di un software illegale sui V6 di 104 mila Jeep Grand Cherokee e Dodge Ram 1500. Il gruppo si difende: “Tutto regolare”.
In Francia. A gennaio 2017 la procura di Parigi apre un fascicolo sulle presunte irregolarità dei diesel della Renault. Ma il ministro dell'Ambiente Ségolène Royal comunica la sussistenza di ulteriori indagini sui altri costruttori che avevano evidenziato “un netto superamento degli standard consentiti”. L’antifrode segnalerà anche FCA e PSA.
Italia-Germania. Nel marzo 2017, i due Paesi trovano l’accordo per i diesel FCA. Berlino rinuncia al richiamo delle Fiat 500X, Doblò e Jeep Renegade con motori 2.0 Multijet, accettando la calibrazione volontaria proposta da FCA nel febbraio 2016.
La Stella. I pm di Stoccarda, sempre a marzo 2017, indagano alcuni dipendenti del gruppo Daimler, sospettati di aver “manipolato le emissioni diesel per aggirare i test”. L’inchiesta è avviata a seguito della testimonianza di un impiegato del costruttore tedesco, riportata dal settimanale Die Zeit. I pm tedeschi faranno perquisire undici sedi del gruppo Daimler, sotto inchiesta anche negli Usa.
Interviene l’Ue. A maggio 2017 l’Europa apre una procedura d’infrazione contro il nostro Paese, criticandone la posizione sui modelli FCA. L'azione è volta a chiarire l'eventuale "mancato adempimento da parte del costruttore degli obblighi previsti dalla normativa Ue in materia di omologazione".
Centraline sospette. L’indagine sulla Daimler, nel maggio 2017, si estende alla Bosch, già coinvolta sul fronte americano come fornitore della Volkswagen: nel mirino della procura di Stoccarda ci sarebbero alcuni dipendenti sospettati di favoreggiamento nell’ambito della fornitura delle centraline di controllo.
La causa. Il 23 maggio 2017 dipartimento di Giustizia Usa cita in giudizio FCA per i V6 3.0 turbodiesel montati su Grand Cherokee e Ram 1500 dal 2014 al 2016: i propulsori adotterebbero defeat device o dispositivi di controllo delle emissioni che avrebbero portato gli ossidi di azoto (NOx) a superare “di molto” i livelli consentiti.
La class action. A fine maggio 2017, 705 mila clienti Usa intentano una class action contro la GM: l’accusa parla di “almeno tre defeat device” installati nei motori Duramax dei pick-up Silverado e Sierra. Nella documentazione fornita dai legali si parlerebbe di emissioni NOx in condizioni reali “fino a cinque volte superiori ai limiti di legge”.
Sospetti su Audi e Porsche. Nel giugno 2017, la Germania accusa l’Audi per le emissioni di 24 mila A5 e A8 prodotte tra il 2009 e il 2013: per il ministero dei Trasporti, le vetture non solo inquinerebbero di più nella guida reale, ma sarebbero anche dotate di un software in grado di riconoscere i test. Il 12 giugno Berlino chiede alla Kba di verificare anche i V6 della Porsche Cayenne.
Un nuovo studio accusa FCA. Nel giugno 2017, uno studio dell’Università del West Virginia, la stessa che ha scoperchiato il dieselgate Volkswagen, accusa i motori della Jeep Grand Cherokee e del Dodge Ram 1500 di emettere quantità di ossidi di azoto superiori ai limiti. Nell’utilizzo reale, i propulsori rilascerebbero quantità di NOx superiori da tre a 20 volte i limiti consentiti dalle norme statunitensi.
L’ordine di cattura. Sempre a giugno 2017, le autorità Usa emettono un ordine d'arresto per cinque ex-dirigenti Volkswagen, coinvolti nella truffa dei software truccati sui motori a gasolio che ha dato origine al dieselgate. Le accuse sono di cospirazione nella frode volta alla violazione del Clean air act.
Audi e BMW: accordo con la Baviera. A giugno 2017, le due Case, entrambe con sede nel Land tedesco, accettano di intervenire su almeno il 50% delle vetture Euro 5 in circolazione, per tagliare i valori di NOx. I costruttori si fanno carico delle spese per lo sviluppo e la certificazione degli aggiornamenti software destinati ai veicoli interessati dal programma.
Le accuse all’ingegnere Audi. A luglio 2017, il dipartimento di Giustizia americano mette sotto accusa Giovanni Pamio, ex ingegnere Audi: l’uomo avrebbe “collaborato allo sviluppo dei software utilizzati per truccare i test sulle emissioni”. Viene poi fatto arrestare dalla procura di Monaco. Secondo la Süddeutsche Zeitung il torinese, scarcerato quattro mesi dopo, avrebbe testimoniato ammettendo le responsabilità del suo dipartimento.
Problemi a Zuffenhausen. Il ministro dei Trasporti tedesco Dobrindt chiede alla Kba di verificare i V6 della Porsche Cayenne, sospettati anch'essi di avere un defeat device in grado di manipolare le emissioni.
Audi: arrivano gli aggiornamenti. A luglio, l'Audi annuncia un programma di retrofit per 850 mila auto equipaggiate con motori diesel. Secondo la Casa, con l’aggiornamento software "le emissioni in condizioni di guida reale, già entro i limiti di legge, verranno ridotte ulteriormente". Quello di Ingolstadt segue un identico provvedimento della Mercedes-Benz, riguardante oltre tre milioni di vetture in Europa.
Das Kartell. Alle fine di luglio il settimanale tedesco Der Spiegel sostiene l’esistenza di un cartello fra le Case tedesche volto a condividere decisioni strategiche e tecniche, e aggirare così le norme antitrust. L'esempio più eclatante riguarda le dimensioni del serbatoio dell'AdBlue, l’additivo utilizzato nei sistemi Scr per ridurre le emissioni NOx prodotte dai diesel.
Via libera ad altre modifiche. La Volkswagen ottiene il nulla osta dall'Epa e dal California Air Resources Board per le modifiche da applicare ai veicoli venduti negli USA con il 2.0 TDI, prodotti tra il 2009 e il 2014. Le modifiche hardware e software riguardano Jetta, Golf e Beetle e Audi A3.
Richiamate le Cayenne. Alla fine di luglio, il ministero dei Trasporti tedesco dispone il richiamo per 21.500 Porsche Cayenne equipaggiate con il 3.0 TDI Euro 6, a seguito della scoperta, durante i test, di "un dispositivo di protezione che in condizioni di traffico reale non si attiva".
La Bosch nel cartello. Per il settimanale Der Spiegel, il presunto cartello tra le Case tedesche coinvolgerebbe anche la Bosch. Secondo la testata, infatti, l’antitrust avrebbe ricevuto altri documenti che farebbero ipotizzare una “possibile collusione” del fornitore con il gruppo Volkswagen, la BMW e la Daimler sul fronte dei motori diesel e i dosaggi dell’AdBlue.
Kba sotto accusa. In Germania la Kba viene accusata di essere coinvolta nel dieselgate: secondo il quotidiano Bild, l’ente controllato dal ministero dei Trasporti, avrebbe “coperto” la Porsche, intervenendo sui rapporti di controllo relativi alle emissioni. Stando alle fonti del giornale, la Kba sarebbe al corrente delle manipolazioni diesel “da almeno un anno”.
Audi: si allarga l’indagine. L’inchiesta avviata dalla procura di Monaco sul dieselgate Audi si amplia, coinvolgendo il costruttore la Casa di Ingolstadt a livello societario. Lo confermano gli inquirenti del Land, in precedenza già al lavoro sulle posizioni di alcuni membri del board (in carica e non). Secondo la Reuters, l’escalation potrebbe tradursi in pesanti multe a livello aziendale.
Svizzera: congelata la Cayenne. In via preventiva, ad agosto 2017 la motorizzazione svizzera blocca le nuove immatricolazioni delle Cayenne equipaggiate con il 3.0 TDI Euro 6: la Suv, oggetto di un richiamo europeo imposto dalla Germania, è dotata di un “sistema irregolare” per la gestione delle emissioni, denunciato dallo stesso costruttore in un’indagine interna.
Prima condanna in Usa. Alla fine di agosto, James Liang, primo imputato e reo confesso nel fronte americano del dieselgate Volkswagen, viene condannato a 40 mesi di carcere. A pronunciare la sentenza è un giudice federale di Detroit, dove l’ex ingegnere del gruppo di Wolfsburg era accusato di “cospirazione nella truffa ai danni delle autorità e della clientela degli Stati Uniti”.
Le Monde accusa PSA. Il quotidiano francese Le Monde riporta che il gruppo PSA avrebbe utilizzato un dispositivo illegale per manipolare le emissioni inquinanti su 2 milioni di veicoli. A rivelarlo sarebbero fonti interne al costruttore. L’azienda smentisce categoricamente qualsiasi uso di defeat device nei propri propulsori.
Arrestato. Wolfgang Hatz, ex manager del gruppo Volkswagen, viene arrestato in Germania con l'accusa di essere coinvolto nello scandalo delle emissioni. L'arresto, avvenuto a Monaco di Baviera, fa seguito dalla perquisizione delle proprietà dell'indagato, che non ha interessato però gli uffici della Casa.
Sospetti francesi su FCA. Il gruppo italoamericano viene accusato in Francia di aver ostacolato le indagini sul sospetto scandalo dei motori a gasolio tra il maggio del 2016 e il gennaio 2017. La notizia è diffusa dalla testata Le Monde, che sostiene di essere entrata in possesso di una lettera inviata dal magistrato incaricato dell’inchiesta all'azienda per informare le parti del nuovo capo d’accusa.
Approvate le modifiche ai TDi delle Suv. A fine ottobre 2017 le autorità americane e californiane approvano le modifiche proposte dal gruppo Volkswagen destinate a 38 mila Suv con motore V6 3.0 TDI: sono Audi Q7 (2013-2015), Porsche Cayenne (2013-2016) e Volkswagen Touareg (2013-2016).
Accordo multimilionario. A novembre 2017 il gruppo Volkswagen concorda un risarcimento da 69 milioni di dollari per chiudere i reclami relativi alle emissioni in New Jersey. L'intesa arriva dopo le risoluzioni di dieci reclami, costate 157,4 milioni di dollari, e gli accordi da 603 milioni di dollari, datati 2016, con altri 44 Stati.
Sospetti sull’Elica. Il gruppo ambientalista tedesco DUH avrebbe portato alla luce valori non corretti di emissioni su una BMW 320d Euro 6: il presunto defeat device consentirebbe di superare le omologazioni, ma porterebbe a un aumento esponenziale dei livello di NOx nell’uso reale. Tre mesi dopo La Kba proscioglierà dalle accuse la vettura, che per l’ente tedesco soddisfa tutti i requisiti previsti dall’Ue.
Touareg richiamata. Nuovamente accusata di aver installato due diversi defeat device sui propri modelli, la Volkwagen avvia a dicembre il richiamo di 57.600 esemplari della Touareg con motore diesel V6 3.0 Euro 6, 25.800 dei quali venduti in Germania. È un richiamo analogo a quello compiuto in estate sulla Porsche Cayenne dotata dello stesso propulsore Euro 6.
Vicina all’accordo. Alla fine del 2017, gli avvocati di FCA e i proprietari di auto diesel dei marchi del gruppo trattano per risolvere il problema legato alle emissioni e ai dispositivi utilizzati sulle vetture. Il responsabile della transazione giudiziaria Ken Feinberg prevede che si possa arrivare a breve a un’intesa per i richiami.
Modifiche per altri 3.0 TDI Audi. Sempre alla fine del 2017, il gruppo Volkswagen ottiene dall'Epa l'approvazione delle modifiche destinate ai 24.000 esemplari dei modelli Audi con 3.0 V6 TDI, venduti negli Usa. Il richiamo coinvolgerà le A6, A7, A8, A8L e Q5 consegnate tra il 2014 e il 2016, scongiurando il buy-back forzato.
Accusa anche per Ford. A gennaio 2018 viene depositata negli Usa una class-action contro la Casa dell'Ovale blu, accusata di manipolazione delle emissioni di almeno 500 mila pick-up. Secondo lo studio legale Hagens Berman, la Ford avrebbe utilizzato un software per ingannare i test. “Ci difenderemo da queste accuse infondate”, la replica.
Richiamo per Audi. Nella seconda metà di gennaio, la Kba ordina alla Casa dei Quattro anelli di procedere con il richiamo di 127 mila vetture, di cui 77.600 nella sola Germania, per la presenza di un dispositivo illegale di controllo delle emissioni. L'Audi replica precisando che i veicoli coinvolti dal nuovo ordine della Kba fanno parte del richiamo volontario di 850.000 vetture diesel con motori V6 e V8 annunciato nel luglio 2017.
Scimmie come cavie. Un'inchiesta del New York Times svela che l'EUGT, l'ente di ricerca finanziato da Volkswagen, Daimler e BMW, sarebbe responsabile dei test svolti nel 2014 in cui 10 scimmie sono state esposte agli scarichi di una Beetle TDi, per confutare le crescenti evidenze sul potere cancerogeno degli ossidi d'azoto.
Cavie umane. Secondo lo Stüttgarter Zeitung, un’altra ricerca dell'EUGT si sarebbe svolta presso una clinica collegata all'Università di Aquisgrana e avrebbe interessato anche persone "giovani e in salute", cui sarebbero stati fatti respirare i fumi di scarico. L’ateneo precisa tuttavia che i test sugli umani sono stati realizzati per verificare la sicurezza delle condizioni di lavoro dei dipendenti dell'industria dell'auto.
Saltano teste. La vicenda degli esperimenti sulle scimmie porta a fine gennaio 2018 alla rimozione di Thomas Steg (nella foto), capo delle relazioni istituzionali Volkswagen, di Frank Hansen, addetto del centro di competenza per la mobilità urbana di BMW e di un dipendente Daimler, individuato dal Financial Times in Udo Hartmann, responsabile per la protezione ambientale del gruppo di Stoccarda.
Dipendenti Bosch sotto accusa. La procura di Stoccarda indaga su due impiegati Bosch, sospettati di favoreggiamento alla frode nell'ambito della più ampia inchiesta sulle emissioni dei diesel FCA in corso negli Stati Uniti. Secondo la procura, i propulsori manifesterebbero nell’uso reale un'ingiustificata riduzione dell'efficacia dei sistemi di controllo delle emissioni di ossidi di azoto (NOx).
Daimler sotto accusa. A febbraio 2018 il quotidiano Bild svela che nel corso delle indagini sui diesel Usa sarebbero stati individuati due software illegali sui veicoli Mercedes: Slipguard, in grado di azionare una serie di funzioni pensate per ridurre le emissioni e Bit 15, che le disabiliterebbe una volta percorse 16 miglia (25,7 km). Per la Daimler le notizie “sono diffuse per danneggiare il gruppo Daimler e i suoi 290.000 dipendenti".
Che cos'è il dieselgate? Questo neologismo è ormai entrato così tanto nel lessico comune che nessuno si cura più di precisarne il significato. La vicenda delle emissioni manipolate dei motori a gasolio ha una data d’inizio e un primo, principale protagonista: il caso è scoppiato negli Stati Uniti il 18 settembre 2015, quando l’Epa, l’Environmental protection agency, ha emesso un avviso di violazione delle norme sulla qualità dell’aria a carico del gruppo Volkswagen. A oggi, la vicenda non è ancora archiviata e continua a spiegare i suoi effetti. Da allora abbiamo assistito a indagini, arresti, perquisizioni, class action, multe e maxi-richiami, che hanno coinvolto anche tutti gli altri costruttori europei (e non solo), sospettati a loro volta di aver installato sulle vetture i defeat device, i dispositivi in grado, in alcune condizioni, di modificare le emissioni. Non solo: la vicenda ha cambiato anche radicalmente l'orizzonte temporale di arrivo delle nuove alimentazioni, dando una spinta fortissima all'elettrificazione. Per riassumere il caso, che noi abbiamo seguito sin dagli inizi, ne abbiamo riportato le tappe principali in questa lunga gallery, nella quale trovate i fatti, i protagonisti e la cronaca di quello che resterà uno degli eventi più dirompenti della storia dell’industria automotive.