Romiti e la Fiat
Un matrimonio lungo 25 anni
Un quarto di secolo: tanto è durato il matrimonio tra Cesare Romiti e la Fiat. Uomo di fiducia di Gianni Agnelli, manager duro e deciso, massima espressione dei "poteri forti", un carattere spigoloso e determinato che lo porta a frequenti contrasti con i dirigenti (Vittorio Ghidella in primis) e soprattutto con Umberto Agnelli, Romiti entra al Lingotto nel 1974, in piena crisi petrolifera, come direttore centrale finanza, amministrazione e controllo. Il suo sponsor è Enrico Cuccia, che lo ha apprezzato in Snia alla fine degli anni Sessanta, lo ha seguito nelle successive esperienze in Alitalia e Italstat e vede in lui il personaggio in grado di gestire al meglio i rapporti tra la casa automobilistica e Mediobanca. Ecco le tappe principali dell’esperienza di Romiti in Fiat.
1974-1976. Il primo obiettivo di Romiti è assicurare liquidità al gruppo. È lui, insieme proprio a Cuccia, il regista dell’operazione che porta la banca centrale libica - la Libyan Arab Foreign Bank di Mu'ammar Gheddafi - a rilevare il 10% della Fiat per circa 360 miliardi di lire (quattro volte i valori di borsa) all’inizio del dicembre del 1976, dopo 18 mesi di trattative segretissime. Le risorse incassate sono puro ossigeno per le casse della Fiat alle prese con i dubbi sul futuro dell’auto, un sindacato fortissimo e le tensioni del periodo del terrorismo.
1976. Le grandi capacità dimostrate nelle negoziazioni con un partner scomodo come il governo di Tripoli, consentono a Romiti di scalare le posizioni all’interno del gruppo fino alla conquista della poltrona di amministratore delegato in un triumvirato "ingestibile" con Umberto Agnelli e Carlo De Benedetti. L'Ingegnere lascia dopo 100 giorni e Romiti diventa sempre più potente, sia in Fiat, sia nel panorama economico-finanziario italiano.
1980. È l’anno dell’autunno caldo e dell’apice delle tensioni tra azienda e lavoratori. La sinistra estrema ha preso possesso delle fabbriche e in alcuni casi il radicalismo è sfociato in lotta armata. Gli impianti lavorano poco e male e la Fiat rischia di finire fuori mercato. All'inizio di settembre Romiti annuncia la cassa integrazione per 24 mila dipendenti (in larghissima parte operai) e una settimana dopo, verificata l’impossibilità di trovare un accordo con le organizzazioni sindacali, annuncia 14.500 licenziamenti "essenziali per evitare il fallimento". Seguono scioperi e picchetti ai cancelli con il totale blocco delle fabbriche. Tra sindacati e azienda è muro contro muro perché nessuno vuole fare un passo indietro. La tensione culmina con la famosissima marcia dei 40 mila, il corteo dei quadri e dei dirigenti del gruppo che protestano contro i picchettaggi che da 35 giorni impediscono loro di andare al lavoro. È la vittoria politica di Romiti che, ora in posizione di forza, trova l’accordo con i sindacati confederati, annulla i licenziamenti e conferma la cassa a zero ore per 22 mila dipendenti.
Gli anni Ottanta. Romiti è amministratore unico della Fiat (Umberto Agnelli aveva lasciato nel luglio del 1980 e la famiglia si ritaglia un ruolo di "puro" azionista come "suggerito" da Mediobanca) e di fatto il plenipotenziario del gruppo, forte della fiducia dell’Avvocato e di Cuccia. Con i sindacati non più sul piede di guerra, il Lingotto ricomincia a fare utili, lancia nuovi modelli, investe in tecnologia e riesce anche a ridurre l’organico. Nel 1987 il gruppo fattura quasi 40 mila miliardi di lire grazie alle capacità finanziarie di Romiti e a quelle di prodotto di Ghidella, che inventa una serie di modelli vincenti (Uno, Y10, Thema, Croma). Sono i "meravigliosi anni 80", come li definì Gianni Agnelli, che portano ai 3.300 miliardi di utili del 1989. Ma sono gli anni in cui si acuiscono i contrasti tra Romiti e Ghidella: il primo intende trasformare la Fiat in una holding di partecipazioni (da qui le acquisizioni del Corriere e della Rizzoli, della Snia e delle assicurazioni Toro e l’ingresso nel capitale della Montedison attraverso Gemina), il secondo chiede con forza che le risorse del gruppo siano investite nell’auto. Vince Romiti e Ghidella lascia il gruppo nel 1988.
Gli anni Novanta. Sono i momenti dei contrasti più duri con Umberto Agnelli, che nel 1990 boccia l’ipotesi di acquisizione della Chrysler caldeggiata da Romiti. Nel 1992 l’Avvocato annuncia che l’anno successivo cederà la carica di presidente al fratello, ma la Fiat è in difficoltà e ha bisogno di un nuovo aumento di capitale "indicato" e poi coordinato dalla solita Mediobanca. L'operazione straordinaria congela i cambiamenti al vertice fino al 1996, quando l’Avvocato cede la presidenza a Romiti che la manterrà fino al compimento del 75esimo anno, nel 1998. Il manager, che nel 1993 era rimasto coinvolto nella vicenda Tangentopoli (chiusa con una condanna in Cassazione a 11 mesi e 10 giorni di reclusione per falso in bilancio, finanziamento illecito ai partiti e frode fiscale, poi revocata dalla Corte d’Appello di Torino) lascia il gruppo con una buonuscita, fra cash e valore delle partecipazioni, di 105 miliardi di lire per i 25 anni di servizio, a cui si sommano altri 99 miliardi per il patto di non concorrenza (circa 150 milioni di euro alle valutazioni di oggi). "Per 25 anni", dirà in seguito Romiti, "ho avuto praticamente carta bianca".