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Rapporto Quattroruote
Sono ormai 24 i brand che vendono auto "made in China" o che sono controllati da gruppi del Celeste Impero. Ecco questo nuovo mondo ai raggi X, pari a oltre il 10% del mercato
Ne abbiamo sempre parlato come di un'entità astratta. Arriveranno. Sono vicini. Ma nell'orizzonte di casa nostra i cinesi non c'erano mai. I primi timidi ingressi erano troppo irrilevanti, anche sul piano qualitativo, per impensierire i costruttori europei e per costituire un'alternativa percorribile nelle scelte dei consumatori. Poi, improvvisamente, tutto è cambiato. Ed è successo con una velocità sorprendente, in meno di due anni. Oggi le automobili con il passaporto cinese in Europa si sono ritagliate, nella prima metà del 2025, una quota della domanda pari a circa il 9% (incluso il brand "europeo" MG), mentre in Italia – inizialmente alla periferia dell'avanzata –, nello stesso periodo e considerando le stesse marche, sono giunte al 5,5%. E non passa giorno senza che un nuovo nome, mai sentito prima, vada a popolare i listini.
La lunga marcia. Così sono cresciute le marche cinesi in Italia. E non è finita: tra le altre sono attese Changan, Great Wall (un ritorno), Lepas e Xiaomi
Prendere in considerazione soltanto i marchi che parlano mandarino stretto, però, non racconta l'intera storia. Perché i costruttori d'Oriente hanno impiegato una strategia più sofisticata che presentarsi semplicemente alla frontiera. Una strategia vecchia quanto il mondo: il cavallo di Troia. Il ruolo dell'Ulisse di turno, sullo scacchiere europeo, lo ha giocato soprattutto la Geely, con le quote azionarie nella Mercedes, le acquisizioni – nell'ordine – di Volvo, Lotus e di fatto Smart, e la creazione dei marchi "europei" Polestar e Lynk & Co. In Italia, poi, ha fatto la sua parte la Chery, principale fornitore dei modelli che Massimo Di Risio, con la sua DR, personalizza a Macchia d'Isernia, in Molise. Ebbene, se teniamo conto delle vetture della Repubblica Popolare "italovestite" e dei brand europei di proprietà cinese – tra cui il popolare marchio MG, detenuto dalla Saic –, scopriamo che la quota della domanda riconducibile a un generico "mondo Cina" nel nostro Paese ha superato il 10%. Una realtà così rilevante da non poter più essere ignorata. E che suscita interrogativi su qualità e affidabilità del prodotto, nonché su sicurezza e convenienza di un acquisto non più esercitato entro le sponde rassicuranti di brand da sempre esistiti nel nostro immaginario. Insomma, ce n'è abbastanza per dedicare alla galassia Cina il secondo Rapporto di Quattroruote, dopo quello sul potere d'acquisto pubblicato a ottobre.
Un universo in movimento. Le 24 marche che compongono quello che abbiamo chiamato "mondo Cina" nel nostro Paese, con legami cioè più o meno forti con il colosso asiatico, costituiscono solo la parte a noi visibile di una galassia articolata e complessa, e in continua evoluzione. Sono oltre 120 i marchi in gioco, se si considerano anche quelli che producono veicoli commerciali leggeri. Nello schema a fianco abbiamo raccolto solo quelli principali che fanno auto passeggeri, e già sono una miriade, evidenziando i gruppi di controllo con le relative grandezze sulla base del fatturato. Abbiamo incluso anche la Hozon Auto, che ha portato i libri in tribunale pochi mesi fa, per ricordare quanto caduco può essere il destino di alcuni di questi pianeti e dei loro satelliti. Del resto, le previsioni degli analisti sono concordi nell'anticipare forti sconvolgimenti nei prossimi anni, con un processo di consolidamento che, secondo AlixPartners, potrebbe portare i superstiti a un massimo di venti per l'anno 2030.
L'uscita di scena di molti protagonisti di oggi o il loro assorbimento in colossi più grandi rafforzerà questi ultimi, dando loro maggiori opportunità di sfruttamento delle economie di scala. Che è soltanto uno dei fattori di vantaggio dell'automotive cinese, assieme al controllo verticale della filiera (soprattutto nell'ambito delle EV, che rappresentano all'incirca la metà della produzione annua di autoveicoli – auto passeggeri più commerciali leggeri – nella Repubblica popolare), al notevole impulso della ricerca sul fronte del software e al sostegno del governo centrale. Che agisce da regolatore, ma anche da attore, essendo direttamente coinvolto nella governance e nel capitale di molte società, come Baic, Chery, Changan, Dongfeng, Faw, alcune presenti pure in Italia, altre in predicato di arrivare (come Changan). Ovviamente, il controllo pubblico è un fattore di stabilità per le aziende interessate. La BYD, invece, pur privata, ha dalla sua la forza di essere il primo produttore di EV, oltre che un attore di primo piano sui mercati esteri.
Abbiamo detto che i segni manifesti di questa rivoluzione si sono palesati in modo molto rapido. Ma ciò non significa che il fenomeno sia improvvisato. Facciamo un passo indietro. Nel 1985, Wan Gang arriva in Germania. E non da turista. Wan, che ha già una laurea cinese in tasca, si è iscritto all'Università della tecnologia di Clausthal, a sud di Wolfsburg. Alla fine del suo ciclo di studi, nel 1991, è assunto all'Audi. Nel cuore dell'industria dell'auto europea: inarrivabile per le imprese cinesi, nella raffinatezza del design, nella sofisticatezza della meccanica e dei powertrain. Gang vi lavora nove anni, poi torna in patria nell'ambito di un programma di rientro dei "cervelli in fuga". E lì si dice che abbia suggerito al governo di Pechino di puntare sull'elettrico. Non si sa perché la testa dell'impero abbia deciso di dare retta a un oscuro ingegnere, ma Gang deve avere qualche santo in paradiso, visto che nel 2007 diventa addirittura ministro di Scienza e Tecnologia. Carica meritata, peraltro, se davvero da una sua indicazione è partita la strategia elettrica del Paese. Una strategia perseguita con pazienza, perseveranza e con la stabilità d'indirizzo che solo un sistema politico senza alternanza può garantire. Una pianificazione "militare", con la messa in sicurezza di tutta la filiera – dal controllo delle materie prime alla produzione delle batterie – e con un patto di ferro tra imprese, università e laboratori di ricerca. Il tutto lubrificato da un'abbondanza di fondi pubblici, in uno sforzo collettivo per creare un sistema-Paese a prova di concorrenza (vedere anche l'articolo a pagina 175). Per inciso, proprio ciò che l'Europa non è più riuscita a fare nell'ultimo decennio.
I risultati di questa lunga preparazione si sono visti prima all'interno della Grande muraglia che fuori, quando i cinesi ricchi hanno cominciato – e non per patriottismo – a comprare cinese, riconoscendone i contenuti tecnologici e snobbando le varie Porsche, Mercedes e BMW che erano state fino a quel momento in cima alla loro shopping list. L'industria del Dragone – forte di un mercato interno che nel 2024 ha sfiorato i 23 milioni di auto immatricolate, più del doppio di quello UE e 14 volte quello italiano – era pronta per partire alla conquista del mondo. E il mondo, a cominciare da un'Europa senza alcuna strategia, era pronto ad accoglierla.
Ma quanti sono i brand cinesi in Italia? Con quali modelli? Come sono composte le reti di vendita e assistenza? E che cosa devono aspettarsi gli acquirenti in termini di garanzia, assistenza e valutazione dell'usato? A tali domande si propone di rispondere il nostro rapporto, con i limiti che inevitabilmente derivano, in alcuni casi, da una presenza sul mercato troppo breve e da un circolante (conseguentemente) poco rilevante sul piano statistico: su un totale di circa 40 milioni di auto, a fine 2024 le cosiddette cinesi pure in strada in Italia erano poco più di 14.600, di cui oltre 7 mila targate in quell'anno.
Premessa metodologica: quando questo numero della rivista va in stampa, secondo l'Osservatorio Quattroruote Professional, che ha fornito la maggior parte dei dati di queste pagine, tra i 76 brand presenti sul mercato italiano quelli ascrivibili a un generico "mondo Cina", come l'abbiamo definito, sono 24: poco meno di un terzo. Si tratta di marchi con una presenza ufficiale nel nostro Paese, distribuiti da "national sales company", emanazione diretta delle Case oppure da un importatore (o da un costruttore) italiano. Di questi la metà, cioè 12, sono "cinesi puri", ossia nati in Cina e con una gamma concepita e, in genere, prodotta in loco. Si tratta di BYD, DFSK, Dongfeng, Forthing, Geely, Leapmotor, Lynk & Co (caso a sé, poiché basata amministrativamente in Europa), Omoda e Jaecoo, Voyah, Xpeng. A questo gruppo va aggiunto SWM, marchio di moto nato in Italia nel 1971 ma definitivamente "cinesizzato", diciamo così, nel 2014 (benché nel Belpaese abbia un centro stile) e da allora diventato brand automobilistico.
Gli altri 12 li abbiamo divisi in due gruppi. Prima di tutto, i cosiddetti "eurocinesi", ossia cinque marche nate nel Vecchio Continente ma oggi controllate – talvolta "riesumate" – da gruppi cinesi. Tra queste, pezzi di storia dell'auto come Volvo, MG, Lotus e, più di recente, Smart; a cui si affianca Polestar, nome storico del motorsport svedese, quindi divisione sportiva della Volvo e ora marchio della Geely, già proprietaria del costruttore di Göteborg. Poi c'è il gruppo delle cosiddette italocinesi, ossia sette brand di proprietà di società italiane controllate da azionisti italiani, ma con una gamma fornita da Case cinesi: cinque marchi del gruppo DR (DR, Evo, ICH-X, Sportequipe e Tiger), nonché Cirelli ed EMC (Eurasia Motor Company).
Dall'analisi dei dati emergono alcune considerazioni. Uno, il "mondo Cina" è più dinamico: le immatricolazioni, tra gennaio e ottobre, sono salite del 43% rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso, in un mercato che nel complesso è arretrato del 2,7%. Dunque, la quota cinese in senso lato ha guadagnato quasi tre punti percentuali, dal 6,1 all'8,9% (sopra il 10% nei mesi di luglio, settembre e ottobre). Il grosso di questi volumi (74,7%) è appannaggio, per il momento, di quattro brand: MG, che all'interno del mondo Cina pesa per il 37,4%, BYD (14,5%), DR (12,6%) e Volvo (10,2%).
Due: i listini "cinesi" sono più snelli. A fronte di una media di mercato di 10,5 allestimenti per modello (gonfiata, va detto, dall'ipertrofia dell'offerta Audi, BMW e Mercedes), il "mondo Cina" scende a quattro e le cinesi pure a 2,3. Tutto ciò ha un duplice effetto: a valle, sulla clientela, con processi di configurazione più semplici, e a monte con una produzione più lineare e veloce. Quindi, meno costosa. Tre: i modelli del Dragone non sono né particolarmente piccoli né particolarmente "poveri": otto cinesi pure su dieci fanno parte dei segmenti C e D.
Infine, non è vero che le macchine del Dragone siano tutte elettriche. Sì, certo, se nel mercato italiano i modelli con almeno una versione a batteria si fermano sotto il 22%, nel "mondo Cina" questa quota sfiora il 27% e sale al 36% tra le cinesi pure. Se poi allarghiamo il campo anche alle Phev, la quota del "mondo Cina" sfiora il 41% rispetto al 38% medio, con le cinesi pure che arrivano al 57%. Al contrario, più di otto italocinesi su dieci sono ancora a benzina e Gpl, con evidenti benefici in termini di vendite su un mercato, quello italiano, refrattario alla transizione. Almeno un luogo comune è invece confermato: i prezzi del made in China sono inferiori alla media. E anche più stabili.
Dove il Dragone soffre è nell'usato. Limitatamente alle auto di seconda mano con 12 mesi di anzianità, che sono il termometro più sensibile dell'aria che tira, non solo le cinesi hanno un valore residuo mediamente inferiore a quello medio, ma il gap, tra ottobre 2024 e ottobre 2025, è salito di quasi mezzo punto.
Immatricolazioni. Nel grafico di sinistra è riportato, per ogni brand, il numero di auto targate nei primi dieci mesi dell'anno. In quello di destra, l'andamento delle immatricolazioni nell'arco dello stesso periodo per ciascun gruppo di marchi.
Quote di mercato. Le curve del market share dei gruppi di brand nei primi dieci mesi del '25. Per tre volte, negli ultimi quattro mesi, il totale ha superato il 10%.
Fonte: elaborazione Quattroruote su dati Unrae.
Distribuzione dei modelli per segmenti e alimentazioni. I grafici illustrano la diversa composizione dei modelli a listino in Italia nel mese di ottobre 2025 per ciascuno dei gruppi di marchi considerati: nella parte superiore dell'infografica, l'offerta scorporata per segmenti di mercato; nella parte inferiore, gli stessi modelli suddivisi per alimentazioni. I dati relativi a benzina e gasolio includono anche le motorizzazioni full hybrid e mild hybrid.
Fonte: Osservatorio Quattroruote Professional.
Prezzi medi delle auto nuove. Il grafico sotto illustra la media dei prezzi, Iva inclusa, di tutti i modelli che erano a listino a ottobre 2025, ponderati con i dati di immatricolazione di ciascun modello. In quello più in basso, la variazione della media dei prezzi considerando soltanto i modelli a listino sia a ottobre 2024 sia a ottobre 2025.
Valori in euro (grafico in alto). Fonte: Osservatorio Quattroruote Professional.
Peso della Cina. Marche, modelli e versioni cinesi a confronto con il mercato italiano e, in basso, numero di modelli offerti da ogni marchio.
Fonte: Osservatorio Quattroruote Professional.
Valore residuo dell'usato di 12 mesi. Prendendo in considerazione le auto con un anno di anzianità, il grafico illustra il valore residuo (espresso in percentuale sul prezzo di listino attualizzato) che il mercato ha attribuito loro negli ultimi 12 mesi: in rosso quello medio dei 24 brand "cinesi" , in blu quello medio del mercato totale.
Fonte: Osservatorio Quattroruote Professional.
Concessionarie e officine. Nelle tabelle sono indicati i dealer e i centri di assistenza ufficiali a novembre 2025 dei 24 marchi considerati. Per alcuni brand il numero dei punti vendita è superiore a quello indicato, in quanto uno stesso dealer può avere più show room, spesso in località diverse della stessa provincia o della stessa regione.
Fonte: case automobilistiche.
Sul fronte della garanzia della Casa, c'è un altro mito da sfatare. Al contrario di gran parte delle marche europee, ancora ferme a due anni, quasi tutti i 24 brand oggetto della nostra analisi offrono coperture più lunghe, in ben 16 situazioni di almeno cinque anni, in tre casi – Jaecoo, MG e Omoda – addirittura di sette. Indicativo di quanto i costruttori credano nell'affidabilità del prodotto.
Qualche problema, in teoria, potrebbe verificarsi sui tempi di riparazione, soprattutto in relazione ai brand da poco arrivati in Europa e caratterizzati da una diffusione limitata di esemplari, una logistica dei ricambi non ancora adeguatamente sviluppata e reti di assistenza non uniformemente distribuite sul territorio. Anche se, va ricordato, i normali tagliandi si possono fare presso qualsiasi riparatore, anche indipendente, senza che la garanzia della casa automobilistica decada. In ogni caso, come si evince dalla tabella in alto, la gran parte dei marchi presenti in Italia dispone di hub ricambi in loco. Il che dovrebbe metterli nelle condizioni di rispettare lo standard europeo che prevede la consegna del pezzo all'officina in 24 ore.
Garanzia sull'auto. La maggior parte dei modelli ha una copertura della Casa superiore alla durata della garanzia legale di conformità, che la legge italiana, figlia di una direttiva europea, fissa in due anni dalla consegna.
Fonte: case automobilistiche.
Prezzi dei ricambi originali. In media, il prezzo di listino, Iva inclusa, dei ricambi originali (Oem) delle marche cinesi è superiore a quello complessivo, in particolare nei componenti meccanici. E il gap è aumentato negli ultimi due anni.
Valori in euro. Fonte: Osservatorio Quattroruote Professional.
Distribuzione. La cartina illustra la dislocazione di alcuni hub ricambi. Nella tabella sono indicati i nomi delle società che distribuiscono le auto nuove e i componenti originali (Oem). I principali marchi cinesi operano direttamente. Fa eccezione la Geely, che si affida a un distributore.
Fonte: case automobilistiche.
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