Libri
La Osca raccontata da chi c’era
Ci sono tanti modi per raccontare la storia di una casa automobilistica. Uno, per dire, è ripercorrerne le tappe in maniera scrupolosamente cronologica, analizzando modello dopo modello. Lo fanno in tanti e ciò costituisce una documentazione preziosa a futura memoria, ma spesso aggiunge poco a quel che già si sa. Diverso è trovare documenti, immagini e testimonianze inedite, scavando negli archivi, interrogando le persone che, quelle storie, le hanno vissute e le ricordano, fissandone le memorie sulla carta prima che, purtroppo, sia troppo tardi. È questa la strada scelta da Carlo Cavicchi, che non ha bisogno di presentazioni (ha diretto periodici per trent’anni, iniziando da Autosprint fino ad arrivare a Quattroruote), per la sua ultima fatica libraria, intitolata “Dentro l’Osca” (edizioni Minerva, 272 pagine, 35 euro).
Vita effimera. Prima di parlarvi del volume, vale la pena ricordare un attimo che cos’è stata l’Osca nel panorama della storia dell’auto italiana. Una meteora, certamente, durata vent’anni appena ma capace, come si legge sulla controcopertina del volume, di “brillare di luce vera (…), sebbene in troppi oggi non abbiano idea della portata di quei successi”. In un’Italia devastata dalla guerra, i fratelli Maserati, usciti definitivamente dall’azienda da loro fondata dopo un periodo di non facile convivenza con i nuovi proprietari (la famiglia Orsi), decisero di dare vita a una nuova impresa, l’Osca appunto, acronimo di Officina specializzata costruzioni automobili. L’avventura si sarebbe tradotta fino al ’68 in una serie di nuove vetture, soprattutto Sport, destinate in prevalenza alle competizioni, in genere dotate di propulsori di modesta cubatura, ma capaci di sconfiggere con altre doti rivali ben più poderose.
Tempi eroici. Per raccontarvi questa vicenda, Cavicchi ha scelto la strada delle testimonianze originali. Prima di tutto, le immagini: 2.500 fotografie, quasi tutte inedite, tratte dal ricco archivio di Walter Breviglieri, pilota di talento arrivato anche in Formula 1, ma, soprattutto, abile fotografo. Scatti, naturalmente in bianco e nero, che fanno rivivere tutto il sapore di un’epoca ancora eroica delle corse, quando bastavano pochi mezzi e tanto ingegno per primeggiare e i piloti rischiavano davvero la vita a ogni curva (ma anche in rettilineo…). A questo, l’autore ha aggiunto i racconti di tre dipendenti dell’azienda, che ci parlano davvero come se fossimo con loro “in una serata in osteria, dietro un buon bicchiere di vino”, in una raffica di ricordi e aneddoti destinati altrimenti ad andare persi. La storia orale, insomma, fissata su carta, a imperitura memoria: nulla di più prezioso. Mauro Fantuzzi alla Osca entrò nel ’56, a 14 anni e un giorno, iniziando col pulire i vetri della fabbrica: passerà poi a occuparsi di motori, seguirà sui campi di gara Ludovico Scarfiotti, finirà per costruire una propria, splendida vettura, unica a motore posteriore, marchiata ancora Osca quando ormai l’azienda dei Maserati era agli sgoccioli. Martino Avoni, da bambino, era vicino di casa di Alfieri, figlio di Ernesto Maserati: fu lì che vide nascere, in garage, la prima Osca. Nel ’51, a sedici anni, ci andò a lavorare, occupandosi soprattutto di motori e carburatori, incontrando con emozione il leggendario Nuvolari, dedicandosi poi alla Formula Junior, prima di lasciare l’azienda nel luglio del ’63. Luciano Rizzoli, infine, non è stato un dipendente della Osca, ma di un’officina di Bologna che faceva assistenza alle auto dei clienti dei fratelli Maserati: piloti come Scarfiotti, Maria Teresa De Filippis, Ada Pace. Si riparavano danni, sostituivano rapporti del cambio, riadattavano pezzi usurati. In questo viavai di personaggi, tra i quali ci fu anche Fangio, incontrò pure Walter Breviglieri, “che fotografava tutto”, col quale andava spesso alle gare. Tutto finì quando la Osca venne rilevata dalla MV Agusta, che - dice Rizzoli - “lasciò andare in malora un’azienda così bella”.
Le fotografie. Fin qui, i ricordi dei protagonisti. Ma il libro, come si è detto, è ricchissimo d’immagini. Tra le tante, almeno un paio sono destinate a restare scolpite nella memoria: a pagina 14, per dire, quella di Binda, Ettore ed Ernesto Maserati, ritratti mentre aprono un mare di telegrammi di congratulazioni ricevuti dopo la vittoria di classe e il settimo posto assoluto ottenuto da Fagioli e Diotallevi alla Mille Miglia del 1950 (la MT4 di soli 1.100 cm3 arrivò alle spalle unicamente di Ferrari 195 e 166, Alfa Romeo 6C 2500, Jaguar XK 120 e Frazer.Nash). A pagina 172, invece, il muro di folla alla curva delle Acque Minerali di Imola, in occasione della Coppa Shell del ’56. Uomini, quasi tutti col cappello, tanti in giacca e cravatta, perché l’occasione era comunque di quelle importanti, qualche donna, un bambino, lo sguardo attento alla pista e non si stenta a crederlo: di lì a poco, sarebbero passati, sulle loro Sport, Castellotti, Brabham, Musso, Cabianca, Salvadori…