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Auto ibride
Quel che conta è la posizione

Roberto Boni
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Auto ibride - Quel che conta è la posizione

Il variegato mondo delle auto ibride spazia dalle semplici mild alle sofisticate plug-in, che di fatto rappresentano l'unione dei gruppi motopropulsori di un'auto normale e di una Bev. Le vetture elettrificate, però, possono essere classificate anche in funzione della tensione di lavoro e della collocazione del (o dei) motogeneratore elettrico nella catena cinematica che assicura la propulsione.

Sei possibilità. Tutto ciò è fondamentale ai fini della funzionalità del sistema: per esempio, nel caso delle ibride mild, in cui il motogeneratore è collegato al motore attraverso la cinghia dei servizi oppure mediante l'albero a gomiti, la propulsione esclusivamente a corrente è impossibile, mentre, all'opposto, collocando le unità elettriche nelle ruote, si può distribuire la coppia motrice in maniera mirata, facendo pure a meno del differenziale. I tecnici hanno a disposizione sei alternative, che qui spieghiamo in dettaglio, ognuna delle quali con proprie peculiarità.

Questione di tensione. Non è tutto, però: oltre alla diversa collocazione del motogeneratore nella catena cinematica, è anche possibile scegliere la tensione di lavoro del sistema ibrido. Tradizionalmente, le full hybrid sono a tensione relativamente elevata (200-400 volt), come si può dedurre facilmente dalle guaine isolanti dei cavi di colore arancione, utilizzate per segnalare questa caratteristica. Le mild hybrid, invece, per semplicità e per limitare i costi, lavorano a voltaggio inferiore: anche solo a 12 volt, come l'impianto elettrico normale, ma non mancano sistemi a 24 o 48 volt. L'aumento della tensione di lavoro consente d'incrementare le prestazioni del sistema, dato che, a parità d'intensità di corrente (che determina la sezione e, quindi, costo e peso dei conduttori), al raddoppio della tensione corrisponde un pari incremento di potenza. Inoltre, l'aumento dell'intensità di corrente comporta la crescita delle dissipazioni di energia: dunque, conviene comunque innalzare la tensione per ridurre la corrente, a parità di potenza.

I costi contano. In ogni caso, la tensione dei sistemi mild hybrid non supera la soglia di 60 volt, oltre la quale, per evitare le folgorazioni, si devono prendere delle precauzioni onerose in termini d'isolamento dei conduttori, nonché di addestramento e di protezione individuale per gli addetti alla produzione e il personale delle officine. Insomma, con i sistemi a 48 V spariscono i caratteristici grossi cavi arancioni delle ibride ad alta tensione e, con essi, si alleggerisce parecchio il conto che le Case devono pagare per elettrificare un modello. Oltre a diminuire le emissioni di CO2, i sistemi ibridi a 48 V servono anche per alimentare dispositivi ad alto consumo, come il turbo elettrico, che può assorbire fino a 5 kW, le barre antirollio elettromeccaniche attive e il catalizzatore con riscaldamento elettrico. In prospettiva, la tensione di lavoro a 48 volt potrà anche essere applicata alle ibride full: con lo schema P2 (cioè con il motogeneratore a valle del motore termico e l'interposizione tra i due di una frizione di scollegamento), grazie alla maggior potenza disponibile (circa 20 kW) e alla batteria più prestante, si potrà viaggiare per brevi tratti soltanto a corrente. Con costi un po' più elevati, ma pur sempre inferiori a quelli delle versioni a tensione più alta, per via dell'assenza delle citate precauzioni necessarie per l'isolamento dei conduttori e l'addestramento del personale. Dunque, le possibilità di elettrificazione ibrida sono varie e connotate da costi e funzionalità diversi. Nell'attesa di una completa transizione alla mobilità esclusivamente elettrica, stiamo assistendo alla proliferazione delle auto a doppia propulsione: dalle più semplici mild alle full e pure alle plug-in. E non si può certo dire che siano tutte uguali. Ma ecco una classificazione schematica delle diverse soluzioni adottate.

PO: il primo passo. L'elettrificazione di base si compie sostituendo l'alternatore con una macchina elettrica reversibile, che genera corrente se trascinata ed eroga coppia motrice quando viene alimentata. Ciò consente di recuperare energia, d'immagazzinarla in una batteria dedicata e di utilizzarla per alleviare il compito del motore termico in accelerazione; non è invece possibile la marcia in modalità elettrica. I mild hybrid P0 a 48 V hanno potenze di picco di 12 kW (16 CV) e riducono il consumo omologato di qualche punto percentuale.

P1: senza cinghia rende di più. Il secondo livello d'ibridizzazione ha una lunga storia: è nato con la Honda Insight del 2000. In quel caso, però, la macchina elettrica fissata all'albero motore in luogo del volano era ad alta tensione, mentre oggi si preferisce la soluzione a 48 volt, assai meno costosa. Un esempio è rappresentato dal sei cilindri tre litri a benzina M256 della Mercedes: il suo motogeneratore ha una potenza massima di 15 kW. Dal punto di vista delle funzioni ibride, i sistemi P1 non differiscono da quelli P0, ma l'assenza della cinghia (che causa una perdita di energia) consente di aumentare il rendimento, grazie anche alla possibilità di usare una macchina elettrica a magneti permanenti. Così, il potenziale di abbattimento delle emissioni di CO2 è superiore. I costi, però, salgono.

P2: qui s’inizia a fare sul serio. La peculiarità di questo tipo di ibrido è la possibilità di separare il motore/generatore (che in questo caso è collegato a monte del cambio) dal propulsore termico tramite un'apposita frizione. Così si può viaggiare con la sola unità elettrica e incrementare l'efficienza del sistema, risparmiando combustibile e riducendo le emissioni di anidride carbonica fino al 16%. Questi valori sono raggiungibili se si adotta la soluzione più complessa, quella che prevede il motogeneratore coassiale al cambio. Per limitare i costi e gli ingombri assiali, però, si possono anche utilizzare schemi paralleli, con la macchina elettrica azionata da una cinghia o da una catena.

P3: efficiente ma costoso. Questo schema è più complesso, perché prevede di piazzare la macchina elettrica a valle del cambio, sia quando il gruppo motopropulsore è trasversale sia quando è disposto longitudinalmente. Il sistema Getrag si riferisce alla prima opzione ed è applicabile anche a sistemi 4x4 classici con una frizione di ripartizione della coppia tra gli assi. Il vantaggio principale di questa soluzione è la possibilità di massimizzare il recupero di energia in decelerazione, in quanto il motore termico viene scollegato mettendo in folle il cambio. Tuttavia, i costi aumentano, dato che è necessario aggiungere un P0 per avviare il motore.

P4: come ottenere le 4x4 a corrente.  La soluzione che prevede di collocare il motore/generatore al retrotreno non è certo una novità: in versione ad alto voltaggio, c'è, per esempio, sulle Suv ibride Toyota e Lexus, sulle BMW X1 e sulle Jeep Renegade e Compass 4xe. Lo schema P4 si può realizzare anche a 48 volt e ha il vantaggio di offrire la trazione integrale elettrica, senza collegamento meccanico tra gli assi. Per ottimizzare il rendimento, il motogeneratore (da circa 20 kW di picco) va abbinato a un cambio automatico a due rapporti (se l'elettrico gira troppo in fretta, l'efficienza crolla) e il motore convenzionale dev'essere provvisto di un sistema P0 che provvede all'avviamento. Così, rispetto a una 4x4 tradizionale, il consumo può scendere di quasi il 25%. Ma il costo è elevato.

P5: sta tutto nelle ruote. L'ultimo schema d'ibridizzazione (in ordine numerico, ma anche di applicazione pratica) consiste nell'impiegare, nel caso delle trazioni anteriori, un motogeneratore elettrico in entrambe le ruote posteriori. La cosa è tecnicamente fattibile e consente di gestire separatamente la coppia motrice sui due lati della vettura, in modo da correggere sottosterzo e sovrasterzo. Il peso dei propulsori, però, peggiora il confort sullo sconnesso. E la potenza è limitata dalle ridotte dimensioni dei motori elettrici, tanto da non rendere (per ora) appetibile questa soluzione.