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Cronaca

Ponte Morandi
Le conclusioni della commissione d’indagine

Emilio Deleidi
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Ponte Morandi - Le conclusioni della commissione d’indagine

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La commissione ispettiva istituita dal ministero delle Infrastrutture e dei trasporti istituita a seguito del crollo del viadotto Polcevera, coordinata dall’ingegner Alfredo Principio Mortellaro (membro del Consiglio dei lavori pubblici) e più volte rivista a causa delle dimissioni di diversi dei suoi componenti inizialmente designati a causa delle indagini della magistratura, ha formulato le sue considerazioni sulla tragedia di Genova, rese note sul sito del dicastero. Ecco alcune delle considerazioni del documento tecnico, inevitabilmente complesso, con particolare riferimento alle sue conclusioni.

Procedure inadeguate. Sulla base della mole d’informazioni raccolte, la commissione, oltre ad avere formulato diverse ipotesi sulle cause del crollo, ha espresso alcune considerazioni, che considera valide a prescindere dalla dinamica dell’evento. In primo luogo, il fatto che la procedura di controllo della sicurezza strutturale delle opere d’arte documentata da Autostrade per l’Italia (Aspi), basata sulle ispezioni, "è stata in passato, ed è tuttora, inadatta al fine di prevenire i crolli e del tutto insufficiente per la stima della sicurezza nei confronti del collasso"; una procedura, prosegue il documento, "che era applicata al viadotto Polvecera ed è tuttora applicata all’intera rete di opera d’arte di Aspi". La società della holding Atlantia, inoltre, "era tenuta, entro il marzo 2013, ad effettuare le valutazioni di sicurezza del viadotto Polcevera", dalle quali "se effettuate correttamente, sarebbe scaturita la (miglior possibile) stima della sicurezza strutturale rispetto al rischio crollo"; una valutazione che, in base ai documenti acquisiti dalla commissione, "non è, alla data di consegna della presentazione, invece stata effettuata".

Scarsi investimenti. Ancora: lo stato di ammaloramento del viadotto in tutti i suoi aspetti (corrosione dell’armatura precompressa, stralli, strutture orizzontali ecc.) è stato monitorato periodicamente da Aspi nel corso degli ultimi 27 anni, a cadenza mono o pluriannuale, con ispezioni qualitative, anche visive, ma limitate. L’evoluzione temporale del degrado "restituiva un quadro preoccupante": ciononostante, "le misure adottate da Aspi ai fini della sua prevenzione erano inappropriate e insufficienti, considerata la gravità del problema". L’atto di accusa prosegue con altre, importanti, considerazioni riguardanti l’intervento sugli stralli della pila 9, che avrebbe dovuto essere "improcrastinabile", gli inadeguati lavori di rinforzo effettuati sugli "impalcati tampone", la mancanza di cura nella posa degli elementi di sostegno dei carroponti. Analizzando i costi sostenuti per gli interventi infrastrutturali sul ponte, inoltre, la commissione rileva come il 98% dell’importo complessivo sia stato speso prima del 1999, anno della privatizzazione di quella che fino ad allora era la società Autostrade di proprietà pubblica; dopo di allora e fino all’agosto 2018, l’investimento medio annuo è sceso da 1,3 milioni a circa 423 mila euro. Quanto al progetto di retrofitting per un importo di 20 milioni di euro in corso di appalto, secondo la commissione averlo presentato come un "mero ripristino conservativo dell’opera al fine di allungarne la vita utile" non ha consentito alla Vigilanza sulle concessionarie del ministero di cogliere la complessità tecnica dell’intervento e, quindi, di segnalarlo  al Consiglio superiore dei lavori pubblici. In sostanza, una sottovalutazione dell’importanza e dell’urgenza dei lavori, che può aver influito negativamente sui tempi della loro approvazione.

Le conclusioni. In definitiva, concludono gli esperti, "si evince che Aspi, pur a conoscenza di un accentuato degrado del viadotto (…) non ha ritenuto di provvedere, come avrebbe dovuto, al suo immediato ripristino e per di più non ha adottato alcuna misura precauzionale a tutela della utenza"; emerge anche "una irresponsabile minimizzazione dei necessari interventi da parte delle strutture tecniche di Aspi, perfino anche di manutenzione ordinaria". Un atteggiamento che sembra configurare una predilezione per la "manutenzione straordinaria a costi certamente più alti, con speculare maggior remuneratività", dalla quale "discende, come logico corollario, una massimizzazione dei profitti utilizzando a proprio esclusivo tornaconto le clausole contrattuali". E questo, senza che Aspi "si sia avvalsa, nel caso concreto, dei poteri limitativi e/o interdittivi regolatori del traffico sul viadotto (…) e non abbia conseguentemente eseguito tutti gli interventi necessari per evitare il crollo".