Libano
Giudice "sfratta" Ghosn dalla sua residenza di Beirut
Continuano i guai per l’ex amministratore delegato del gruppo Renault e della Nissan, Carlos Ghosn, rifugiatosi in Libano dalla fine del 2019 dopo essere stato arrestato in Giappone nel 2018 con l'accusa di violazione degli obblighi fiduciari e delle normative fiscali locali, oltre che di uso improprio di beni aziendali. Secondo quanto riportato dal quotidiano francese Le Parisien, che cita fonti giudiziarie, l’imprenditore, insieme con la moglie, è stato espulso da un giudice dalla sua attuale residenza per “violazione della proprietà privata”. Ad intentare la causa contro di lui, quattro anni fa, è stata la Phoinos, società intestataria dell’immobile, una lussuosa residenza nel quartiere di Achrafieh, tra i più prestigiosi di Beirut.
Il ricorso del manager. La decisione risale al 16 ottobre scorso e a Ghosn è stato concesso un mese di tempo per lasciare per lasciare il domicilio. La Phoinos ha accusato di aver preso “residenza nella proprietà senza base legale” l’imprenditore, il quale, venerdì scorso, ha presentato un ricorso. L’ex numero uno dell’alleanza Renault-Nissan si è difeso sostenendo che “l’immobile era stato acquistato per la sua residenza e che esisteva un accordo firmato con Nissan che gli concedeva il diritto di risiedervi “. Anche in passato, Ghosn aveva citato questo episodio, ribadendo di abitare legittimamente in quell’edificio: “La Nissan mi ha comprato questa casa con un contratto, così che potessi lavorare e ricevere persone lì. Si diceva che il giorno in cui fossi andato in pensione lei sarebbe tornata da me”, aveva dichiarato il manager. La controparte – secondo Ghosn affiliata alla Nissan - replica invece che, essendo terminato questo rapporto contrattuale, ha diritto a recuperarne la proprietà.
La situazione. Carlo Ghosn, lo ricordiamo, da settembre sta affrontando in Libano uno dei processi che lo vedono contrapposto in sede giudiziaria alla Nissan. Si tratta, in particolare, del procedimento legato alla denuncia presentata dallo stesso imprenditore brasiliano (ma di origini libanesi) presso un tribunale locale per ottenere un risarcimento da un miliardo di dollari per i presunti danni alla reputazione e al patrimonio prodotti dal suo arresto in Giappone nel 2018 e dalle accuse alla sua persona mosse dalla Casa di Yokohama: l'ex manager chiede 500 milioni per i danni veri e propri e ulteriori 500 milioni in forma di stipendi arretrati, contributi pensionistici e stock-option non corrisposti.