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BOLIDE
Ferrari F40, il commiato di re Enzo

Andrea Stassano
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Resterà l’ultima supercar battezzata personalmente da Enzo Ferrari, che scomparirà il 14 agosto 1988. Quasi il suo testamento spirituale. Lei è la F40, ed esordisce a metà 1987 per celebrare i 40 anni di attività della Casa del Cavallino (oggi sono 75). La sportiva suscita subito un interesse incredibile per le sue forme quasi selvagge, da corsa, per l’anima estrema che emerge, prepotente, anche in quella grande ala posteriore. Poi, dietro l’abitacolo, ecco un possente V8 biturbo dalle prestazioni monstre, che assicura una velocità massima di 324 km/h. Ingredienti che rendono la F40 un oggetto extraterrestre, difficile da “afferrare” anche da parte di quei pochi che se la possono permettere. Difatti, a fronte di una produzione iniziale prevista di circa mille esemplari (alla fine saranno 1.311, realizzati fino al ’92), arrivano a Maranello ben 4.000 richieste. Nasce così una sorta di mercato “parallelo” tra privati, che fa lievitare in breve il prezzo della nuova Ferrari dal listino di 374 milioni di lire, a cifre iperboliche, che superano il miliardo e mezzo. Anche questa è la dimostrazione di un fenomeno che dura ancora oggi tra i collezionisti.

Kit antiforatura. Per festeggiare una ricorrenza così importante, come i primi 40 anni, ci vuole un’auto speciale, di razza superiore. E, parlando di “Cavallini”, non è cosa semplice. Ma la F40 ha tutto ciò che serve: è una macchina concepita per le corse e adatta anche all’uso stradale e ha una linea racing studiata dalla Pininfarina (la matita è quella di Pietro Camardella), tutta spigoli, prese d’aria Naca e spoiler. Il progetto prevede una costruzione leggera, un motore molto potente, un’aerodinamica efficace e pneumatici adatti. Questi ultimi sono così importanti, che per tale voce si impiegherà ben il 30 per cento del tempo della sperimentazione dell’intera vettura. Per ridurre ulteriormente il peso non c’è la ruota di scorta, sostituita dalla moderna soluzione di una bomboletta che può sigillare l’eventuale foro e “riempire” la gomma.

Sotto c’è il “tubolare”. La struttura del telaio è costituita da un traliccio di tubi d’acciaio del peso di circa 117 chili, integrato da pannelli scatolati di carbonio e kevlar impregnati di resina epossidica. Ogni parte della carrozzeria viene realizzata mediante due pelli esterne, fra le quali è inserita una struttura a nido d’ape di nomex. La lavorazione del “vestito” richiede otto ore, per un peso totale di appena 46 chili: non sorprende quindi che, inizialmente, oltre al lunotto, pure i vetri laterali scorrevoli fossero di plexiglas (poi, dopo alcuni esemplari, arrivano i vetri discendenti a manovella). Gli interni sono spartani, essenziali, con posto guida raccolto e sedile molto avvolgente. Dentro, si respira l’aria delle grandi corse. Unica concessione al confort, il climatizzatore fornito di serie.

Carter secco. Il cuore della F40 è piazzato al centro, dietro ai due sedili, disposto in senso longitudinale: è un otto cilindri a V di 90° dotato di doppia sovralimentazione di 2.936 cm³, che eroga 478 cavalli a 7.000 giri/min. Il basamento è quello della 288 GTO (1984), mentre le teste cilindri sono state ridisegnate. La lubrificazione è a carter secco, e ciò consente, grazie all’assenza di una vera e propria coppa olio, di montare il gruppo motore-cambio più in basso possibile. Ma il V8 non è solo potenza: tanto impegno, infatti, è stato dedicato all’erogazione ai regimi medio-bassi, per consentire alla F40 un utilizzo normale. Un lavoro di fino, tanto che, per trovare la “mappatura” giusta, sono state provate oltre cento memorie elettroniche delle centraline. Inoltre, le due turbine giapponesi IHI, che funzionano a una pressione massima di 1,3 bar, sono più piccole di quelle della GTO, per migliorare la risposta ai bassi.

Guida per pochi. Anche l’impianto frenante è di altissimo livello: include molte parti in comune con le Ferrari turbo di F.1 ed è potentissimo. Ma non è dotato né di ABS, né di servofreno, e questo la dice lunga sul tipo di sensibilità richiesta al guidatore della F40 (che non può contare neppure sul servosterzo). Al V8 è abbinato un cambio manuale a cinque marce con la classica griglia di selezione aperta; all’epoca – parliamo del settembre 1989 – la nostra rivista definì la “manovrabilità un po’ troppo lenta per il tipo di vettura”, assegnando alla trasmissione solo tre stelle. La F40, però, sapeva farsi perdonare in altri modi: con una guida entusiasmante, super sincera e diretta, un motore pieno a tutti i regimi, un sovrasterzo di potenza ben gestibile, questo sì, solo dai driver più esperti. L’auto aveva però anche buone doti di riallineamento in seguito a una scodata, con la possibilità di correggere gli eventuali errori del pilota: e questo restituiva delle chance anche ai guidatori “terrestri”.