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Industria e Finanza

Mattia Adani
"La strategia di Trump? Fa danni, ma non è irrazionale"

Rosario Murgida
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Mattia Adani - "La strategia di Trump? Fa danni, ma non è irrazionale"

La guerra commerciale scatenata da Donald Trump sta alimentando incertezze e caos in tutto il mondo. Abbiamo chiesto un parere sui dazi Usa a Mattia Adani (nella foto sotto), economista con una lunga carriera al vertice di istituzioni pubbliche nazionali e internazionali (ministero dell'Economia e delle Finanze, Banca Interamericana di Sviluppo, ministero dello Sviluppo Economico), nonché di varie realtà private e associative: oggi, tra i vari incarichi, Adani è presidente dell’Unione Europea dell’Industria dei Lubrificanti, nonché amministratore delegato di Nowal Chimica e Cbc Cad-Oil. 

Dottor Adani, cosa pensa delle politica commerciale della Casa Bianca?
Penso ci sia una frustrazione di fondo sulla globalizzazione: ha creato tanti vantaggi, ma anche una disuguaglianza, percepita come povertà negli stati degli Usa dove l'industria dell’auto era forte. Inoltre, ha reso le catene di fornitura più fragili e creato una dipendenza tra i Paesi, che ad alcuni fa paura. A Washington queste fragilità sono ritenute un rischio per la sicurezza nazionale e quindi si sono posti l’obiettivo di riportare a casa industrie come la metalmeccanica, molto legata all'auto, o l'elettronica.

È comunque un obiettivo di difficile realizzazione.
Non c’è dubbio. Parliamo di orizzonti di 5 o 10 anni, se non 15. A tal fine è necessario non solo che gli Usa impongano i dazi, ma anche che creino l'aspettativa che questi rimarranno nel lungo termine: altrimenti, le aziende non si sposteranno. L'amministrazione Trump sta già cercando un equilibrio: prima ha puntato su tutto e ora comincia a derogare. Piano piano, le industrie più critiche verranno esentate o comunque avranno dazi ridotti.

Però non mancano i dissensi, anche interni.
Una parte dell’elite americana percepisce gli Stati Uniti come una potenza sempre egemone, ma in declino: i problemi della deindustrializzazione, degli eccessivi sbilanci fiscali e commerciali esistono da tempo. C'è la tendenza, almeno qui in Europa, a dipingere Trump come un leader solitario, quando invece una parte degli americani lo supporta perché ha visto per anni problemi irrisolti. Ora c’è un’amministrazione che cerca di risolverli rapidamente, forse un po' troppo: si tratta sempre di questioni che richiedono una generazione per essere sistemate.

Non servirebbe maggiore diplomazia?
Questo ce lo dirà la storia. In realtà, quella di Trump è una strategia sicuramente dolorosa per chi la subisce, ma non è irrazionale o irragionevole.

Trump, però, ha solo tre anni e mezzo per raggiungere il suo obiettivo.
E difatti ha bisogno di dimostrare che la sua agenda rimarrà anche dopo di lui, altrimenti la storia lo giudicherà come una persona che ha fatto solo tanta confusione senza ottenere nulla. Più che altro, a me stupisce lo scontro con tutto il mondo. Gli Usa sono una potenza egemone, ma in una gara contro il resto del pianeta vince il resto del pianeta. Trump avrà comunque bisogno di creare una comunità attorno alla sua agenda.

È plausibile uno scenario in cui Trump costringerà i partner ad acquistare il debito americano?
Direi di no. Penso che Trump punti più a ricreare un’industria per ridurre la dipendenza dall’Asia. Non a caso ha iniziato dall'acciaio e dall'alluminio, che sono alla base dell'industria metalmeccanica. Alla fine, la sua politica sarà quella di proteggere o comunque riportare nel mondo occidentale un po' di industrie di base come chimica, alluminio, farmaceutica, elettronica.

Vale anche per il settore automobilistico.
L'auto è alla base del diritto alla mobilità individuale. Fino al Ford Model T la mobilità era riservata agli aristocratici. L'auto ha creato una libertà che ora diamo per scontata. Tuttavia, se ci venisse tolto questo diritto sarebbe un grande problema. La questione riguarda l'auto elettrica e i suoi costi: se obblighiamo tutti a comprare le elettriche rischiamo di escludere dalla mobilità le fasce meno fortunate della nostra popolazione. Ecco perché l'auto è uno dei settori strategici nella società moderna. E poi è uno dei pilastri della metalmeccanica. Purtroppo, i dazi al 25% rischiano di stringere in una morsa l’industria europea dell'auto, che in questo momento è la più avanzata.

Ed è anche molto orientata all’export…
Sì, perché noi europei abbiamo ottenuto e difeso la leadership tecnologica nel motore a combustione. Tant'è vero che i cinesi hanno preso atto della distanza incolmabile e hanno deciso di saltare a una diversa tecnologia: invece di inseguirci hanno investito sull’elettrico e sono stati molto bravi. L'industria europea ha una serie di rischi da affrontare: uno sono gli Stati Uniti, perché vogliono prendersi un pezzo di quello che c’è in Europa; l’altro viene dall'Asia, che è riuscita a raggiungere la leadership nell’elettrico e, in generale, a chiudere il gap tecnologico nella metalmeccanica.

E se Trump ottenesse, per esempio, maggiori acquisti di auto americane?
Nessuno può venire a dirci 'compra quest'auto piuttosto che un'altra'. O si elimina il libero mercato, che non mi pare sia nell'agenda di nessuno, o si creano le condizioni per un bilanciamento. L'Europa ha tutta una serie di regole: non solo gli americani, ma anche gli asiatici non ne capiscono la logica e pensano che siano barriere non commerciali. È una situazione complessa anche per noi europei, che ci siamo voluti complicare la vita: ci siamo dati regole molto avanzate, ma non riusciamo più a sostenerle. Il vero tema è se Europa e Stati Uniti cercheranno un bilanciamento tra di loro, magari costruendo un'area di libero scambio. Sarebbe una direzione auspicabile. Al contrario, l’Occidente rischia di spezzarsi un due.

In ogni caso, Trump rischia di non mantenere le sue promesse elettorali.
Assolutamente. I dazi sono un'arma a doppio taglio per chi li usa. Tant'è vero che i negoziati sono sempre molto complicati, perché si fanno per prodotti, settori, microaree nel tentativo di limitare i danni. È quindi abbastanza strano che sin dall’inizio Trump li abbia imposti a strascico su tutti. Se non riesce nei suoi intenti, verrà ricordato fondamentalmente come un pazzo.

Sembra un azzardo o no?
Un azzardo no. Penso sia una strategia plausibile perché ha i suoi fondamentali economici che possiamo condividere o meno. Sicuramente la strategia di Trump va contro i nostri interessi, ma non è una strategia non plausibile. Bisognerà capire se avrà la forza di implementarla e di raggiungere il risultato auspicato.

Se non è un azzardo è una scommessa ad alto rischio.
Sì, lo è. A mio avviso, una strategia un po' più morbida all'inizio avrebbe aiutato nel senso che non è una gara sui 100 metri, ma una maratona. E come tale bisogna trattarla.