La crisi dell'auto
Scarsa domanda e concorrenza cinese: a rischio otto fabbriche europee
Fabbriche in sofferenza
L'indicazione sugli otto impianti a rischio non è nuova. Circa un anno fa, l'Acea ha segnalato la possibile chiusura proprio di otto siti, legandola però agli effetti delle multe per lo sforamento dei limiti alle emissioni. AlixPartners, invece, attribuisce gli attuali rischi a questioni più industriali che normative. Innanzitutto, c'è il tema della saturazione degli impianti. In tutta Europa, gli stabilimenti automobilistici operano in media al 55% della capacità e solo in pochi casi si arriva al 75%, la soglia minima per la redditività di un impianto industriale. Inoltre, secondo AlixPartners, le fabbriche sono redditizie solo quando sono progettate per produrre almeno 250.000 veicoli all'anno.
L'ascesa dei cinesi
In questo quadro di sofferenza per i bilanci aziendali si inserisce l'ascesa dei cinesi. "Nei prossimi anni le case automobilistiche europee perderanno tra uno e due milioni di veicoli a favore dei marchi" del Dragone, afferma Fabian Piontek, numero uno della filiale tedesca di AlixPartners. "Quest'anno le case automobilistiche cinesi raggiungeranno una quota di mercato di circa il 5% in Europa". Tuttavia, nel giro di pochi anni la loro penetrazione è destinata a raddoppiare: AlixPartners la prevede al 10% entro il 2030. In sostanza, se i cinesi dovessero arrivare a circa 2 milioni di auto all'anno in Europa entro il 2030, la regione avrebbe circa otto stabilimenti di troppo. Tuttavia, all'attuale ritmo di crescita non è da escludere la possibilità che i cinesi superino ampiamente le previsioni, il che aumenterebbe i rischi di chiusura e le conseguenze sui bilanci aziendali. A tal proposito, AlixPartners quantifica in circa 1,5 miliardi di euro gli oneri legati alla dismissione di una grande fabbrica con circa 10.000 dipendenti: tali spese sarebbero comunque spalmate in un periodo che va da uno a tre anni, ma sarebbero comunque pesanti da digerire per aziende già in difficoltà.